La pace come una chimera: le ragioni del Cremlino per il ritorno all’impero e la contrapposizione all’Occidente (con l’immancabile minaccia nucleare)
Tante parole sono state spese dal febbraio 2022, quando le forze armate di Mosca hanno rotto gli indugi e dato il via alle operazioni per l’invasione dell’Ucraina; molti ragionamenti corretti ed interessanti sono stati sviluppati da storici, politologi e giornalisti come esempi per comprendere le motivazioni sostantive ad un conflitto che, col passare del tempo, si è intensificato ed ha visto il coinvolgimento di un numero sempre maggiore di attori a livello globale. Altrettanti ragionamenti, al contrario, fuorvianti, mistificatori e superficiali sono stati divulgati a scopo propagandistico, per guadagnare il consenso e sostenere le politiche e le ragioni dell’una o dell’altra parte, attività svolta in modo particolarmente intenso ed invasivo ad opera del Cremlino.
L’obiettivo di questo articolo è individuare un continuum nel pensiero politico-strategico russo riferito segnatamente ai timori della Federazione Russa relativi ad un Occidente percepito come ostile, come una minaccia incombente per la stabilità e la sicurezza della Russia. Parliamo di una diffidenza manifestatasi subito all’indomani del dissolvimento dell’Unione Sovietica e protrattasi fino ad oggi. Parliamo di una paura che, alimentata attraverso il consolidamento del concetto di “estero vicino” in riferimento agli Stati in precedenza inglobati nell’ex Unione Sovietica e via via diventati indipendenti, ha posto le fondamenta per tutti i conflitti successivi alla caduta del muro di Berlino che hanno visto la Russia coinvolta direttamente o indirettamente, fino alla violazione in forze dei confini ucraini prima in modo silenzioso e dissimulato in Crimea nel 2014, poi, in modo più eclatante, con l’invasione dell’Ucraina nel 2022. A tale scopo, analizzeremo una serie di saggi e di articoli che, attraverso un confronto che ne colga gli argomenti comuni, individuino la “progressione ideologica” che inizia dalle paure post-sovietiche e giunge alla teorizzazione di un uso disinvolto dell’arma nucleare come garanzia dell’inviolabilità dei confini nazionali storicamente concepiti da Mosca.
Lo scetticismo Brzezinski
Il primo testo che vogliamo prendere in considerazione è il saggio The premature partnership del politologo Zbigniew Brzezinski, il quale nel 1994 affermò senza mezzi termini che i tempi non erano ancora maturi per una collaborazione fattiva e su vasta scala tra Russia e Stati Uniti, al di là di tutti i buoni propositi. Brzezinski parte dalla constatazione che nel periodo della presidenza di Bill Clinton l’obiettivo del contenimento di una potenziale nuova volontà espansionistica della Russia sorta dalle ceneri dell’Unione Sovietica dove essere conseguito attraverso un processo di democratizzazione che portasse ad uno spirito di collaborazione fattiva, un partenariato appunto:
“Le premesse di fondo e reciprocamente rafforzanti di questa nuova grande strategia sono che le prospettive per l’emergere di una democrazia russa stabile e duratura, basata su un’economia di libero mercato, siano ragionevolmente elevate; e che quanto precede renda fattibile una partnership con gli Stati Uniti. In tale contesto, il sostegno totale a Boris Eltsin come leader russo autenticamente democratico è la logica conseguenza tattica, a prescindere dalle occasionali carenze nella sua performance come leader democratico.”1
In questo clima idilliaco ed eccessivamente ottimista, Clinton si spingeva ad affermare che l’esercito russo andava visto come strumentale nella stabilizzazione della situazione politica in Georgia, e ne vedeva un legittimo coinvolgimento nelle aree confinanti alla Federazione Russa, alla stregua di quanto avevano fatto gli Stati Uniti a Panama e Grenada. In definitiva, gli Stati non più sovietici avrebbero dovuto rinunciare a un eccessivo nazionalismo e a trovare un compromesso con Mosca.
La realtà della prospettiva di un governo improntato ad una democrazia stabile, tuttavia, venne rapidamente smentita dalla propensione autoritaria del presidente Eltsin, che trasformò la nuova costituzione per una Russia democratica in un documento facilmente utilizzabile per legittimare un governo personale arbitrario. Contestualmente, la grave crisi economica che colpì il Paese, rese ben poco attraenti agli occhi della popolazione sia la democrazia come forma di governo, sia il libero mercato che, di fatto, vedeva arricchirsi solo gli oligarchi e le loro cerchie di fedelissimi.
Un’altra spinosa questione contribuiva a complicare la situazione: il problema dell’identità nazionale ed il ruolo che la Russia doveva avere come attore globale:
“I sondaggi indicano che la dissoluzione dell’Unione Sovietica è vista da circa due terzi del popolo russo, e persino dalla maggioranza dei politici democratici, come un tragico errore, qualcosa che deve essere in qualche modo annullato. Eppure, qualsiasi tentativo di ricreare una qualche forma di impero, reprimendo le risvegliate aspirazioni nazionali dei non russi, si scontrerebbe sicuramente frontalmente con lo sforzo di consolidare una democrazia all’interno della Russia. Il punto fondamentale è un assioma semplice ma convincente: la Russia può essere un impero o una democrazia, ma non può essere entrambe le cose.”2
Su tali premesse, la politica russa nei confronti dei Paesi ex-sovietici e ora considerati appartenenti al cosiddetto “estero vicino” si concentrò, allora, su due aspetti in particolare: la progressiva privazione dell’autonomia economica dei nuovi stati indipendenti e la prevenzione dell’emergere di forze armate indipendenti.
