La leadership USA: Quando “America First” può diventare “America Alone”
Come il rifiuto di sostenere i costi della leadership globale sta indebolendo l’Occidente e rafforzando i rivali
Per comprendere il momento storico che stiamo vivendo, dobbiamo partire da una verità fondamentale che ha guidato la politica americana per oltre settant’anni: la leadership globale comporta dei costi che il leader deve essere disposto a sostenere. Questa non è una teoria accademica, ma una lezione pratica che l’America ha imparato dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale e che oggi sembra aver dimenticato.
Immaginiamo la leadership come la gestione di un condominio complesso. Il proprietario dell’appartamento più grande e ricco può scegliere due strade: può assumere la responsabilità di mantenere l’edificio in buone condizioni, pagando una quota maggiore per le spese comuni, oppure può rifiutarsi di contribuire più degli altri e vedere gradualmente deteriorarsi l’intero stabile. La differenza è che, nel primo caso, il valore del suo appartamento cresce insieme a quello dell’intero edificio, mentre nel secondo caso tutti gli appartamenti, incluso il suo, perdono valore.
Questa metafora ci aiuta a comprendere il dilemma americano contemporaneo: l’America di Trump ha scelto la seconda strada, con conseguenze che stanno rimodellando l’equilibrio globale in modi che Washington non aveva previsto.
Le fondamenta della leadership Americana: Una storia di investimenti strategici
Per apprezzare la portata del cambiamento attuale, dobbiamo prima comprendere come l’America costruì la sua egemonia globale. Dopo il 1945, gli Stati Uniti fecero una scelta rivoluzionaria: invece di comportarsi come un conquistatore tradizionale che estrae ricchezze dai vinti, decisero di investire massicciamente nella ricostruzione e nella prosperità dei loro alleati.
Il piano marshall: L’investimento che creò l’occidente
Il Piano Marshall rappresenta l’esempio perfetto di come la leadership americana funzionasse nel suo momento migliore. Tra il 1948 e il 1952, l’America investì oltre 130 miliardi di dollari (in valori attuali) per ricostruire l’Europa occidentale devastata dalla guerra. Superficialmente, questo poteva sembrare un regalo costoso a nazioni sconfitte o alleate esauste.
Ma pensiamo più a fondo: cosa ottenne l’America in cambio? Creò un blocco di alleati prosperi e stabili che divennero mercati per i prodotti americani, partner diplomatici affidabili e barriere contro l’espansionismo sovietico. L’investimento iniziale si trasformò in decenni di crescita economica condivisa, stabilità politica e supremazia strategica americana.
Il sistema bretton woods: Quando pagare di più significa ottenere di più
Un altro esempio illuminante è il sistema monetario internazionale creato a Bretton Woods nel 1944. L’America accettò di legare il dollaro all’oro e di garantire la convertibilità, assumendosi enormi responsabilità finanziarie. In cambio, il dollaro divenne la valuta di riserva mondiale, conferendo agli Stati Uniti un potere economico senza precedenti nella storia.
Questo sistema funzionò perché l’America era disposta a pagare il prezzo della leadership: fornire stabilità monetaria globale anche quando questo significava limitare la propria libertà di azione economica.
La NATO: La protezione come investimento strategico
La creazione della NATO nel 1949 rappresentò un altro costo significativo che l’America accettò volentieri. Garantire la protezione militare dell’Europa occidentale richiedeva investimenti enormi in basi, truppe e armamenti. Ma questo “costo” si trasformò nel più grande vantaggio strategico della Guerra Fredda: un sistema di alleanze che circondò l’Unione Sovietica e garantì la vittoria finale dell’Occidente.
Questi esempi storici ci insegnano una lezione fondamentale: la leadership americana funzionava perché seguiva un’equazione apparentemente controintuitiva. Più l’America investiva nel successo dei suoi alleati, più forte diventava la propria posizione globale. Era come un architetto che costruisce fondamenta solide: costa di più all’inizio, ma l’edificio risultante è molto più stabile e duraturo.
L’equazione funzionava perché creava quello che gli economisti chiamano “giochi a somma positiva”: situazioni in cui tutti i partecipanti traggono beneficio dalla cooperazione. L’Europa si ricostruiva e prosperava, il Giappone diventava un partner economico fondamentale, l’America vedeva espandersi i suoi mercati e rafforzarsi la sua sicurezza.
