La guerra in Ucraina tra recrudescenza e trattative
Nel momento in cui scriviamo queste righe, nella notte fra il 27 e il 28 febbraio 2022, si è appena concluso il quarto giorno di offensiva militare russa a tutto campo contro l’Ucraina ed è ancora difficile fare previsioni su quanto il governo di Kiev potrà resistere. Più sicura è invece la valutazione sulla gravità, ormai irreversibile, almeno per un lungo periodo, del deterioramento di rapporti fra la Russia e l’Occidente. Per il 28 febbraio è stata convocata, per la prima volta da 40 anni, un’Assemblea Generale straordinaria delle Nazioni Unite, evento che si verificò l’ultima volta nel 1982 durante l’invasione israeliana del Libano.
Frattanto, Mosca ha lanciato segnali preoccupanti alla NATO, in risposta alla mobilitazione sulle frontiere orientali dell’alleanza, agitando lo spettro delle “forze di dissuasione” (nucleari) e di una possibile escalation con fra Russia e Occidente.
Il tutto mentre, il 27 febbraio, un referendum nella fedele alleata Bielorussia ha visto approvare dal 65% dei cittadini l’abrogazione dalla costituzione di Minsk dello status di “paese denuclearizzato”. In pratica aprendo le porte al possibile schieramento di testate nucleari, e relativi vettori, in territorio bielorusso, come risposta e contraltare alle basi missilistiche americane a Deveselu, Romania, e Redzikowo, Polonia, sospettate dai russi di ospitare missili Tomahawk e non solo SM-3 difensivi antimissile.
Militari ucraini prigionieri dei russi (foto sopra e sotto)
Da un lato il presidente ucraino Volodymir Zelensky ha per la prima volta acconsentito a trattative per il 28 febbraio, ma ha anche moltiplicato nelle ultime 48 ore gli appelli alla resistenza, che è particolarmente dura intorno alla capitale Kiev e alla seconda città del paese, Kharkiv, anche perchè per le truppe russe non sarebbe oggettivamente facile sfondare ed esercitare il controllo in due grandi centri urbani che, rispettivamente, contano 3 milioni e 1,5 milioni di abitanti. Vero è che la campagna militare è ancora agli inizi e che i media occidentali sembrano dare per scontato che i russi si aspettassero di vincere la partita solo in 24 o 48 ore.
Ipotesi che, data l’estensione dell’Ucraina e la sua popolosità, probabilmente non rientrava realisticamente nelle pretese dei militari del Cremlino. Perciò il mantra secondo cui “i russi stanno impiegando troppo tempo e si logorano” potrebbe essere una sensazione tutta occidentale, perchè, pur rientrando una vittoria rapida nelle speranze di qualsiasi comandante, non è detto che pensassero davvero di risolvere tutto in due giorni.
E prova ne potrebbe essere il mantenimento di cospicue riserve a ridosso dei confini russi e bielorussi che sembra stiano iniziando solo ora, a poco a poco, a essere impiegate. Intanto si stanno concretizzando crescenti aiuti militari dai paesi occidentali, che si stanno facendo generalizzati, da parte di numerosi paesi dell’Unione Europea, mentre prima dell’inizio del conflitto, venivano sostanzialmente quasi solo da Stati Uniti e Gran Bretagna.
Kiev sarebbe ormai circondata, o quasi, e l’entrata via terra delle forniture militari alleate potrà più probabilmente essere utile a formare aree di resistenza soprattutto nell’Ovest del paese, segnatamente nella regione di Leopoli confinante con la Polonia.
Il mattino del 28 febbraio il ministero della Difesa di Mosca ha riferito che l’esercito russo ha preso il controllo della centrale nucleare di Zaporozhye nell’area sud-orientale dell’Ucraina.
Lo scoglio di Kiev
Ora, sul reale stato della situazione attorno alla capitale, le notizie sono ancora confuse e sempre soggette al mutamento tattico di ora in ora. Stando al ministro dell’Interno ucraino Vadym Denysenko, colonne russe premono su Kiev anche da Sud, dall’area di Vasylkiv, a 40 km dal centro della capitale, squassata da furiosi combattimenti, e da Est, a Pryluky, dove sarebbero stati distrutti alcuni carri armati russi.
In particolare, a Vasylkiv, secondo Ukrainska Pravda, che cita fonti dell’esercito, già fra il 25 e il 26 febbraio sabotatori russi travestiti da agenti della polizia nazionale si sarebbero avvicinati a un posto di blocco e hanno sparato ai soldati ucraini di presidio. Subito dopo, un gruppo di soldati russi è arrivato a far da rinforzi agli incursori con un camion. Altre fonti hanno riferito che i soldati ucraini colpiti al checkpoint sono stati uccisi. Ne è scaturita una pesante battaglia durante la quale i russi hanno tentato di far atterrare sulla pista del locale aeroporto un cargo Ilyushin Il-76 carico di soldati, che sarebbe stato abbattuto il 27 febbraio da uno dei caccia Sukhoi Su-27 ancora attivi dell’aeronautica ucraina. Parimenti, anche a Bila Tserkva, poco a Sud di Vasylkiv, ci sarebbe stato un aviosbarco di truppe russe, finora arginato.