Il primo aspetto doveva far comprendere che la ripresa economica dei singoli Stati chiamati a fronteggiare le crisi al proprio interno fosse possibile solo attraverso una maggiore integrazione della comunità degli Stati stessi, la neo-costituita Comunità degli Stati Indipendenti. Il secondo aspetto, cercava di limitare gli eserciti nazionali a forze essenzialmente simboliche e nominali, da integrare sempre più sotto il comando di Mosca. Per contro, fin da subito l’Ucraina si impegnò in seri sforzi per plasmare un proprio esercito.
L’uso di mezzi militari ed economici per ottenere la subordinazione a Mosca emerse in tutta la sua evidenza in Bielorussia e Georgia. In Bielorussia i sussidi economici russi si tradussero in subordinazione politica. In Georgia l’intervento militare fornì a Mosca il pretesto per una mediazione politica e, in quell’occasione, la Georgia imparò che, contrariamente a quanto affermato da Clinton, la Russia come arbitro non è molto diversa dalla Russia come impero.
L’invasione della Georgia, poi, ebbe un impatto preoccupante sull’opinione occidentale circa le modalità e l’opportunità dell’allargamento della NATO nello spazio post-sovietico. All’indomani del conflitto russo-georgiano, la questione dell’adesione di Ucraina e Georgia all’Alleanza Atlantica è stata sospesa a tempo indeterminato. In linea di principio restava valida l’opzione che questi Stati potessero entrare a farne parte, in realtà non vi era il sostegno delle capitali occidentali per un ulteriore allargamento dell’Alleanza nel breve termine, soprattutto, nel caso dell’Ucraina, fintanto che Viktor Janukovyč fosse in carica come presidente.3 Nondimeno, la questione relativa agli arsenali nucleari ancora schierati in Ucraina, rappresentava un problema di assoluta rilevanza nell’economia negoziale con gli Stati Uniti:
“Il consolidamento del pluralismo geopolitico all’interno dell’ex Unione Sovietica comporterebbe una serie di conseguenze politiche pratiche. Pur continuando a perseguire un’amicizia sempre più profonda con la Russia, richiederebbe una distribuzione più equilibrata degli aiuti finanziari alla Russia e agli stati non russi, l’abbandono dell’elevazione ostinata della questione delle armi nucleari a cartina di tornasole per le relazioni tra Stati Uniti e Ucraina e un trattamento imparziale nei confronti di Mosca e Kiev. Richiederebbe il riconoscimento esplicito del fatto che l’esistenza indipendente dell’Ucraina è una questione di importanza a lungo termine ben più importante dello smantellamento o meno tempestivo da parte di Kiev del suo arsenale nucleare post-sovietico. Inoltre, condizionerebbe gli aiuti americani alla Russia alla fine degli sforzi russi per trasformare i nuovi stati indipendenti in satelliti completamente subordinati, e comporterebbe una maggiore disponibilità a sollevare la questione, anche alle Nazioni Unite, delle trasgressioni di Mosca nei confronti dei suoi vicini. La Georgia, ad esempio, meritava di meglio nel 1993.”4
Sappiamo bene come le derive bellicistiche del Cremlino negli anni successivi abbiano considerato l’arma nucleare come strumento di politica estera a pieno titolo, implementando il principio della cross-domain coercion, con tanto di benedizione del primate della chiesa ortodossa russa Kirill5.
E sull’Ucraina, con buona ragione, visto quanto è accaduto successivamente, Brzezinski concentra la propria attenzione (e preoccupazione), sottolineando, ancora una volta, le problematiche connesse con l’arsenale atomico:
“L’aspetto più preoccupante, date le dimensioni e l’importanza geostrategica dell’Ucraina, è stata l’intensificazione della pressione economica e militare di Mosca su Kiev, in linea con la diffusa sensazione a Mosca che l’indipendenza ucraina sia un’anomalia e una minaccia per la posizione della Russia come potenza globale. (La tendenza di alcuni importanti politici russi a parlare apertamente dell’Ucraina come di “un’entità transitoria” o di “una sfera di influenza russa” è sintomatica). L’esercito russo ha imposto la spartizione della Crimea e ha affermato il controllo unilaterale su gran parte della flotta contesa del Mar Nero. A peggiorare ulteriormente la situazione è stata l’aperta rivendicazione territoriale russa su porzioni dell’Ucraina. Allo stesso tempo, è stata applicata una leva economica attraverso riduzioni e interruzioni periodiche nella fornitura di fonti energetiche vitali all’industria ucraina, presumibilmente nella speranza di destabilizzare il Paese al punto che una parte considerevole della popolazione inizi a chiedere a gran voce un legame più stretto con Mosca.