Quando tutti vincono, il sistema si rinforza. Gli alleati hanno interesse a mantenere il loro leader al potere perché la sua leadership è vantaggiosa anche per loro. È la differenza tra un imperatore temuto, che può essere rovesciato al primo segno di debolezza, e un leader rispettato, che può contare sulla lealtà dei suoi seguaci anche nei momenti difficili.
America First: La rottura di un sistema vincente
Ora arriviamo al cuore del problema contemporaneo. La filosofia “America First” di Donald Trump rappresenta una rottura fondamentale con questo modello di leadership che aveva funzionato per settant’anni. Ma per comprendere veramente l’impatto di questo cambiamento, dobbiamo analizzarlo passo dopo passo.
La differenza fondamentale sta nell’approccio mentale. Dove i leader americani precedenti vedevano gli alleati come partner in un progetto comune di lungo termine, Trump li vede come approfittatori che sfruttano la generosità americana. È come se il proprietario del nostro condominio immaginario decidesse improvvisamente che gli altri inquilini lo stanno derubando e pretendesse di pagare solo la sua quota esatta.
Questo cambiamento di prospettiva trasforma automaticamente ogni relazione da cooperativa a conflittuale. Gli alleati non sono più partner da rafforzare, ma concorrenti da cui ottenere di più. Il risultato inevitabile è l’erosione della fiducia reciproca che costituiva il cemento dell’alleanza occidentale.
Le politiche concrete di Trump illustrano chiaramente questo cambiamento. Prendiamo alcuni esempi specifici per comprendere il meccanismo:
Le minacce alla NATO: Trump ha ripetutamente minacciato di non difendere gli alleati NATO che non raggiungono il 2% di spesa militare sul PIL. Superficialmente, la richiesta sembra ragionevole: perché l’America dovrebbe pagare di più per la difesa comune? Ma questo ragionamento ignora i benefici che l’America trae dalla NATO: basi strategiche in tutto il mondo, intelligence condivisa, mercati per l’industria della difesa americana, e soprattutto una rete di alleanze che amplifica enormemente il potere americano.
I dazi commerciali: L’imposizione di dazi su acciaio, alluminio e altri prodotti europei è stata giustificata come correzione di “squilibri commerciali”. Ma questi dazi hanno danneggiato le catene di approvvigionamento integrate che rendevano l’economia occidentale più efficiente e competitiva rispetto ai rivali sistemici come la Cina.
Il ritiro dagli accordi multilaterali: Dall’Accordo di Parigi al Trans-Pacific Partnership, Trump ha sistematicamente ritirato l’America da forum internazionali dove aveva una posizione di leadership. Il ragionamento era che questi accordi limitavano la sovranità americana, ma il risultato pratico è stato lasciare spazio ad altri attori per riempire il vuoto di leadership.
Come america first danneggia l’occidente
Per comprendere veramente l’impatto di queste politiche, dobbiamo seguire la catena di causa ed effetto che si è innescata. È come gettare un sasso in uno stagno: le onde si propagano in cerchi sempre più ampi, con effetti che spesso vanno ben oltre le intenzioni iniziali.
Il primo effetto è stato l’erosione della fiducia strategica tra l’America e i suoi alleati tradizionali. Gli alleati europei, vedendosi trattati più come avversari commerciali che come partner strategici, hanno iniziato a dubitare dell’affidabilità americana nel lungo termine.
Questa perdita di fiducia non è solo emotiva, ma ha conseguenze pratiche concrete. Se non posso contare sul mio alleato principale, devo sviluppare alternative. È così che nascono progetti come l’esercito europeo comune e l’autonomia strategica europea: non per sostituire l’alleanza atlantica, ma come assicurazione contro la sua possibile rottura.
Quando il leader di un’alleanza smette di investire nell’unità del gruppo, inevitabilmente il gruppo inizia a frammentarsi. Abbiamo visto questo fenomeno accelerarsi durante l’amministrazione Trump: i paesi europei hanno iniziato a cercare accordi bilaterali con la Cina, la Germania ha continuato il progetto Nord Stream con la Russia nonostante l’opposizione americana, la Francia ha promosso l’idea di “sovranità europea”.
Questi non sono atti di ribellione, ma reazioni naturali all’indebolimento della leadership americana. Quando il leader non fornisce più la direzione strategica e la protezione che giustificavano la sua posizione, i seguaci iniziano necessariamente a pensare in modo più indipendente.
