La piccola rivincita del 346: futuri piloti USA si formano sul velivolo scartato da Washington
La collaborazione tra Stati Uniti e Italia nel settore dell’addestramento al volo entra in una fase strategicamente significativa. Alla base di Decimomannu, in Sardegna, dieci allievi piloti statunitensi stanno seguendo un percorso sperimentale che potrebbe ridefinire l’intera filiera formativa della U.S. Air Force.
Il programma coinvolge studenti che hanno completato l’Initial Pilot Training presso scuole civili americane. Invece di proseguire secondo la tradizionale sequenza addestrativa interna agli Stati Uniti, i giovani sono stati inviati direttamente alla International Flight Training School, realtà congiunta tra Aeronautica Militare e Leonardo che negli ultimi anni si è affermata come uno dei poli più avanzati al mondo nell’addestramento al volo.
Per circa quattro mesi i piloti affronteranno il Basic Jet Training sull’addestratore avanzato T-346A. L’obiettivo non è soltanto addestrare un piccolo gruppo di aviatori, ma verificare se un pilota proveniente dalla formazione civile possa transitare in modo coerente e rapido su un velivolo militare ad alte prestazioni, riducendo tempi e passaggi considerati ormai ridondanti.
Il colonnello Corey Hogue, responsabile dei requisiti addestrativi futuri della Air Education and Training Command, descrive questa fase italiana come un banco di prova fondamentale: misurare resa didattica, tempistiche, costi e adattabilità degli allievi in vista del futuro ingresso del T-7A Red Hawk, destinato a sostituire l’ormai storico T-38.

Non meno ottimista è il generale Matthew Leard, che all’interno della AETC guida la pianificazione strategica: la formula adottata a Decimomannu rappresenta il modo più concreto per raccogliere metriche reali e anticipare l’evoluzione della formazione piloti.
Al termine del primo modulo, un numero selezionato di studenti potrà restare in Italia per un ulteriore ciclo dedicato ai futuri piloti da caccia. Gli altri rientreranno negli Stati Uniti per completare l’addestramento su piattaforme da trasporto, operazioni speciali o controllo aerotrasportato.
I risultati dell’esperimento saranno raccolti fino al 2026, quando la USAF deciderà se adottare o meno questa nuova struttura addestrativa.
Il valore dell’iniziativa è duplice. Da una parte, offre alla U.S. Air Force una possibile via per aumentare il numero di piloti prodotti annualmente e per ridurre l’intervallo formativo complessivo da oltre 500 giorni a poco più di un anno. Dall’altra, rafforza il ruolo dell’Italia come partner di primo piano nella formazione avanzata dei Paesi alleati.
In filigrana, però, emerge anche una considerazione meno ufficiale ma inevitabile… Il T-346A – versione italiana del M-346 – era stato uno dei finalisti nel grande concorso statunitense per l’addestratore avanzato, poi vinto dal T-7A di Boeing.
Il concorso T-X
Il programma T-X nacque con l’obiettivo di sostituire il T-38 Talon con un addestratore capace di preparare i piloti statunitensi ai velivoli di ultima generazione. Inizialmente la proposta italo-americana T-100, basata sull’M-346, appariva competitiva: piattaforma già in servizio, costi di sviluppo contenuti e un solido ecosistema addestrativo.

Con il progredire della gara, tuttavia, il profilo dei requisiti assunse caratteristiche sempre più vicine a quelle di un “mini-fighter” progettato da zero. Pur senza che fosse mai formalizzato un requisito supersonico “vincolante”, le iterazioni del bando e le dichiarazioni tecniche mostrarono un progressivo spostamento di enfasi verso:
- capacità ad alti angoli d’attacco;
- manovrabilità con elevati carichi di forza G;
- profilo prestazionale tipico di jet supersonici nelle fasi di accelerazione e recupero;
- integrazione nativa di avionica e sensori di livello “fighter-grade”;
- un cockpit estremamente vicino a quello di un F-35, con ampia sensor fusion.
Un velivolo “clean-sheet” come quello sviluppato da Boeing e Saab (T-X, oggi T-7 Red Hawk) poteva incorporare tali elementi fin dall’origine. Un addestratore già esistente – per quanto avanzato – avrebbe invece dovuto adattarsi a un requisito che si andava allontanando dal suo concept iniziale.
Non si trattò quindi di una sconfitta tecnica dell’M-346, quanto dell’esito di una competizione che, nelle sue evoluzioni, finì per favorire un progetto ripensato integralmente per aderire… “alla nuova filosofia della USAF”.
La sensazione che il bando si fosse orientato verso caratteristiche che privilegiavano naturalmente il progetto Boeing non fu un’impressione isolata ed era non solo plausibile, ma anche difficilmente confutabile.
Oggi, ironia della storia, una parte dei futuri piloti statunitensi sta volando proprio sul T-346A, la piattaforma non selezionata nel T-X. Mentre il T-7A Red Hawk (foto seguente) attende ancora il pieno consolidamento operativo*, è il velivolo italiano a mostrare sul campo maturità, affidabilità e capacità addestrativa.

E qui sorge la domanda che molti, con crescente legittimità, iniziano a porsi: e se (fra qualche anno) fossero proprio gli allievi della USAF a riconoscere che il velivolo non scelto avrebbe potuto soddisfare – o persino superare – le esigenze del concorso americano?
* Il programma T‑7A Red Hawk della United States Air Force è in ritardo: la decisione per la produzione (Milestone C) è stata posticipata al 2026 e l’entrata in servizio operativa (IOC) è ora prevista per il 2027, a causa di problemi che hanno richiesto test aggiuntivi.
Foto: U.S. Air Force / Leonardo
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