Per isolare l’Ucraina a livello internazionale, i politici russi hanno anche abilmente sfruttato la preoccupazione dell’amministrazione Clinton per lo status nucleare del Paese. Facendo leva sui timori americani (e sull’evidente preferenza dell’amministrazione per il controllo russo sulle armi nucleari ucraine), Mosca è riuscita a dipingere i nuovi leader di Kiev come una minaccia alla stabilità internazionale. L’incapacità dell’Ucraina di trasmettere le proprie preoccupazioni all’Occidente ha inoltre intensificato il suo isolamento e, di conseguenza, il suo senso di vulnerabilità.”6
Kuzio e il complesso del “fratello minore”
È un fatto che fin dal crollo del Muro molti Russi, anche i riformisti, facevano fatica ad accettare l’indipendenza dell’Ucraina e, su questa considerazione, arriviamo al secondo studioso che prendiamo in esame, Taras Kuzio, che sottolineò come l’atteggiamento tenuto anche dalla Russia più “democratica” alimentasse l’insicurezza di Kiev. Tale insicurezza la indicò come “complesso del fratello minore”, una dinamica psicologica molto interessante:
“Gli Ucraini erano “fratelli minori” dei Russi. Gli Ucraini avevano un livello di mobilitazione sociale relativamente basso e culturalmente erano vicini ai Russi, quindi la loro assimilazione era probabile, date le politiche e le tendenze demografiche attuali.”7
Prosegue Kuzio:
“Di conseguenza, anche molti Ucraini mobilitati soffrivano di un complesso da “piccolo russo” o da “fratello minore”, che li rendeva relativamente sudditi dell’impero… Motyl8 ha tuttavia sottolineato che, nel periodo sovietico, gli Ucraini che accettavano le priorità imperiali dello Stato godevano di una considerevole mobilità sociale in qualità di “fratelli minori”.”9
La figura del “fratello minore” ucraino affondava le proprie radici nel pensiero di Volodymyr Ščerbytsky, pupillo di Leonid Brežnev e fedelissimo di Mosca. Dal 1972 al 1986 circa, il suo governo neostalinista in Ucraina fu caratterizzato da un’intensificazione della russificazione, dalla repressione del movimento dissidente , dal conservatorismo ideologico (soprattutto nella politica delle nazionalità ) e dalla stagnazione economica e culturale. Avversò strenuamente le politiche di Mikhail Gorbaciov. Ecco cosa dice di lui Kuzio:
“Le ultime fasi del governo di Ščerbytskyi non possono essere interpretate semplicemente come un indesiderato retaggio conservatore del periodo di Gorbaciov, che il centro (il governo di Mosca, n.d.a.) era ansioso di rimuovere. Piuttosto, il CPU (il Partito comunista Ucraino, n.d.a.), sebbene sfidato dalla graduale ascesa dei gruppi di opposizione, svolse lealmente il ruolo chiave e strumentale di controllo della periferia per il centro almeno fino all’autunno del 1990. Il regime di Ščerbytskyi si basava su una logica da “fratello minore”, in cui l’élite del CPU otteneva il predominio locale e la possibilità di ogni promozione sindacale in cambio della resistenza alla tentazione nazionalcomunista (un ruolo paragonabile a quello degli scozzesi nella fondazione e nel controllo dell’impero britannico). Il CPU, quindi, rimase in gran parte passivo durante le fasi iniziali della perestrojka, occupando solo posizioni di potere intermedie e strumentali. Contemporaneamente Gorbaciov cercava di riaffermare il ruolo dominante del centro in risposta alla “crisi di penetrazione” che questo subiva (per la sua crescente incapacità di dirigere e controllare le burocrazie repubblicane), minò gradualmente le basi del contratto informale del “fratello minore” e le elezioni repubblicane del marzo 1990 introdussero una logica di costruzione dello Stato (e dell’autorità) che iniziò a entrare in conflitto con gli interessi dell’intera Unione Sovietica. Tuttavia, sotto Ščerbytskyi, le previsioni di un cambiamento più che esteriore prima che questi cambiamenti strutturali si verificassero, erano premature.”10
In definitiva:
“Tradizionalmente, lo status di “fratelli minori” degli Ucraini significava che si aprivano per loro notevoli opportunità a livello di tutta l’Unione. Questa era spesso una tattica deliberata per garantire la lealtà degli Ucraini al sistema imperiale e anche per allontanare molti degli elementi (nazionalisti, n.d.a.) più attivi e ambiziosi dal territorio ucraino.”11
Tre popoli, un solo popolo. La narrazione storicistica di Putin
Facciamo un salto fino al 2021, quando Putin pubblica un saggio fondamentale per comprendere la sua idea relativa all’unità storica che lega il popolo russo a quello ucraino ed anche a quello bielorusso, da lui identificati come un unico popolo, un tutt’uno storico e spirituale:
“Durante la recente Linea Diretta, quando mi è stato chiesto delle relazioni russo-ucraine, ho detto che russi e ucraini sono un unico popolo – un unico insieme. Queste parole non sono state dettate da considerazioni a breve termine o dal contesto politico attuale. È ciò che ho detto in numerose occasioni e ciò che credo fermamente. … Prima di tutto, vorrei sottolineare che il muro che è emerso negli ultimi anni tra la Russia e l’Ucraina, tra le parti di quello che è essenzialmente lo stesso spazio storico e spirituale, a mio avviso è la nostra grande disgrazia e tragedia comune. Queste sono, innanzitutto, le conseguenze dei nostri stessi errori commessi in diversi periodi di tempo. Ma sono anche il risultato degli sforzi deliberati di quelle forze che hanno sempre cercato di minare la nostra unità. La formula che applicano è nota da tempo immemorabile: dividi e governa. Non c’è nulla di nuovo qui. Da qui i tentativi di giocare sulla “questione nazionale” e di seminare la discordia tra le persone, con l’obiettivo generale di dividere e poi di mettere le parti di un unico popolo l’una contro l’altra. Per capire meglio il presente e guardare al futuro, dobbiamo rivolgerci alla storia. … Russi, ucraini e bielorussi sono tutti discendenti dell’antica Rus’, che era il più grande stato in Europa. Le tribù slave e le altre tribù in tutto il vasto territorio – da Ladoga, Novgorod e Pskov a Kiev e Chernigov – erano legate insieme da una lingua (che oggi chiamiamo vecchio russo), da legami economici, dal dominio dei principi della dinastia Rurik e – dopo il battesimo della Rus’ – dalla fede ortodossa. La scelta spirituale di San Vladimir, che era sia principe di Novgorod che gran principe di Kiev, determina ancora oggi in gran parte la nostra affinità. Il trono di Kiev aveva una posizione dominante nell’antica Rus’. Questa era la consuetudine dalla fine del IX secolo. Il Racconto degli anni passati ha catturato per i posteri le parole di Oleg il Profeta su Kiev: “Che sia la madre di tutte le città russe”.”12
Da rilevare come nella retorica della narrazione putiniana il nemico, prima ancora dell’Occidente, è la leadership ucraina invisa a Mosca:
“Quando ho lavorato a questo articolo, mi sono basato su documenti open-source che contengono fatti ben noti piuttosto che su alcuni documenti segreti. I leader dell’Ucraina moderna e i loro “patroni” esterni preferiscono trascurare questi fatti. Non perdono occasione, tuttavia, sia all’interno del paese che all’estero, di condannare “i crimini del regime sovietico”, elencando tra questi eventi con i quali né il PCUS, né l’URSS, né tanto meno la Russia moderna, hanno nulla a che fare. Allo stesso tempo, gli sforzi dei bolscevichi per staccare dalla Russia i suoi territori storici non sono considerati un crimine. E sappiamo perché: se hanno portato all’indebolimento della Russia, i nostri nemici ne sono felici.”13
A parte l’Occidente manipolatore, dunque, il nemico da combattere è la classe politica ucraina e non il popolo, vittima delle ingerenze esterne e di una dirigenza corrotta:
“Oggi, i giganti industriali high-tech che una volta erano l’orgoglio dell’Ucraina e dell’intera Unione, stanno affondando. La produzione ingegneristica è scesa del 42% in dieci anni. La portata della deindustrializzazione e del degrado economico generale è visibile nella produzione di elettricità dell’Ucraina, che ha visto una diminuzione di quasi due volte in 30 anni. Infine, secondo i rapporti del FMI, nel 2019, prima che scoppiasse la pandemia di coronavirus, il PIL pro capite dell’Ucraina era inferiore a 4 mila dollari. Questo è meno che nella Repubblica di Albania, nella Repubblica di Moldavia o nel Kosovo non riconosciuto. Oggi, l’Ucraina è il paese più povero d’Europa. Di chi è la colpa di questo? È colpa del popolo ucraino? Certamente no. Sono state le autorità ucraine che hanno sprecato le conquiste di molte generazioni. Sappiamo quanto sia laborioso e talentuoso il popolo ucraino.”14
Un popolo “laborioso e talentuoso”, ma evidentemente non abbastanza da non meritarsi i bombardamenti che, quotidianamente, dal febbraio del 2022 colpiscono le città ucraine alla ricerca di una resa che si valutava immediata e che, invece, a distanza di tre anni e mezzo la Russia non ha ancora ottenuto. E la rivendicazione dei territori del Donbas e delle altre regioni invase parte da un riferito tradimento degli accordi di Minsk, fino a consolidarsi nella narrazione della lotta al governo di Kiev, notoriamente definito “neonazista” così come tutti gli Ucraini che si oppongono alla volontà prevaricatrice del Cremlino:
“La Russia ha fatto di tutto per fermare il fratricidio. … A quanto pare, e ne sono sempre più convinto, Kiev non ha bisogno del Donbas: Kiev semplicemente non ha bisogno del Donbas. Perché? Perché, in primo luogo, gli abitanti di queste regioni non accetteranno mai l’ordine che hanno cercato e cercano di imporre con la forza, il blocco e le minacce. E in secondo luogo, il risultato di Minsk-1 e Minsk-2, che danno una reale possibilità di ripristinare pacificamente l’integrità territoriale dell’Ucraina arrivando a un accordo direttamente con la DPR e LPR con Russia, Germania e Francia come mediatori, contraddice l’intera logica del progetto anti-Russia. E può essere sostenuto solo dalla costante coltivazione dell’immagine di un nemico interno ed esterno. E aggiungerei – sotto la protezione e il controllo delle potenze occidentali.