Forse ancora più importante è stata l’erosione del soft power americano. Per decenni, l’America aveva esercitato un’attrazione magnetica sul resto del mondo: era il paese dove tutti volevano studiare, investire, emigrare. Questo soft power era una fonte di forza enorme, perché rendeva più facile per l’America ottenere cooperazione senza dover ricorrere alla coercizione.
Le politiche America First hanno sistematicamente indebolito questa attrazione. Le politiche immigratorie restrittive, il ritiro dalla leadership climatica, la retorica divisiva hanno tutti contribuito a offuscare l’immagine dell’America come faro di libertà e opportunità.
Un esempio particolarmente emblematico delle contraddizioni della politica America First sarebbe emerso nell’agosto 2025 durante il summit di Trump e Putin in Alaska. Mentre l’Europa rimane tagliata fuori dalle risorse energetiche russe a causa delle sanzioni per la guerra in Ucraina, Trump avrebbe negoziato accordi energetici con Mosca che favorirebbero direttamente le compagnie americane.
Durante questo incontro, secondo Reuters, sarebbero stati discussi “tre accordi principali” per “ripristinare le linee vitali energetiche della Russia dopo anni di sanzioni”: il rientro di Exxon Mobil nel progetto russo Sakhalin-1, l’acquisto russo di attrezzature americane per progetti di gas liquefatto, e l’acquisto americano di “navi rompighiaccio a propulsione nucleare” dalla Russia.
Secondo The Wall Street Journal, citato da EurAsian Times, “un alto dirigente di ExxonMobil avrebbe tenuto colloqui segreti con la più grande compagnia energetica statale russa, Rosneft, per ritornare al massiccio progetto Sakhalin”, con investimenti preliminari che sarebbero stimati “a 10-15 miliardi di dollari”. Business Standard conferma che “Putin ha firmato un decreto permettendo alle compagnie straniere di possedere nuovamente quote nell’entità russa che gestisce Sakhalin dall’uscita di Exxon” proprio “lo stesso giorno del summit in Alaska”.
Il paradosso sarebbe lampante: mentre Trump punirebbe l’Europa con dazi per la sua “dipendenza” dalla Russia e minaccerebbe gli alleati NATO per i loro rapporti con Mosca, simultaneamente negozierebbe lucrosi accordi energetici che escluderebbero proprio quegli alleati europei che dovrebbero essere i primi beneficiari della solidarietà occidentale. L’Europa, privata dell’accesso diretto alle risorse energetiche russe a causa della guerra in Ucraina, si ritroverebbe doppiamente penalizzata: dalle sanzioni contro Mosca e dall’esclusione dagli accordi energetici americano-russi.
Il paradosso strategico: Come Trump sta aiutando i suoi avversari
Qui arriviamo al paradosso più sorprendente di tutta la strategia America First: nel tentativo di ottenere di più dai rapporti internazionali, Trump sta involontariamente rafforzando proprio quei rivali strategici che l’America dovrebbe contenere. È come se, nel tentativo di ottenere una fetta più grande della torta, stesse facendo rimpicciolire l’intera torta a vantaggio dei concorrenti.
La Cina ha osservato con incredulità e gratitudine le politiche americane degli ultimi anni. Pechino non avrebbe mai potuto sperare in un regalo strategico più grande di quello che Trump le ha fatto involontariamente consegnando.
Consideriamo la sequenza degli eventi dal punto di vista cinese:
Il ritiro americano dal TPP: Il Trans-Pacific Partnership era stato concepito specificamente per creare un blocco commerciale Asia-Pacifico centrato sull’America e che escludeva la Cina. Il ritiro americano da questo accordo ha lasciato campo libero alla Cina per espandere la propria influenza economica nella regione attraverso iniziative come la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP).
La guerra commerciale controproducente: I dazi americani sulla Cina, invece di indebolire Pechino, hanno accelerato due processi che l’America avrebbe dovuto evitare: la diversificazione delle catene di approvvigionamento cinesi verso altri mercati e lo sviluppo di tecnologie domestiche cinesi per ridurre la dipendenza americana.
L’isolamento degli alleati: Ogni volta che l’America entra in conflitto con i suoi alleati tradizionali, offre alla Cina un’opportunità di presentarsi come partner alternativo più affidabile. Quando Trump impose dazi sull’acciaio europeo, la Cina si offrì di aumentare le sue importazioni dall’Europa. Quando l’America si ritirò dagli accordi climatici, la Cina si posizionò come leader globale nella lotta al cambiamento climatico.
