La propaganda al posto del giornalismo: quando la “difesa” seleziona l’informazione
Nei giorni scorsi il “Dipartimento della Guerra” statunitense ha annunciato ufficialmente l’insediamento del nuovo Pentagon Press Corps, accogliendo oltre settanta tra blogger, influencer e operatori dei cosiddetti new media all’interno degli spazi informativi del Pentagono.
Il comunicato presenta l’evento come un adeguamento ai tempi, motivato dalla necessità di “raggiungere un pubblico più ampio” e di intercettare le nuove modalità di fruizione dell’informazione attraverso le piattaforme digitali. Dal punto di vista formale, l’iniziativa viene descritta come un semplice aggiornamento del rapporto tra Difesa e media. Nei fatti, però, rappresenta il punto di arrivo di una frattura molto più profonda, consumatasi pubblicamente nell’ottobre scorso.
Il nuovo Press Corps nasce infatti sulle macerie del sistema precedente. A metà ottobre, decine di testate storiche, comprese alcune delle principali firme del giornalismo americano, hanno restituito i pass di accesso al Pentagono rifiutandosi di sottoscrivere le nuove regole imposte dalla Difesa. Le restrizioni prevedevano limiti stringenti sulla raccolta delle informazioni, sulla libertà di movimento all’interno delle strutture e sulla possibilità stessa di pubblicare materiale non preventivamente autorizzato. Una condizione giudicata incompatibile con qualsiasi forma di giornalismo indipendente.
La conseguenza è stata un fatto senza precedenti nella storia recente degli Stati Uniti: per la prima volta da decenni, il Pentagono è rimasto privo di una presenza stabile delle principali testate nazionali.
Il comunicato di questi giorni, che annuncia con toni distesi l’arrivo della nuova “classe” di giornalisti accreditati, evita accuratamente di richiamare quella rottura. Eppure, la connessione è diretta. La sostituzione dei media tradizionali con un sistema basato prevalentemente su influencer, blogger e canali ideologicamente connotati segna un cambiamento strutturale nel modo in cui l’informazione militare viene filtrata e distribuita al pubblico.
Il tema non riguarda soltanto la libertà di stampa in senso formale, ma la qualità stessa del flusso informativo che esce da una delle istituzioni più potenti e opache del mondo occidentale.
La nuova composizione del Press Corps solleva interrogativi evidenti sul piano della trasparenza. I new media, per loro natura, rispondono a logiche di visibilità, coinvolgimento e posizionamento politico più che a criteri di verifica incrociata delle fonti e controllo critico del potere. Inserirli come canale privilegiato di accesso al Pentagono equivale a trasformare l’informazione militare in un “prodotto comunicativo” facilmente orientabile e direttamente controllabile.
In ultima analisi, la questione investe direttamente il tema della “autorevolezza”. Istituzioni davvero forti non temono le domande, non cercano canali compiacenti, non selezionano chi può osservare e chi no. Al contrario, accettano il confronto, anche duro, come parte integrante della propria legittimazione. Quando invece si restringe lo spazio dell’interrogazione critica, quando si preferisce la comunicazione controllata al controllo pubblico, è lì che affiora il segno della fragilità politica e istituzionale più profonda.
Foto (ritaglio): DoW
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