La crisi con gli Emirati e la testa sotto la sabbia
La grave crisi tra l’Italia e gli Emirati Arabi Uniti, allargata in realtà a una buona fetta del mondo arabo, offre a Roma motivi di preoccupazione ma anche qualche opportunità che sarebbe consono agli interessi nazionali cogliere.
Il blocco dell’export armamenti verso Abu Dhabi e Riad ha messo in luce limiti, contraddizioni e “tafazzismi” che sembrano a volte dominare le iniziative governative e parlamentari, non solo con l’attuale esecutivo.
Criticità, per usare un eufemismo, emerse nei giorni scorsi anche nel dibattito sulle missioni all’estero con la bagarre scatenata da chi vorrebbe chiudere ogni cooperazione militare con Tripoli e in particolare con la Guardia Costiera libica e risolta con artifizi dialettici che fuori dal Grande Raccordo Anulare romano sono destinati inevitabilmente a sollevare dubbi circa la postura e l’affidabilità dell’Italia come partner strategico, non solo in termini militari.
Certo ad affrontare la realtà e a risolvere i problemi non aiuta fare lo struzzo, sminuire il peso dei fatti e fingere che nulla sia successo.
Pur comprendendo l’imperativo politico di non alimentare dissidi ulteriori all’interno del governo guidato da Mario Draghi, destano qualche perplessità le parole del ministro Guerini pronunciate ieri al question time al Senato circa la crisi con gli Emirati Arabi Uniti (EAU).
La vicenda della chiusura della base aerea di al-Minhad, “non ha scalfito in alcun modo l’immagine delle forze armate, anche per via della grande credibilità unanimemente riconosciuta alle nostre donne e uomini in uniforme, impegnati nel loro apprezzatissimo servizio in Italia e all’estero” ha detto il ministro ricordando come il Comando operativo di vertice interforze (COI) abbia disposto “l’immediata esecuzione del rischieramento di tutto il personale, degli aerei e del materiale presente nella Forward Logistic Air Base di al-Minhad, riposizionando parte del dispositivo in Kuwait”
Da quanto riferito dal ministro, dei 142 militari in forza alla base negli Emirati sgombrata in tutta fretta dopo lo sfratto impartito dalle autorità di Abu Dhabi “79 sono stati rimpatriati, 40 sono stati rischierati in Kuwait per garantire la capacità di evacuazione sanitaria d’urgenza e il trasporto tattico, mentre 23 sono rimasti in forza all’Ufficio coordinamento transizione dislocato a Dubai”.
Guerini al Senato ha aggiunto ulteriori dettagli. “Nonostante il limitato preavviso ricevuto dalle autorità emiratine è stato tecnicamente possibile rimpatriare e movimentare materiali sensibili, attrezzature, mezzi e velivoli. In particolare, sono stati riposizionati presso il sedime di Al Salem – Kuwait automezzi, gruppi elettrogeni, sistemi di comunicazione, armamento, materiale sanitario, parti di ricambio dei velivoli ed equipaggiamenti della linea volo e per le esigenze di manutenzione”.
Un ridispiegamento che non cancella l’impatto politico, strategico, economico e in termini di prestigio di detenere il record di essere l’unico stato occidentale a vedere i suoi militari cacciati, pure con breve preavviso, nella storia degli EAU.
Se l’immagine delle nostre Forze Armate non è stata scalfita di certo è stata molto più che scalfita quella dell’Italia nel suo complesso, quindi anche e soprattutto in termini militari considerato che la prima presenza di un reparto aereo italiano in un aeroporto emiratino risale al 1990.
Un problema che riguarda anche il ministro della Difesa e che incide e inciderà sul ruolo strategico dell’Italia e dei suoi interessi in tutto il cosiddetto “Mediterraneo allargato”.
Negarlo o minimizzarlo affermando che i nostri militari sono bravi o hanno pianificato ed eseguito alla perfezione il rimpatrio o il trasferimento in Kuwait è un esercizio retorico che ricorda la “ritirata su posizioni prestabilite” annunciata da Roma dopo la disfatta di el-Alamein.