Forse ancora più significativo è il modo in cui le politiche Trump hanno involontariamente rafforzato il blocco dei BRICS. Questo gruppo, che include Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, più i nuovi membri recenti, rappresenta ora oltre il 40% della popolazione mondiale e circa un terzo del PIL globale.
Storicamente, i BRICS erano un gruppo eterogeneo con molte divisioni interne. L’India e la Cina hanno dispute territoriali, il Brasile e la Russia hanno sistemi politici molto diversi, il Sudafrica ha un’economia molto più piccola degli altri membri. Queste differenze rendevano difficile una cooperazione realmente efficace.
Ma le politiche America First hanno creato qualcosa che i BRICS non erano mai riusciti a creare da soli: un incentivo comune forte per cooperare. Quando Trump minaccia dazi contro “qualsiasi paese che si allinei con le politiche anti-americane dei BRICS”, trasforma automaticamente il gruppo da forum di dialogo a alleanza di necessità.
Le minacce economiche americane hanno spinto questi paesi a sviluppare alternative al sistema finanziario dominato dal dollaro. Hanno accelerato gli accordi commerciali in valute locali, sviluppato sistemi di pagamento alternativi a SWIFT, e rafforzato la cooperazione in settori strategici come l’energia e la tecnologia.
Il risultato paradossale è che Trump, nel tentativo di intimidire i BRICS, li ha uniti più di quanto fossero mai stati prima. È come se, volendo dividere i suoi avversari, li avesse involontariamente aiutati a superare le loro differenze e a coalizzarsi contro l’America.
Ma il danno maggiore viene dal comportamento degli alleati tradizionali americani. Quando questi paesi iniziano a dubitare dell’affidabilità americana, cominciano naturalmente a diversificare le loro partnership strategiche. E indovinate chi è sempre pronto ad accogliere questi nuovi partner? La Cina e i suoi alleati.
Prendiamo l’esempio dell’Europa: di fronte alle minacce commerciali americane e all’inaffidabilità strategica di Trump, molti paesi europei inizialmente accelerarono i loro rapporti economici con la Cina. La Germania, nonostante le pressioni americane, aveva completato il gasdotto Nord Stream 2 con la Russia. L’Italia, sotto il governo Conte, divenne nel 2019 il primo paese del G7 ad aderire alla Belt and Road Initiative cinese, per poi ritirarsi sotto pressione americana nel 2024 durante il governo Meloni.
Questi non sono atti di tradimento verso l’America, ma risposte razionali all’indebolimento della leadership americana. Quando il tuo alleato principale diventa inaffidabile, devi necessariamente cercare alternative per proteggere i tuoi interessi nazionali.
Per comprendere veramente dove potrebbe portare questa strada, possiamo guardare ad altri esempi storici di grandi potenze che hanno smesso di investire nella loro leadership globale.
Il Declino Britannico: Un caso di studio
L’Impero Britannico offre un parallelo illuminante. Dopo la Prima Guerra Mondiale, il Regno Unito si trovò in una situazione simile a quella americana oggi: era ancora la potenza dominante, ma i costi dell’impero stavano diventando sempre più pesanti rispetto ai benefici apparenti.
La risposta britannica fu gradualmente ridurre gli investimenti nell’impero: meno truppe nelle colonie, meno investimenti nelle infrastrutture coloniali, meno sostegno finanziario agli alleati. Ogni singola decisione sembrava ragionevole dal punto di vista del bilancio britannico, ma l’effetto cumulativo fu devastante.
Quando arrivò la Seconda Guerra Mondiale, il Regno Unito scoprì di non avere più le risorse per mantenere il suo ruolo globale. Dovette cedere la leadership mondiale agli Stati Uniti, non per una sconfitta militare, ma per aver smesso di investire nella propria posizione dominante.
L’Unione Sovietica: Il costo dell’isolamento
Un esempio ancora più pertinente è quello dell’Unione Sovietica negli anni ’80. L’URSS aveva costruito un blocco di alleati attraverso una combinazione di ideologia e sostegno economico-militare. Ma quando le difficoltà economiche interne resero troppo costoso mantenere questo sostegno, il sistema iniziò a collassare.