Da Nord e Nordovest, i russi tentano di calare su Kiev nei quartieri periferici di Buch, Irpen, Obolon e Vorzel. L’avanzata russa dalla Bielorussia passa soprattutto sulla grande “autostrada europea” E95, che si snoda da San Pietroburgo fino a Odessa, per proseguire, previo traghetto, fino alla Turchia, dove si ferma nella città anatolica di Merzifon.
La grande arteria, il cui controllo potrebbe rappresentare una delle chiavi di volta di un eventuale successo finale dell’invasione russa in Ucraina, passa dalla città bielorussa di Gomel ed entra in Ucraina presso Chernihiv, proseguendo via Brovary per Kiev.
Dopo la capitale, verso Sud, continua per Vasylkiv, Bela Tserkva e altre città fino a Odessa. Tagliando da Nord a Sud il territorio ucraino in due parti grossomodo uguali, l’autostrada E95 appare una sorta di spina dorsale del paese, e se i russi riuscissero a tenerne il grosso, si assicurerebbero una notevole libertà di movimento negandola nel contempo ai nemici.
Solo sul fronte settentrionale di Kiev sarebbero 20.000 i soldati russi, più 10.000 ceceni delle milizie fedeli a Mosca, i cosiddetti “kadiroviti” dal nome del presidente della Cecenia Ramzan Kadyrov. Truppe che sarebbero state trasportate d’urgenza nelle retrovie bielorusse con un ponte aereo da Grozny e ci sarebbero altri 70.000 ceceni teoricamente pronti a partire per il conflitto, questo, perlomeno, sostengono i media russi.
A Kiev si susseguono esplosioni e allarmi, ma lo stesso sindaco della capitale, il noto pugile Vitali Klychko, ha smentito la sera del giorno 27 un’intervista che egli stesso aveva concesso poche ore prima al giornale tedesco Bild, in cui aveva affermato che la città era circondata: “Kiev non è completamente circondata. L’esercito ucraino sta combattendo duro alla periferia e l’Esercito russo ha subito molte perdite”.
Il campione di boxe prestato all’amministrazione politica della capitale ucraina ha accusato il Bild di “manipolazione e bugia”. Il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha peraltro denunciato, quasi ad accusare l’esercito invasore di vandalismo, che sull’aeroporto di Hostomel “i russi hanno distrutto il più grande aereo cargo del mondo”, il colossale esamotore Antonov An-225 Mriya (“Sogno”), l’orgoglio dell’omonima industria aeronautica ucraina con un’apertura alare di 88 metri, una lunghezza di 84 metri e un peso al decollo di 285 tonnellate.
Nella serata del 27 febbraio, la televisione americana CNN ha pubblicato fotografie satellitari del gruppo Maxar che mostravano una grande colonna di mezzi russi, sia corazzati, sia logistici, avanzare a circa 60 chilometri da Kiev lungo la strada P-02-02 all’altezza di Ivankiv.
Si trattava di una colonna lunga ben 5 chilometri in cui erano presenti carri armati, semoventi d’artiglieria e, particolare, degno di nota, autobotti che evidentemente portavano gasolio per rifornire i mezzi corazzati d’avanguardia, in vista di un nuovo slancio. Del resto, l’allungamento delle linee di rifornimento contribuisce certo all’apparente rallentamento della campagna.
Il 27 febbraio il ministro dell’Interno ucraino Vadym Denysenko ha annunciato al portale strana.news che una grossa colonna di veicoli militari russi si sta dirigendo verso Kiev da sud.
Finora gli attacchi a Kiev sono arrivati da nord ovest e nord est. Denysenko dichiara che gli ucraini sapranno difendersi anche dall’attacco a sud. “Sappiamo dove stanno andando e siamo preparati”, ha assicurato. Secondo fonti ucraine, vi sono forti combattimenti in corso a Vasylkiv, a sud ovest di Kiev. Mentre a Pryluky, a est della capitale, numerosi tank russi sarebbero stati distrutti. Le forze armate ucraine dicono di aver respinto forti attacchi nei sobborghi nord occidentali di Hostomel e Irpin. Nell’area di Bucha, vicino Kiev, video verificati mostrano veicoli militari che sparano sulle case
La mobilitazione dei civili e lo scavo di trincee e difese anticarro improvvisate potrebbe dissuadere l’esercito russo dal penetrare in profondità in città, almeno in tempi brevi. Dagli Stati Uniti, fonti ufficiali del Pentagono ritengono, alla notte sul 28 febbraio, che le forze russe siano a 30 chilometri dal centro, intese come grandi unità, ma considerano plausibile che “alcuni elementi di ricognizione siano stati nel centro di Kiev negli ultimi due giorni, camuffati con uniformi ucraine”.