Per il ministro “le conseguenze della decisione emiratina sulle attività di rientro del contingente italiano dall’Afghanistan sono state pienamente superate grazie alla capacità del Comando operativo di vertice interforze di adattare il piano di ripiegamento alla nuova situazione, utilizzando strutture alternative, senza subire ritardi”.
E’ bello sapere che il COI ha fatto fronte brillantemente all’esigenza improvvisa di dover fare a meno di al-Minhad in piena fase di ritiro dall’Afghanistan, ma appaiono ben altre le conseguenze della decisione emiratina di cui dovremmo preoccuparci e soprattutto occuparci.
L’intervento di Guerini ha lasciato spazio anche a un accenno al poco o nulla che Roma ha fatto finora per ricucire lo strappo con EAU, allargato in realtà per ragioni legate soprattutto all’export di armamenti anche all’Arabia Saudita e all’Egitto.
La Difesa continua a “guardare con attenzione alle azioni diplomatiche in corso per la ripresa del dialogo e la ricomposizione di positive relazioni con quello che rimane un partner importante per il nostro Paese” ha aggiunto il ministro. Un partner che l’Italia ha però tradito riservandogli un trattamento da “rogue state”!
Ci siamo giocati la faccia in almeno mezzo mondo arabo cancellando contratti già firmati in violazione di tutte le regole del commercio e giustificandoli con motivazioni legate al conflitto yemenita del tutto fuori luogo e fuori tempo che hanno mostrato inevitabilmente il pressapochismo, ideologico quanto dilettantesco, di chi gestisce la nostra politica estera con evidenti riflessi pesanti sulla reputazione e credibilità globale di Roma.
Sarebbe davvero spiacevole se trovasse conferma l’impressione che nessun ai vertici del governo italiano sia disposto ad esporsi, a mettere la faccia, in una crisi con gli emiratini legata a doppio filo agli armamenti e in cui la soluzione passa necessariamente da una presa di posizione netta e alla luce del sole delle nostre massime autorità.
Al tempo stesso i cavillosi distinguo parlamentari che hanno permesso di rinnovare in parlamento il supporto alle forze navali libiche rischiano di venire interpretati, a Tripoli come in tutto il Nord Africa e soprattutto ad Ankara, come un chiaro indizio di ammainabandiera di un’Italia che appare sempre più incapace di mantenere una postura salda e credibile, di onorare gli impegni assunti e di esprimere una politica lineare persino nel suo “giardino di casa”.
Un bel regalo ai turchi che ambirebbero a estrometterci definitivamente da una Libia in cui la loro egemonia, cacciati o auto espulsi gli italiani, passerebbe da indiscussa a assoluta.
Per quanto grave, l’attuale contesto offrirebbe almeno una opportunità: riconoscere tutti i limiti e gli errori sopra citati e puntare a pianificare e attuare in tempi rapidi politiche e strategie alternative, che indichino rapidamente una svolta radicale, meglio se affidandole a uomini diversi da quelli che hanno compromesso gli interessi nazionali e che oltre confine non godono più di nessun credito.
Come è facile comprendere, occorrono immediati segnali di svolta nelle relazioni con le principali potenze della Lega Araba e un rinnovato pieno sostegno governativo all’export della Difesa che ancora non si vede, o non si avverte in misura adeguata, forse pure per la tradizionale e un po’ ipocrita riluttanza di molti politici italiani a mettere la faccia sulla vendita di armamenti.
Qualche segnale di ottimismo potrebbe in prospettiva offrirlo il tavolo Mise – Difesa tra i ministri Giancarlo Giorgetti e Lorenzo Guerini del 21 luglio. Al centro del colloquio, ha spiegato una nota congiunta, il rilancio della cooperazione strutturale, strategica e industriale tra i due dicasteri negli ambiti della ricerca, innovazione, sperimentazione anche alla luce delle possibilità offerte dal PNRR. Nell’incontro è stato affrontato anche il tema della cooperazione internazionale, anche in ambito Ue e Nato.
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