Questo è ciò che sta effettivamente accadendo. Prima di tutto, siamo di fronte alla creazione di un clima di paura nella società ucraina, alla retorica aggressiva, all’assecondare i neonazisti e alla militarizzazione del paese. Insieme a questo stiamo assistendo non solo alla completa dipendenza, ma al controllo esterno diretto, compresa la supervisione delle autorità ucraine, dei servizi di sicurezza e delle forze armate da parte di consiglieri stranieri, allo “sviluppo” militare del territorio dell’Ucraina e al dispiegamento delle infrastrutture della NATO. Non è una coincidenza che la suddetta legge sulle “popolazioni indigene” sia stata adottata sotto la copertura di esercitazioni NATO su larga scala in Ucraina.”15
A onor del vero, le esercitazioni NATO su larga scala sono rimaste tali. Quelle russe sono state la premessa ad un’invasione e allo scatenamento di una guerra. Per farla breve, la difficoltà espressa da Putin di accettare l’esistenza di un’Ucraina indipendente rappresenta trait d’union con le idee che abbiamo visto essere state formulate già trent’anni prima, al dissolvimento dell’Unione Sovietica: la Russia è stata derubata e l’indipendenza ucraina viene considerata come un progetto anti-Russia, guidato dall’esterno e fondato sulla negazione del passato che accomuna le due nazioni (oltre, come detto, alla Bielorussia); per Putin la vera sovranità dell’Ucraina è possibile solo in una partnership con la Russia.
Surkov: la rivalsa contro la “pace oscena” attraverso la Novorossiya
I concetti cari a Putin vengono ripresi l’anno successivo da Vladislav Surkov, imprenditore e uomo politico (ricordiamo che è stato, tra l’altro, consigliere politico di Putin dal 2013 al 2020). Secondo Surkov, il compito di evitare il totale sfacelo della nazione russa è stato demandato a Vladimir Putin un leader nazionale nel senso che incarna la Nazione stessa e, in virtù di tale carattere, è investito del mandato divino di salvare il popolo russo nei tempi difficili che sta vivendo16. In un suo articolo egli evoca il trattato di Brest-Litovsk del 191817, definendolo “pace oscena” (mir pokhabny). Una pace oscena, umiliante, dice Surkov. e la sua tesi è che i confini attuali della Russia assomiglino troppo a quella linea di umiliazione del 1918. La conclusione che trae è molto assertiva: è impensabile per la Russia rimanere nei confini del mondo osceno. È quasi un annuncio di future azioni geopolitiche per il superamento di quei confini:
“Si scopre che dopo molti anni, la Russia è stata nuovamente respinta entro i confini del “mondo osceno”. Senza perdere una guerra. Senza essere contagiata da una rivoluzione. Una perestrojka ridicola, una torbida glasnost sono state sufficienti a far crollare l’impero sovietico in un mosaico. Ciò significa che una vulnerabilità fatale è stata introdotta nel sistema. … È impensabile per la Russia rimanere entro i confini di un mondo osceno. Siamo per la pace. Certo. Ma non per quella oscena. Per quella giusta.”18
Con Surkov si prosegue nel solco dell’idea della Russia, o meglio, della Nuova Russia (Novorossiya), come entità statuale e territoriale da ripristinare ad ogni costo, secondo i canoni che caratterizzavano il Paese in epoca imperiale e delineando in tal modo una nuova realtà geopolitica che dovrebbe inglobare nel territorio russo tutta l’Ucraina meridionale e orientale. In un’intervista più recente emerge con vigore il pensiero dell’oscuro ex consigliere di Putin; alla domanda su quale risultato potrà essere considerato una vittoria per Mosca, la sua risposta è stata:
“Lo schiacciamento militare o militare-diplomatico dell’Ucraina. La divisione di questo quasi-Stato artificiale nei suoi frammenti naturali. Ci potranno essere manovre, rallentamenti e pause lungo il percorso. Ma l’obiettivo sarà raggiunto.”19
A sua volta, ha ribadito l’artificiosità dell’Ucraina come entità statuale:
“L’Ucraina è un’entità politica artificiale in cui sono state costrette almeno tre regioni molto diverse tra loro: il Sud e l’Est, russi; il Centro, russo-non russo (sic); e l’Ovest, anti-russo. Non potevano andare d’accordo e non lo hanno mai fatto. La guerra in Ucraina separerà i russi dagli anti-russi o, parafrasando il Vangelo, le pecore e le capre. Gli anti-russi non cresceranno. Ma si limiterà al suo territorio storico e smetterà di diffondersi sul suolo russo. Forse un giorno l’Ucraina sarà un vero Stato, ma solo all’interno dei suoi confini naturali, e quindi molto più piccolo.”20
I confini dello Stato russo, dunque, nella sua visione, si fondano sull’egemonia culturale che la Russia riveste in diverse aree del mondo:
“Ho costruito un’ideologia ufficiale basata sul concetto di ‘Mondo Russo’, che esisteva già nei circoli filosofici. Il Mondo Russo non ha confini. Il Mondo Russo è ovunque ci sia un’influenza russa, in una forma o nell’altra: culturale, informativa, militare, economica, ideologica o umanitaria… In altre parole, è ovunque. L’entità della nostra influenza varia molto da regione a regione, ma non è mai nulla. Perciò ci espanderemo in tutte le direzioni, nella misura in cui Dio vorrà e nella misura in cui saremo forti. L’importante è non farsi prendere la mano e non farsi carico di una parte troppo grande.”21
Il Cremlino ha ripetutamente utilizzato l’idea del Mondo Russo per giustificare gli interventi militari russi negli ex stati sovietici e per affermare che le aree dell’ex Unione Sovietica e dell’Impero russo sono storicamente territori russi. Le dichiarazioni di Surkov sulle rivendicazioni della Russia sull’Ucraina meridionale e orientale e sulla futura espansione del Russkiy Mir sono in netto contrasto con l’affermazione dell’inviato speciale statunitense in Medio Oriente Steve Witkoff, secondo cui la Russia non avrebbe ambizioni territoriali oltre la Crimea e le oblast’ di Luhansk, Donetsk, Zaporizhia e Kherson22, mentre sono coerenti con quelle di Putin, che ha ripetutamente affermato che la Russia intende portare l’Ucraina sotto il controllo russo e stabilire la sovranità sui paesi vicini al fine di indebolire l’Occidente e rafforzare l’influenza globale della Russia.
La “sindrome del Dottor Stranamore” nel pensiero di Karaganov
Sembrerebbe proprio che l’ambizione del Cremlino sia quella di ridisegnare la mappa della Federazione Russa e la svolta più radicale arriva con il politologo Sergej Karaganov. Egli dipinge un Occidente in forte declino morale e strategico e il punto cruciale del suo pensiero è che l’indebolimento della deterrenza nucleare e l’eccesso di prudenza abbiano paradossalmente aperto la porta a guerre convenzionali su larga scala, come quella in Ucraina.
Si possono distinguere diversi livelli di retorica nucleare: di crisi, di contesto, di propaganda e dottrinale23. Le dichiarazioni “di crisi”, spesso rilasciate dallo stesso Putin, emergono tipicamente in momenti di incertezza o di battute d’arresto militari per la Russia. Queste mirano principalmente ad avvertire l’Occidente che il Cremlino non tollererà una sconfitta inequivocabile delle sue forze armate. Le dichiarazioni “di contesto” si manifestano nei proclami dei “falchi” politici russi, come Sergej Lavrov o Dmitrij Medvedev e i test missilistici sono prevalentemente rivolti ad impressionare il pubblico interno. Il loro scopo è normalizzare l’idea dell’uso di armi nucleari. Questi sforzi hanno avuto un impatto notevole: da aprile 2023 a novembre 2024, la quota di russi che giustificano l’uso di armi nucleari nella guerra in Ucraina è aumentata dal 29% al 40%. La retorica della “propaganda”, è strumentale a tale scopo. A differenza dell’era sovietica, quando la leadership descriveva la guerra nucleare come una minaccia occidentale, alimentando al contempo la paura delle sue conseguenze, la propaganda nucleare odierna mira a diminuire tale paura, normalizzando l’idea di un conflitto nucleare. La retorica “dottrinale”, infine, implica una discussione volta a reinterpretare la dottrina nucleare russa per rendere la minaccia nucleare un fattore permanente nella guerra convenzionale e nella deterrenza.