Ma potrebbe anche non essere necessario prendere l’intera Kiev, quanto assediarla in maniera abbastanza completa da prenderla per fame, o comunque per esaurimento delle scorte e del morale avversario. Per ovvie ragioni, pare del resto improponibile l’idea di un ponte aereo che rifornisca la capitale assediata, come accadde ad esempio nei casi del blocco di Berlino fra il 1948 e il 1949 e del tragico assedio di Sarajevo, nella guerra di Bosnia, durato dal 1992 al 1996. E’ chiaro infatti che, se si volesse organizzare una vasta operazione logistica sotto le bandiere dell’ONU, le uniche che potrebbero realisticamente sperare di non fare da bersaglio, la Russia stessa potrebbe far valere il suo diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Se invece torme di aerei da trasporto entrassero nello spazio aereo ucraino a titolo non ONU, bensì NATO, volendo sfidare l’orso russo col pretesto di un’operazione umanitaria, rischierebbero probabilmente di essere abbattuti da caccia o contraerea campale di Mosca.
Certo, in quel caso si porrebbe per il governo russo il problema etico di dover distruggere aerei da trasporto disarmati, difficilmente giustificabile di fronte al mondo, sebbene Mosca possa rilevare il carattere militare e invasivo di una operazione NATO, ma il rischio stesso che una simile azione possa offrire un vistoso “detonatore” per lo scoppio di una guerra generalizzata in Europa dovrebbe bastare a dissuadere la stessa NATO dall’azzardare simili iniziative. A meno che non si cerchi a priori, per volontà politica, uno scontro che però rischierebbe di vanificare vantaggi razionali.
Quali tempi per la guerra?
Il faro principale è puntato su Kiev ma i combattimenti toccano varie parti del paese. Come si diceva all’inizio, la grande Kharkiv è tuttora sotto assalto da battaglioni provenienti da Belgorod, che in particolare stanno cercando di prendere l’aeroporto Starakostantinov, e dove è stato colpito anche un gasdotto. Le truppe russe erano date il 26 febbraio in ingresso nella città, ma sarebbero state respinte, secondo gli ucraini con la perdita “40 fra veicoli e mezzi corazzati”.
Impossibile poter verificare le informazioni circa le perdite subite dalle forze contrapposte tenuto conto che, come in ogni guerra, la propaganda domina l’informazione. Basti pensare che secondo i dati forniti nelle prime ore del 28 febbraio dal viceministro ucraino alla Difesa, Anna Malyar, l’esercito russo avrebbe perso 29 aerei, 29 elicotteri, 3 droni e 5 mezzi mobili per il lancio di missili antiaerei in quattro giorni di combattimenti. Inoltre, secondo Malyar, durante questo periodo le forze russe avrebbero perso anche 191 carri armati, 816 veicoli corazzati da combattimento, 291 veicoli di trasporto e 60 auto cisterna. Ancora, i russi avrebbero subito circa 5.300 perdite tra morti, feriti e prigioniero. Numeri ovviamente non confermati dalla controparte.
Nel resto del paese, i russi hanno preso Melitopol che è nell’entroterra del Mar D’Azov e a occidente di Mariupol, il che confermerebbe che nel Sud avanzano meglio e stanno riuscendo, passo dopo passo, a erodere agli ucraini la costa del Mar d’Azov. Mentre Mariupol resiste ancora la sera del 27 febbraio la presa di Berdyansk veniva confermata dal suo stesso sindaco, Oleksandr Svidlo, che ha postato su internet: “Soldati dell’esercito russo ci hanno informato che tutti gli edifici amministrativi sono sotto il loro controllo”.
Poichè Berdyansk è sulla strada per Mariupol, sembra chiudersi su di essa una morsa da Ovest e dall’Est. I battaglioni russi avanzanti dalla Crimea trovano invece resistenza a Kherson, che sbarra ancora la via da cui vorrebbero passare per proseguire verso Odessa prendendola alle spalle, mentre dal mare la città portuale viene tartassata con i missili Kalibr sparati da navi della Flotta russa del Mar Nero.
Unità ucraine stanno utilizzando nell’Est del paese missili campali Tochka-U, della gittata di 120 chilometri, da rampa autocarrata che sembra abbiano centrato la base aerea russa di Millerovo, distruggendo al suolo alcuni caccia Sukhoi Su-30, mentre altri Tochka-U sono stati lanciati sul territorio della repubblica di Donetsk, le cui milizie assistono i russi.