La differenza cruciale è che il sistema sovietico era basato sulla coercizione piuttosto che sull’attrazione. Quando l’URSS non riuscì più a sostenere i costi della leadership, i suoi “alleati” non avevano incentivi intrinseci a rimanere fedeli. Il risultato fu un collasso rapido e totale.
L’America è in una posizione potenzialmente migliore perché il suo sistema di alleanze è basato sui benefici reciproci piuttosto che sulla coercizione. Ma questo vantaggio scompare se l’America smette di fornire quei benefici che giustificano la sua leadership.
Le alternative che si stanno formando
Mentre l’America si concentra su America First, il resto del mondo non resta immobile. Si stanno formando nuove alleanze e nuovi centri di potere che potrebbero un giorno sfidare o sostituire la leadership americana. Comprendere questi sviluppi è cruciale per valutare il costo reale delle politiche attuali.
La Cina non sta semplicemente aspettando che l’America si indebolisca; sta attivamente costruendo un sistema alternativo di alleanze e relazioni economiche. La Belt and Road Initiative, che coinvolge già oltre 70 paesi, rappresenta il più ambizioso progetto di integrazione economica dalla creazione del sistema Bretton Woods.
Ma c’è una differenza fondamentale nell’approccio cinese: mentre l’America del dopoguerra investì nella ricostruzione e nella prosperità dei suoi alleati, la Cina sta usando principalmente prestiti e investimenti diretti. Questo crea rapporti di dipendenza piuttosto che di partnership paritaria.
Paradossalmente, questo dovrebbe rendere il sistema cinese meno stabile di quello americano nel lungo termine. Ma se l’America continua a ritirarsi dalla leadership globale, la Cina potrebbe non aver bisogno di un sistema perfetto, solo di uno migliore delle alternative disponibili.
Scenari possibili
Comprendendo la dinamica attuale, possiamo iniziare a immaginare dove potrebbero portare questi trend se continuassero inalterati. Naturalmente, il futuro è sempre incerto, ma possiamo identificare alcune traiettorie probabili basate su quello che sappiamo dei meccanismi di potere e alleanze internazionali.
Scenario 1: Il mondo multipolare
Il più probabile risultato delle politiche America First è l’accelerazione della transizione verso un mondo multipolare. Invece di un sistema dominato da una singola superpotenza (l’America), avremmo diversi centri regionali di potere: l’America nelle Americhe, la Cina nell’Asia orientale, l’Europa nell’Europa occidentale, la Russia nell’Asia centrale, e così via.
Superficialmente, questo potrebbe non sembrare così male per l’America. Dopotutto, rimarrebbe la potenza dominante nel suo “cortile di casa”. Ma storicamente, i sistemi multipolari sono stati molto meno stabili di quelli unipolari. Senza un leader globale chiaro, aumentano le probabilità di conflitti tra le diverse sfere di influenza.
Inoltre, l’America perderebbe molti dei vantaggi che derivano dalla leadership globale: l’accesso privilegiato ai mercati mondiali, la capacità di determinare le regole del commercio internazionale, il privilegio di avere la valuta di riserva mondiale.
Scenario 2: La sostituzione egemonica
Uno scenario più estremo, ma non impossibile, è che la Cina riesca effettivamente a sostituire l’America come potenza egemonica globale. Questo richiederebbe che la Cina continui la sua crescita economica e espansione dell’influenza mentre l’America continua a ritirarsi dalla leadership globale.
Storicamente, questi “passaggi di consegne” egemonici sono stati quasi sempre accompagnati da guerre devastanti (la cosiddetta “trappola di Tucidide“). Ma nel mondo nucleare moderno, un conflitto diretto tra superpotenze sarebbe così distruttivo che entrambe le parti hanno forti incentivi ad evitarlo.
Più probabile sarebbe una competizione prolungata simile alla Guerra Fredda, ma con l’importante differenza che questa volta l’America non partirebbe da una posizione di chiaro vantaggio.
Scenario 3: Il ritorno alla leadership americana
Naturalmente, esiste anche la possibilità che l’America riconosca gli errori delle politiche America First e torni a investire nella leadership globale. Questo richiederebbe un cambiamento fondamentale nell’approccio politico americano: dal vedere gli alleati come approfittatori al riconoscerli come partner essenziali.
Un tale cambiamento non sarebbe senza precedenti. L’America ha dimostrato in passato una notevole capacità di correggere la rotta quando necessario. Ma ogni anno che passa senza questo cambiamento rende più difficile ricostruire la fiducia e l’influenza perse.