Nel giugno 2023, Sergei Karaganov ha pubblicato un articolo dai toni provocatori intitolato L’uso di armi nucleari può salvare l’umanità dalla catastrofe globale. Nell’articolo, sosteneva l’importanza di colpire gruppi di obiettivi in determinati paesi per “riportare alla ragione coloro che hanno perso la testa” e ripristinare “la paura dell’escalation nucleare”. La sua argomentazione era che un uso limitato del nucleare avrebbe potuto segnalare all’Occidente le serie intenzioni della Russia e stabilire un limite all’opposizione alle azioni della Russia nelle sue “zone di interesse vitale”. In questa prospettiva, un conflitto nucleare limitato è inquadrato come un mezzo per prevenire una catastrofe globale24. In un saggio successivo egli propone, innanzitutto,una revisione della dottrina nucleare russa in un’ottica di superamento della funzione di deterrenza che aveva caratterizzato l’opposizione alla NATO nel periodo della Guerra Fredda:
“... sarebbe ragionevole, quando si fa riferimento alla deterrenza nucleare, abbandonare completamente il termine “sderzhivaniye” (letteralmente: contenere), che ha una connotazione passiva, e sostituirlo con “ustrasheniye” (letteralmente: risvegliare la paura) come equivalente russo appropriato. Dato il reale equilibrio di potere tra Russia e Occidente, è il “risveglio della paura nucleare” che dovrebbe svolgere un ruolo centrale nella nostra strategia per porre fine al conflitto in Ucraina a condizioni adatte alla Russia. La strategia russa di deterrenza rafforzata deve essere attiva e, se necessario, proattiva … I nostri partner, proprio come la maggior parte di noi fino a poco tempo fa, seguono ancora le idee provenienti dall’Occidente. Un dibattito approfondito sulle modalità per rafforzare la deterrenza nucleare sotto la guida intellettuale della Russia rafforzerà la sua posizione. Esprimendo le nostre opinioni, comprese quelle riguardanti l’uso di armi nucleari nella guerra in Ucraina, amplificheremo significativamente l’effetto della nostra politica di deterrenza (come “risveglio della paura”).”25
Indica, poi, quali debbano essere gli obiettivi di questa forma di “deterrenza aumentata”, in quanto nemici della Federazione Russa o dei suoi alleati:
“È necessario chiarire gli “obiettivi della deterrenza nucleare” per includere quanto segue: – Stati che conducono una guerra per procura o ibrida contro la Russia, indipendentemente dal fatto che dispongano o meno di armi nucleari; – Stati non nucleari che ospitano sistemi di difesa offensivi o missilistici, armi nucleari e (o) altre armi di distruzione di massa di potenziali avversari della Russia, che possono essere utilizzate contro la Federazione Russa e (o) i suoi alleati.”26
L’attenzione verso i paesi simpatetici di Mosca, unitamente alla volontà di abbassare la soglia per l’uso del nucleare, di trattare la NATO come un blocco ostile, di giustificare attacchi preventivi e di colpire specificamente i paesi della NATO che aiutano Kiev sono ribaditi con forza:
“L’aggiornamento della dottrina nucleare russa dovrebbe essere accompagnato da un lavoro attivo per chiarire le principali disposizioni dei documenti di pianificazione strategica rivisti e le ragioni della loro modifica ai partner e alleati della Russia, inclusi i paesi membri dell’Organizzazione per la Sicurezza Nazionale (CSTO), Cina, India, Iran, Corea del Nord, Pakistan ed eventualmente altri paesi. È inoltre necessario avviare discussioni di esperti con partner e alleati per ripensare e rivedere la teoria della deterrenza nucleare, che nella sua forma attuale è stata concepita sotto l’influenza prevalente della comunità di esperti occidentali per servire gli interessi dell’Occidente, ma è ora diventata obsoleta e sta perdendo la sua validità. Questi dialoghi dovrebbero anche essere utilizzati per preparare la leadership dei paesi amici a un possibile uso di armi nucleari da parte della Russia al fine di sconfiggere strategicamente l’Occidente nella guerra in Ucraina, nonché per ripristinare il ruolo prioritario della deterrenza nucleare nell’evitare qualsiasi guerra su larga scala, la cui probabilità aumenta man mano che il sistema internazionale attraversa una crisi acuta.”27
E non solo il territorio russo deve essere considerato come suolo patrio da difendere, la deterrenza nucleare deve riguardare anche la fidata Bielorussia:
“La deterrenza militare dell’avversario rimane estremamente importante. Il dispiegamento di armi nucleari russe in Bielorussia nel 2023 di fatto ha esteso la deterrenza nucleare russa alla Bielorussia. I paesi della NATO devono essere consapevoli che un attacco a uno dei due paesi dell’Unione sarà un attacco a entrambi, e che se l’avversario cerca di bloccare Kaliningrad, Mosca e Minsk adotteranno congiuntamente misure per ripristinare fisicamente il suo collegamento con la Russia e la Bielorussia.”28
L’aspetto veramente sconcertante di questa linea di pensiero, abbastanza paranoica, è che si consideri la tutela dei confini nazionali più fattibile e meno onerosa con un utilizzo disinvolto dell’arma atomica, piuttosto che guardare al “contenimento geopolitico”, cioè ricorrere alla diplomazia e alla negoziazione:
“Quindi la componente geopolitica della deterrenza strategica è progettata per rendere impossibile all’avversario utilizzare contraddizioni, crisi e conflitti lungo i confini della Russia per danneggiare i propri interessi. Il contenimento geopolitico è per molti versi più difficile della deterrenza militare, inclusa la deterrenza nucleare, poiché richiede una strategia unitaria che comprenda politica, economia, informazione, cultura, scienza, istruzione e politiche giovanili, nonché sforzi coordinati di numerose agenzie governative e istituzioni non statali.”29
Conclusioni
Se proviamo a tirare le fila di tutto questo percorso, sembra che le analisi di Putin e Surkov diano proprio voce a quell’impulso imperiale, a quella visione sulla centralità dell’Ucraina che Brzezinski temeva già 30 anni fa. Danno sostanza a quei timori e le tesi di Karaganov sono un’escalation estrema di quella logica. Portano quelle paure che, magari, erano più astratte negli anni Novanta del secolo scorso, sul terreno concreto della minaccia nucleare diretta. Si parla di ridefinire le regole globali, di attacchi preventivi contro Paesi europei. A questo punto, la “partnership prematura” di cui parlava Brzezinski appare come una realtà consolidata e ineluttabile. Ora siamo in uno scenario di confronto aperto molto pericoloso, dove l’aspetto più inquietante è rappresentato dalla banalità con cui Karaganov prefigura l’escalation nucleare, cioè non come una follia, ma quasi come una risposta razionale alla debolezza occidentale percepita, un modo per ristabilire la paura e quindi, secondo la sua logica contorta, la stabilità. Fa riflettere questa idea di usare la minaccia estrema come strumento distabilizzazione.Solleva interrogativi enormi sulladeterrenza, sulla sicurezza europea, su tutto l’ordine mondiale.