Proprio le forze filo-russe hanno lamentato il 28 febbraio 16 pesanti bombardamenti ucraini su nove insediamenti nella Repubblica popolare di Lugansk come riferisce la Tass. Gli attacchi hanno distrutto una casa nella città di Pervomaisk, ha aggiunto la missione, affermando che le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk “hanno riportato i bombardamenti più pesanti degli ultimi mesi da parte delle forze armate ucraine, che hanno causato vittime civili e danneggiato infrastrutture civili.
Dal canto suo, l’esercito del Cremlino, nell’attivare via via nuove forze di riserva stanziate in Bielorussia, sembra abbia iniziato il 27 febbraio a lanciare missili balistici Iskander dai battaglioni stanziati a Mozyr, nella regione bielorussa di Gomel. Armi che toccano una velocità terminale di 7000 km/h e che avrebbero colpito l’aeroporto ucraino di Zhytomir.
L’esordio degli Iskander, con raggio d’azione di oltre 400 km e capaci di portare anche testate nucleari tattiche, ha fatto dire a esperti britannici sentiti da Sky News che “si tratta di un messaggio russo circa la disponibilità ad armarli eventualmente con testate nucleari”. Farebbe parte di una velata minaccia russa di un teorico superamento della soglia nucleare, il che però sembra probabile solo nel caso di guerra estesa con la NATO.
Il lancio di Iskander russi dalla Bielorussia fa il paio con la contemporanea approvazione, mediante referendum indetto dal suo presidente Aleksandr Lukashenko, della possibile dislocazione di armi nucleari russe in loco. E poiché gli Iskander sono già presenti in Bielorussia, di fatto le loro testate atomiche potrebbero esservi state trasportate, e montate sui vettori, anche già poche ore dopo la consultazione.
Da più parti ci si chiede se la Russia, e il presidente Vladimir Putin, in particolare, non stiano diventando nervosi e impazienti a causa del protrarsi della campagna e della resistenza opposta dagli ucraini. A tal proposito si sono volute vedere anche profonde fratture nel vertice politico-militare. Il deputato ucraino Oleksiy Goncharenko ha diffuso il 27 febbraio la notizia, da non meglio specificate “fonti”, della “destituzione” del capo di Stato Maggiore delle forze armate russe, il celebre generale Valery Gerasimov, da parte di Putin, poiché il presidente sarebbe stato deluso per la lentezza dell’avanzata e timoroso del dissenso interno all’esercito causato da un’avventura dimostratasi troppo arrischiata.
In realtà Gerasimov, per quel che si sa fino a questo momento, è ancora saldo al suo posto e ieri Putin lo aveva al suo fianco insieme al ministro della Difesa Shoigu nel vertice da cui è scaturito l’annuncio dello stato di allerta dell’apparato di dissuasione nucleare.
Pare inoltre davvero difficile che i russi sperassero davvero di prendere in appena 24 o 48 ore un paese esteso per 603.500 km quadrati, cioè il doppio dell’Italia, con 44 milioni di abitanti. La percezione che i russi siano “in ritardo” sulla loro presunta tabella di marcia potrebbe essere quindi solo occidentale, forse amplificata da esigenze propagandistiche considerato che tutta Europa ha condannato l’attacco russo a dall’ansia dell’informazione televisiva che si immaginava una “guerra lampo” e tende oggi a puntare sulla “sconfitta” della Russia in modo molto prematuro.
Si pensi, per meglio capire ciò che intendiamo, che nell’agosto 2008, quando i russi vinsero, a mani basse, contro la piccola Georgia, la cui superficie è un nono di quella dell’Ucraina, le operazioni militari richiesero comunque 12 giorni. Per quanto riguarda la vasta Ucraina, anche farla arrendere nel giro di due settimane sarebbe un successo, dal punto di vista squisitamente militare. Pensiamo anche che nel 1940 le divisioni Panzer di Hitler che invasero la Francia con la più proverbiale delle “guerre lampo”, cioè la Blitzkrieg tedesca, impiegarono oltre un mese a piegare il nemico combatte do di fatto solo nel nord del paese.
L’offensiva germanica scattò infatti il 10 maggio 1940 e i francesi deposero le armi con l’armistizio di Compiegne del 22 giugno. Durò più di 40 giorni, ma passò alla storia comunque, e giustamente, come un blitz. D’altronde, la maggior parte delle guerre, in ogni epoca, si è misurata in mesi o anni, ben poche in una manciata di giorni, anche guardando a tempi recentissimi. La guerra della coalizione a guida USA contro l’Iraq nel 1991 per liberare il piccolo Kuwait durò più di un mese, dal 17 gennaio al 28 febbraio.