Cosa dovrebbe fare l’America
Comprendendo i meccanismi che abbiamo analizzato, possiamo iniziare a delineare cosa dovrebbe fare l’America se vuole mantenere la sua posizione di leadership globale. Queste non sono ricette semplici, ma principi strategici basati sulla comprensione di come funziona realmente la leadership internazionale.
Il primo passo sarebbe riconoscere che la leadership globale è un investimento, non un costo. Ogni dollaro speso per rafforzare gli alleati, ogni concessione fatta per mantenere l’unità occidentale, ogni programma di aiuti che contribuisce alla stabilità globale dovrebbe essere visto come un investimento nel mantenimento della posizione americana.
Questo significa, concretamente, tornare a vedere la NATO non come un peso finanziario ma come il moltiplicatore di potenza più efficace mai inventato. Significa vedere l’Unione Europea non come un concorrente commerciale ma come un partner essenziale nella competizione con la Cina. Significa riconoscere che il soft power americano – l’attrazione che l’America esercita sul resto del mondo – è una risorsa strategica preziosa quanto le portaerei.
Il secondo passo sarebbe intraprendere uno sforzo sistematico per ricostruire la fiducia degli alleati tradizionali americani. Questo richiederebbe non solo cambiamenti nelle politiche, ma anche nel modo di comunicare con gli alleati.
Invece di vedere ogni negoziazione internazionale come un gioco a somma zero in cui l’America deve “vincere”, bisognerebbe tornare all’approccio che ha funzionato nel dopoguerra: creare situazioni in cui tutti i partecipanti traggono beneficio dalla cooperazione, con l’America che guadagna di più perché è il leader del sistema.
Competere efficacemente con la Cina
Il terzo passo sarebbe sviluppare una strategia coerente per competere con la Cina che vada oltre i dazi e le minacce commerciali. La vera competizione con la Cina non si vincerà isolando l’America dai suoi alleati, ma creando un’alleanza occidentale così attraente e efficace che i paesi di tutto il mondo preferiranno associarsi con essa piuttosto che con il sistema cinese.
Questo significa offrire alternative concrete alle iniziative cinesi come la Belt and Road Initiative. Significa cooperare con gli alleati europei e asiatici per sviluppare standard tecnologici che competano con quelli cinesi. Significa usare il vantaggio americano nella ricerca e nell’innovazione per mantenere la leadership tecnologica.
Siamo arrivati a un momento di scelta cruciale nella storia americana e globale. Le politiche America First hanno chiaramente dimostrato i loro limiti e i loro effetti controproducenti. La domanda ora è se l’America sarà capace di imparare da questi errori e correggere la rotta prima che sia troppo tardi.
La lezione fondamentale che emerge dalla mia analisi è semplice ma profonda: la vera forza non viene dal prendere di più dagli altri, ma dal rendere gli altri più forti insieme a te. Questo principio, che guidò l’America alla vittoria nella Guerra Fredda, rimane valido oggi nella competizione con la Cina e i BRICS.
L’America ha ancora molte carte da giocare: la più grande economia del mondo, la tecnologia più avanzata, le università migliori, la cultura più influente. Ma queste risorse da sole non bastano se non sono messe al servizio di una strategia di leadership che riconosca i benefici della cooperazione internazionale.
Il costo del cambiamento – tornare a investire nella leadership globale – può sembrare alto nel breve termine. Ma il costo dell’inazione – la perdita graduale della posizione americana nel mondo – sarà molto più alto nel lungo termine.
La storia ci insegna che le grandi potenze che smettono di investire nella loro leadership finiscono inevitabilmente per perdere quella leadership. L’America ha ancora tempo per evitare questo destino, ma la finestra di opportunità si sta restringendo. La domanda che determinerà il futuro è se l’America sceglierà di pagare il prezzo della leadership globale o quello del declino globale.
Come sempre nella storia, la scelta appartiene ai leader e ai cittadini americani. Ma le conseguenze di quella scelta si sentiranno in tutto il mondo per generazioni a venire.
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Come il rifiuto di sostenere i costi della leadership globale sta indebolendo l’Occidente e rafforzando i rivali Per comprendere il momento storico che stiamo vivendo, dobbiamo partire da una verità fondamentale che ha guidato la politica americana per oltre settant’anni:…
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