1 Brzezinski Z., The premature partnership, Foreign Affairs, March/April 1994.
2 Ibid.
3T. Kuzio, D.Hamilton, Open Ukraine Changing Course towards a European Future, Center for Transatlantic Relations , Washington D.C., 2011, p.138.
4 Brzezinski Z., Ibid.
5 Cristadoro N., La dottrina Gerasimov. La filosofia della guerra non convenzionale nella strategia russa contemporanea, Il Maglio, Solarussa (OR), 2022.
6 Brzezinski Z., ibid.
7 T. Kuzio, A. Wilson, Ukraine: Perestroika to Independence, 2nd Edition, MacMillan Press Ltd., London, 2000, p. 5.
8 Alexander John Motyl è uno storico, politologo, poeta, scrittore, traduttore e pittore americano. È residente a New York City. È professore di scienze politiche alla Rutgers University di Newark, nel New Jersey ed è uno specialista di Ucraina, Russia e Unione Sovietica.
9 T. Kuzio, A. Wilson, ibid., pp. 7-8.
10 Ibid, p. 50.
11 Ibid, p. 172.
12 Saurodgb, L’ articolo del 12/07/21 di Vladimir Putin “Sull’unità storica di russi e ucraini”, base teorica per la ricostruzione dell’impero zarista. Traduzione integrale, Brescia Anticapitalista, 12/03/2022. https://bresciaanticapitalista.com/2022/03/12/l-articolo-del-12-07-21-di-vladimir-putin-sullunita-storica-di-russi-e-ucraini-base-teorica-per-la-ricostruzione-dellimpero-zarista-traduzione-integrale/comment-page-1/.
13 Ibid.
14 Ibid.
15 Ibid.
16 E. Apolloni, Da Brest-Litovsk a Mariupol: genealogie storico-culturali del conflitto russo-ucraino. Intervista al Prof. Roberto Valle, Geopolitica.info, 05/04/2022.
17 Ricordiamo che il trattato sancì l’uscita della Russia dal conflitto mondiale, riconoscendo l’indipendenza dell’Ucraina, della Finlandia, della Polonia, della Bielorussia e dei Paesi Baltici, con diverse cessioni territoriali all’impero Austro-Ungarico.
18 V. Surkov, Туманное будущее похабного мира (Il futuro nebbioso del mondo osceno), Aktualnye Kommentarii, 15/02/2022.
19 ESCLUSIVA. Vladislav Sourkov, il vero mago del Cremlino : “La Russia si espanderà in tutte le direzioni, fin dove Dio vorrà”, L’Express, 19/03/2025. https://www.lexpress.fr/monde/europe/esclusiva-vladislav-sourkov-il-vero-mago-del-cremlino-la-russia-si-espandera-in-tutte-le-direzioni-OHF7LBDMJFAWZLWO3T3NPIBHMI/.
20 Ibid.
21 Ibid.
22 N. Yermak, D. Basmat, ‘They are Russian-speaking, and there have been referendums,’ — Witkoff parrots Russian propaganda, legitimizing Putin’s claims in Ukraine, Kyiv Independent, 22/03/2025. https://kyivindependent.com/i-dont-regard-putin-as-a-bad-guy-witkoff-says-on-negotiations-with-russia/.
23 The doctrine of nuclear non-deterrence: how the Kremlin turned nuclear blackmail into a tool of conventional warfare, Re-Russia, 09/12/2024. https://re-russia.net/en/analytics/0218/.
24 Ibid.
25 D. Trenin, S. Avakyants, S. Karaganov, From Restraining To Deterring: Nuclear Weapons, Geopolitics, Coalition Strategy, Faculty of World Economy and International Affairs National Research University-Higher School of Economics – Institute of Military Economics and Strategy National Research University-Higher School of Economics, Moscow, 2024, pp. 59-60.
26 Ibid, pp. 67-68.
27 Ibid, p. 72.
28 Ibid, p. 80.
29 Ibid, pp. 88-89.
L’articolo La pace come una chimera: le ragioni del Cremlino per il ritorno all’impero e la contrapposizione all’Occidente (con l’immancabile minaccia nucleare) proviene da Difesa Online.
Tante parole sono state spese dal febbraio 2022, quando le forze armate di Mosca hanno rotto gli indugi e dato il via alle operazioni per l’invasione dell’Ucraina; molti ragionamenti corretti ed interessanti sono stati sviluppati da storici, politologi e giornalisti…
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