L’offensiva della NATO contro la Serbia nel 1999 per occupare il piccolo Kossovo (grande quanto l’Abruzzo) richiese 78 giorni, dal 23 marzo al 10 giugno. L’invasione anglo-americana dell’Iraq del 2003, durò comunque più di un mese, dal 20 marzo al 1° maggio, senza contare numerosi anni di successiva guerriglia, tuttora perdurante. E stendendo ovviamente un velo pietoso sull’Afghanistan, con vent’anni tondi, dal 2001 al 2021, di operazioni militari americane e occidentali in un paese in cui i talebani sono riusciti alla fine a vincere la partita. E’ chiaro quindi quanto sia prematuro pretendere che bastino quattro, o anche sette giorni per stabilire chi stia vincendo sull’ampio territorio ucraino.
Secondo lo stato maggiore ucraino, “gli occupanti russi hanno rallentato il ritmo dell’avanzata anche se tentano comunque ancora di avere successo in alcune zone”.
Mosca però non ha alcun interesse a forzare le operazioni rischiando di aumentare in modo eccessivo le proprie perdite e quelle tra le forze militari e i civili ucraini: Putin non ha mai parlato di guerra ma di “operazione speciale” e si riferisce agli ucraini come a un popolo fratello da liberare.
Se fin dall’inizio anche il generale Gerasimov, come capo di stato maggiore, era pienamente d’accordo nel tenere riserve nelle retrovie, è palese che anche lui non mettesse troppo in conto l’ipotesi di un crollo rapidissimo dell’avversario. La partita in Ucraina resta quindi aperta, e del resto, oltre all’atteggiamento della dirigenza di Kiev, comunque tentata dalla trattativa, bisognerà verificare anche le eventuali differenze di atteggiamento nei confronti dei russi fra gli ucraini delle campagne e quelli urbanizzati, e forse più “occidentalizzati”. Certo le grosse città restano lo scoglio principale per i russi, che però, controllando le pianure e le grandi vie di comunicazione, potrebbero finire per isolarle.
Fra pace e alleanze
Il 28 febbraio il portavoce del Ministero della Difesa russa, generale Igor Konashenkov, ha sostenuto che “l’aeronautica russa ha guadagnato la supremazia aerea sull’intero territorio dell’Ucraina”. Nelle ultime 24 ore, stando ai conteggi di Mosca, sarebbero stati distrutti otto sistemi antiaerei ucraini Buk M-1, distrutti 4 quattro aerei da combattimento a terra e uno abbattuto in aria.
Il giorno prima Konashenkov, ha ammesso per la prima volta “morti e feriti” fra gli attaccanti aggiungendo che sono state colpite finora “1067 strutture militari ucraine e distrutti 38 sistemi di difesa antiaerea e 56 stazioni radar”. Per gli ucraini, i russi avrebbero avuto, in 4 giorni “3.500 morti”. Il governo di Kiev non dirama le sue perdite militari e lamenta invece “la morte di 352 civili, fra cui 14 bambini e il ferimento di 1.684 persone, fra cui 116 bambini”. Il contesto vede inoltre anche l’emergenza dei profughi con circa 400.000 ucraini, quasi solo donne e bambini, che si sono rifugiati nei paesi vicini, 200.000 nella sola Polonia.
Il 26 febbraio la Russia si era detta disponibile ad offrire negoziati di pace, tanto da sospendere l’offensiva, per poi riprenderla al diniego di Zelensky. Il giorno dopo, il Cremlino ha di nuovo proposto d’intavolare negoziati, proponendo come sede la città bielorussa di Gomel, vicino al confine ucraino. La prima reazione di Zelensky è stata sdegnata, poiché dal territorio bielorusso partono molti degli attacchi, terrestri e aerei, al suo paese. Ha ribattuto ipotizzando altre sedi: “Vogliamo questo incontro, vogliamo parlare, vogliamo che la guerra finisca. Varsavia, Bratislava, Budapest, Istanbul, Baku. Le abbiamo proposte tutte ai russi”.
L’accenno a Istanbul e Baku è suonato interessante poiché comprovava l’impegno di mediazione che la Turchia, con l’amico Azerbaijan al traino, ha cercato in questi giorni di espletare, volendo il presidente turco Recep Tayyp Erdogan mantenere buoni rapporti sia con Mosca sia con Kiev, oltre a guadagnarci in prestigio personale come arbitro della situazione.
Fra l’altro il governo di Ankara, pur essendo membro della NATO, ha tenuto nella crisi un atteggiamento più equilibrato, almeno fino a questo momento, e sembra che, applicando alla lettera la Convenzione di Montreux del 1936 sul regime degli stretti dei Dardanelli e del Bosforo, consentirà, come precisato dallo stesso ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, alle navi russe presenti nel Mediterraneo, di transitare per tornare alle proprie basi nel Mar Nero. L’ambasciatore di Kiev ad Ankara, Vasly Bodnar, aveva chiesto ufficialmente alla Turchia di chiudere lo stretto alle navi russe.
Di fronte all’ennesimo “no” del presidente ucraino a una trattativa, da Mosca la mattina del 27 febbraio è stato lanciato un ultimatum per le 15.00, ora di Mosca, le 13.00 italiane, pena “gravi conseguenze”. Alla fine il leader di Kiev ha mercanteggiato per il 28 febbraio un incontro fra le rispettive delegazioni, ma non a Gomel, come chiesto dai russi, bensì in un punto di frontiera fra Ucraina e Bielorussia.
“Abbiamo convenuto che la delegazione ucraina si sarebbe incontrata con la delegazione russa senza precondizioni al confine ucraino-bielorusso, vicino al fiume Pripyat”. Zelensky ha anche aggiunto: “Non ci crediamo troppo, ma proviamoci”. Più ottimista è sembrato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba: “Non c’è niente di male nel parlare e se il risultato è la pace sarà la benvenuta”. Ma ha messo in chiaro: “Non cederemo neanche un centimetro del nostro territorio”.
La mattina del 28 febbraio il portavoce del ministero degli Esteri bielorusso, Anatoly Glaz, citato dall’agenzia statale Belta ha dichiarato che “la piattaforma per i negoziati tra Russia e Ucraina in Bielorussia è stata preparata”. I colloqui avrebbero preso il via alle 12 come ha riferito all’agenzia TASS il capo della delegazione russa Vladimir Medinsky (nella foto sotto), consigliere di Putin.
Nelle stesse ore del negoziato russo-ucraino, Zelensky guarda però al sostegno internazionale, tenendosi forse aperta la via della resistenza a oltranza. Si tiene infatti a Bruxelles un Consiglio di Difesa straordinario dell’Unione Europea, che segue l’annuncio del 27 febbraio con cui la presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen ha dichiarato “chiusi a tutti gli aerei russi i cieli dell’UE”, prendendo atto di decisioni similari che già vari singoli paesi membri hanno già preso unilateralmente, compresa l’Italia.
La Von Der Leyen ha inoltre annunciato sanzioni estese alla Bielorussia, “complice della Russia”, bloccandone le esportazioni di “combustibili, tabacco, legname, cemento, ferro e acciaio”.
Parimenti, il segretario della NATO Jens Stoltenberg (nella foto sotto) ha chiamato i membri ad armare l’Ucraina. La Germania ha approvato la consegna ai militari di Kiev di 1.000 armi anticarro (probabilmente Panzerfaust 3) e 500 missili antiaerei Stinger. La Polonia ha fornito attraverso la regione di Leopoli, per ora, armi anticarro, 8 droni e 100 mortai. E’ stato lo stesso il ministro della Difesa polacco, Mariusz Blaszczak, ad annunciare che “il convoglio con le munizioni che abbiamo offerto all’Ucraina è già in dirittura di arrivo ai nostri vicini”.
Dal canto suo, la Repubblica Ceca, dopo aver dato a Kiev 4.000 proiettili d’artiglieria, conferma la spedizione di “mitragliatrici, fucili di precisione, pistole e relative munizioni, per un valore di 7,5 milioni di euro”.
Perfino la Svezia, che insieme alla Finlandia ipotizza l’adesione alla NATO nonostante le minacce di Mosca, armerà gli ucraini, peraltro rompendo un proprio tabù, dato che è la prima volta dal 1939 che il governo di Stoccolma concede armamenti a un paese in guerra. La volta precedente fu quando aiutò la vicina Finlandia assalita dall’Unione Sovietica nella guerra d’inverno durata dal novembre 1939 al marzo 1940.
In arrivo in Ucraina anche 200 missili antiaerei Stinger dall’Olanda mentre il governo italiano dovrebbe delineare oggi con un decreto forniture all’Ucraina di mitragliatrici M2 Browning ed MG oltre a equipaggiamento protettivo individuale, missili antiaerei stinger e anticarro Spike.
L’Unione europea deve fornire all’Ucraina armi di grosso calibro e anticarro, ha affermato il 28 febbraio l’Alto rappresentante Ue per la Politica estera Josep Borrell. “Dobbiamo fornire munizioni, dobbiamo fornire cannoni di grosso calibro ed equipaggiamento anticarro, anche carburante, loro (gli ucraini) hanno bisogno di carburante per i loro carri armati, per i loro aerei, e tutto questo deve essere coordinato”, ha detto Borrell prima della riunione dei ministri della Difesa dell’Unione europea convocata per oggi.
Frattanto, la NATO si è riunita in veste di Consiglio Nord Atlantico su richiesta di Bulgaria, Cechia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia e in base all’articolo 4 del Trattato di Washington, che recita: “Le parti si consulteranno ogni volta che, nell’opinione di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti fosse minacciata”.
Lo stesso presidente del Consiglio italiano Mario Draghi lo ha spiegato in un’informativa alla Camera: “Il Consiglio Nord Atlantico ha approvato cinque piani di risposta graduale per consolidare la postura di deterrenza a Est. Le fasi successive, vincolate ad un’evoluzione dello scenario, prevedono l’assunzione di una postura di ‘difesa’ e, in seguito di ‘ristabilimento della sicurezza’. I piani prevedono l’incremento delle forze in territorio alleato, con il transito delle unità militari sotto la catena di comando e controllo del Comandante Supremo Alleato in Europa, e regole d’ingaggio per un impegno immediato”.
Il segretario dell’alleanza, il norvegese Jens Stoltenberg, ha reso noto che i piani sono stati attivati su impulso del comandante supremo alleato in Europa (SACEUR), che dal 2019 è il generale americano Tod Wolters, pilota di caccia dell’US Air Force. Per quanto riguarda l’impegno delle forze italiane nell’Est Europa, esse ammontano per ora a 1.400 militari pronti, fra cui gli Alpini della Brigata Taurinense stazionati in Lettonia e 4 caccia intercettori Eurofighter Typhoon dislocati sulla base aerea di Costanza, in Romania. Il governo italiano ha inoltre approvato la preparazione di una riserva di 2.000 militari pronti a essere inviati di rinforzo a Est secondo il concetto operativo IFFG, Immediate Follow-on Forces Group.
Minaccia atomica?
Frattanto, il presidente americano Joe Biden ha stanziato ulteriori 350 milioni di dollari di aiuti militari all’Ucraina, che portano la cifra totale dell’impegno USA a un miliardo dal 2021 a oggi. E non è da meno la Gran Bretagna, il cui ministro degli Esteri evoca l’invio di “volontari” (ipotesi scoraggiata però dal ministro della Difesa) che potrebbero essere un metodo per coprire l’invio di forze speciali e contractors.
Partendo dall’idea di una “legione internazionale di volontari” evocata dallo stesso Zelensky, infatti, che trasformerebbe il confronto ucraino-russo in qualcosa di simile alla Guerra di Spagna del 1936-1939, sfruttando peraltro un regolamento delle forze armate ucraine introdotto nel 2016 che dà la possibilità di arruolare stranieri “con contratto su base volontaria”, la ministra degli Esteri inglese Liz Truss si è messa a incoraggiare i britannici ad andare a sparare ai russi.
“Il popolo ucraino sta lottando per la libertà e la democrazia, non solo dell’Ucraina ma dell’intera Europa. E se vi sono persone che vogliono partecipare a quella lotta, le sosterrei nel farlo”. Le parole della Truss potrebbero essere lette fra le righe di un invio, forse anche massiccio, di truppe professioniste occidentali, britanniche, ma anche di altri paesi, “travestite” da volontari, ma in realtà schierate su ordine governativo. Esattamente quanto Hitler e Mussolini fecero in Spagna, appunto nel 1936, inviandovi i rispettivi aviatori della Legione Condor e dell’Aviazione Legionaria.
Di fronte alla tensione che si alza, il 27 febbraio, Putin s’è consultato col ministro della Difesa, generale Sergei Shoigu, e col generale Gerasimov, dopo che Stoltenberg aveva dichiarato: “Dobbiamo esser pronti a fare di più, anche se significa avere un prezzo da pagare”.
Il presidente russo ha così deciso, di concerto coi suoi massimi consiglieri militari, di mettere in stato d’allerta le forze nucleari russe, motivando così il grave passo: “Alti funzionari della NATO rilasciano dichiarazioni aggressive contro la Russia”.
Al Cremlino, la Casa Bianca ribatte: “Putin è una fabbrica di minacce, ma siamo in grado di difenderci”, mentre la NATO parla di “irresponsabilità”. Un rapporto ufficiale del Pentagono afferma: “Ufficiali USA non dubitano che il presidente russo Vladimir Putin abbia messo le forze di deterrenza nucleare della Russia in massima allerta. Non abbiamo ragione di dubitare di questi rapporti. Questo è un passo non necessario da parte di Putin, che non è mai stato sotto minaccia dalla NATO, e certamente non dall’Ucraina”. Prosegue la nota del Dipartimento alla Difesa USA: “E’ una mossa ‘escalatoria’ perchè sta potenzialmente mettendo in gioco forze che, se ci sono errori di calcolo, possono fare cose molto più pericolose. Rimaniamo fiduciosi nella nostra abilità di difenderci e di difendere i nostri alleati e amici e che è inclusa nel nostro deterrente”.
Evocare la guerra nucleare per intimorire la NATO è certamente una mossa inquietante, che non pare commisurata alla posta in gioco in Ucraina, sebbene sia da ricordare che il giorno prima Biden aveva anch’egli usato parole sopra le righe, riferendosi all’alternativa fra le pesanti sanzioni economiche alla Russia e uno scontro diretto: “L’alternativa all’imposizione di dure sanzioni alla Russia sarebbe la terza guerra mondiale. Ci sono due opzioni: o la terza guerra mondiale o far pagare un prezzo alto alla Russia. Queste sanzioni sono le più ampie della storia dal punto di vista economico e politico”.
Se da un lato Putin e il suo staff possono aver pensato a usare lo stesso tipo di linguaggio che, a suo tempo, provarono a usare Krushev o Breznev, con significato meramente diplomatico, come rafforzativo di quel monito alla NATO perchè non “interferisca” in Ucraina, dall’altro lato, si spera che alla decisione non abbia concorso una sensazione falsata di sicurezza e supremazia derivante dagli oggettivi vantaggi dell’arsenale atomico russo su quello americano.
Gioverà rammentare che la Russia dispone ancor oggi del maggior numero di armi nucleari al mondo, pur lontano dai picchi della Guerra Fredda. Parliamo di 6400 testate totali, divise in 1600 strategiche, e 4800 tattiche. Meno (ma pur sempre molte) ne hanno gli Stati Uniti con 4018 testate nucleari, di cui 1365 strategiche e 2653 tattiche. Fra queste ultime rientrano le 90 bombe atomiche B61, sganciabili da caccia/cacciabombardieri F-16, Tornado ed F-35, conservate in Italia nelle basi di Aviano (Pordenone) e Ghedi (Brescia) e, come noto, utilizzabili anche dall’Aeronautica Militare Italiana, su ordine americano, in base al concetto del Nuclear Sharing, esteso anche alle aviazioni di Germania, Olanda, Belgio e Turchia.
Nel settore dei missili balistici intercontinentali (ICBM), i russi hanno un doppio vantaggio sugli americani. Dispongono di ordigni più diversificati, lanciabili non solo da rampe fisse sotterranee, che sono per loro natura più vulnerabili e di ubicazione nota, ma anche da rampe mobili autocarrate, sempre in movimento e occultabili ovunque, in bunker, fra edifici, nelle vallate o nelle sconfinate foreste della taiga siberiana.
Dunque non sempre rilevabili, sfuggenti tanto quanto i sottomarini SSBN sparsi negli oceani del globo. In più, alcuni di essi, i missili UR-100NUTTH, montano già testate ipersoniche Avangard, veicoli spaziali con velocità di 33.000 km/h (Mach 27) che nella fase del rientro nell’atmosfera sono accreditati di manovre evasive per schivare le difese antimissile. Negli ipersonici, si sa che gli americani sono ancora indietro, persino rispetto alla Cina. In più il loro ICBM standard, il Minuteman III, risale al 1972, anche se più volte aggiornato, ed è disponibile sono in silos fissi.
Il suo ipotetico successore, il missile del programma GBSD (Ground Based Strategic Deterrent, Deterrente Strategico con Base a Terra), per la cui realizzazione il colosso Northrop Grumman ha vinto un appalto da 13 miliardi di dollari, sarà pronto non prima del 2029. Le forze nucleari russe fra l’altro hanno tenuto appena lo scorso 19 febbraio estese esercitazioni di lancio, mentre gli americani hanno provato la catena di comando e la prontezza dei loro ICBM con le manovre Global Lightning di gennaio.
In linea teorica, la dirigenza russa sa bene che una guerra nucleare estesa non è un’opzione e non può essere davvero vinta da nessuno. Lo scorso 3 gennaio 2022 anche la Russia, come le altre quattro potenze permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU, aveva firmato la dichiarazione congiunta sull’impossibilità della guerra nucleare.
L’evocazione di questa minaccia da parte di Putin dovrebbe essere considerata quindi una forzatura nell’ambito dei messaggi diplomatici che le potenze sono solite scambiarsi. E anche la nuova disponibilità della Bielorussia a ospitare armi nucleari russe come deterrente verso le basi missilistiche americane in Polonia e Romania è un segnale di questo tipo. Ma è importante che entrambe le parti intendano i messaggi nel modo corretto e non, magari presupponendo erroneamente che l’uno stia preparando un “primo colpo” ai danni dell’altro. Quello che è certo è che gli eventi di questi giorni, conseguenza di negligenze, malafede e malintesi protrattisi a partire dalla fine della Guerra Fredda e dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel dicembre 1991, sembrano rappresentare la resa dei conti di un intero trentennio.
Foto Ministero Difesa Russo, Ministero Difesa Ucraino, TASS, RIA Novosti, Twitter e NATO