La proposta italiana per l’Ucraina: “Armiamoci e partite”?
Dopo le speranze indotte da frettolose letture degli esiti degli incontri di Trump con Putin ad Anchorage (sul cui successo avevamo già espresso alcune perplessità – Dopo l’Alaska: non sappiamo chi abbia vinto ma sappiamo chi ha perso) e dell’incontro alla Casa Bianca con Zelensky e alcuni leader europei, purtroppo non appare che il raggiungimento di una soluzione negoziale al conflitto in Ucraina sia, almeno per ora, a portata di mano.
Fanno sorridere amaramente quei leader (nel caso specifico Zelensky e Macron) che sembrano intimare ultimatum a Putin in merito all’avvio di colloqui con Zelensky. “Se non ci fai sapere niente entro lunedì allora significa che ci hai preso in giro” con un tono più da maestra d’asilo che riprende il bimbetto discolo che da confronto tra Capi di Stato. Soprattutto, però, è da tener presente che oggi, purtroppo, non è la Russia quella che ha più bisogno di giungere a una cessazione delle ostilità. Da sempre, chi è in vantaggio sul terreno non ha alcun interesse a concedere cessate il fuoco temporanei se prima non viene definito il quadro generale dell’accordo di pace che sia a lui favorevole. I motivi sono facilmente comprensibili e non ci si può onestamente scandalizzare oggi perché la Russia in Ucraina o Israele a Gaza siano restii a concedere cessate il fuoco senza un quadro definitivo di soluzione del conflitto.
Soprattutto, però, oggi sia Putin sia Zelensky sanno bene che questa non è più una guerra di interesse di Washington.
Per Putin ciò rappresenta una rassicurazione, perché (a torto o a ragione) egli ritiene che anche il supporto degli europei all’Ucraina, una volta ritiratosi lo Zio Sam, si dileguerà in breve tempo.
Zelensky, che per tre anni e mezzo ha ricevuto promesse di assistenza e vicinanza da tutti i leader del vecchio continente, ora sta chiedendo ai partner europei di dare sostanza alle loro promesse.
Peraltro, sembrerebbe che intorno a lui si stia facendo il vuoto. Certo, abbracci calorosi, promesse di eterna amicizia, ma fatti concreti non molti, ora che anche l’avversario sa che l’angelo custode a stelle e strisce non interverrà se le cose si mettessero veramente male per Kiev.
Personalmente, Zelensky mi dà la triste impressione di uno abbandonato da tutti gli amici in cui credeva. I pochi che restano e continuano a dargli sonore pacche sulle spalle dicendogli che non lo abbandoneranno mai potrebbero portarci alla mente il gatto e la volpe di una canzone di Edoardo Bennato del lontano 1977.
Il più onesto di tutti, spiace dirlo, è stato Trump che ha fatto brutalmente capire a Zelensky, sin dal primo tragico incontro nello Studio Ovale, che la questione ucraina non è una sua priorità, è un pasticcio fatto da Biden e che gli USA non vogliono più tirar fuori neanche un dollaro per Kiev. Però, almeno The Donald continuerà a fornirgli armamenti (purché siano gli europei a pagarli) e in caso di una forza di rassicurazione europea dopo il cessate il fuoco si è detto disponibile a supportarla con capacità di intelligence e di supporto aereo (settori dove i paesi europei non hanno capacità comparabili con quelle USA). Però, Trump ha messo bene in chiaro che questa eventuale operazione rassicurazione non sarà condotta dalla NATO in quanto tale (ovvero con le sue rodate strutture di comando e controllo), dovrà essere a guida europea e che non ci saranno assetti Usa sul terreno.
L’UE, che con la Von Der Leyen e la Kallas non manca mai di evidenziare il costante pericolo che l’aggressività russa rappresenta per tutti i paesi dell’Unione (non so quanto sia state in grado di convincere al riguardo i portoghesi), non ha avanzato alcuna proposta per l’assunzione di responsabilità da parte dell’Unione stessa ( per il tramite della sua componente militare) di una eventuale operazione di futura rassicurazione dell’Ucraina. Questo avrebbe potuto aver senso anche nell’ottica del ripetutamente promesso accesso Kiev alla UE con procedure accelerate (e, diciamolo pure, di favore rispetto a quanto chiesto in passato ad altri paesi candidati o ancora oggi ad alcuni paesi candidati dei Balcani Occidentali).
Come noto e come già evidenziato precedenti articoli, il Trattato di Lisbona dell’UE (all’art. 42, par. 71) è molto più vincolante del trattato di Washington della NATO (al famoso ma poco conosciuto articolo 52 ) in termini di obblighi di difesa collettiva tra i paesi membri. Infatti, in caso di un’aggressione armata al territorio di un paese membro, la UE prevede che “gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso” mentre la NATO prevede che ogni stato membro “assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata”. Una formulazione, quest’ultima, che parrebbe consentire ai paesi alleati maggior discrezionalità nel definire cosa rendere disponibile per l’alleato aggredito.
Di fatto, l’UE ha lasciato invece che fossero i singoli paesi membri ad organizzarsi direttamente con l’Ucraina. In quest’ottica il trio Macron-Starmer-Merz è apparso quello più deciso a fornire, una volta che ci sia un cessate il fuoco, truppe dislocate nell’ovest dell’Ucraina come rassicurazione dell’impegno di queste nazioni ad intervenire militarmente anche in maniera massiccia ove l’Ucraina in futuro dovesse venire di nuovo attaccata.
Si tratta di un impegno difficile da organizzare, complesso in merito alle linee di comando (Chi eserciterà il comando su tali forze? Ci sarà un comando e controllo unificato o ciascuno opererà per conto proprio in base ad accordi bilaterali con l’Ucraina?).
Un impegno costoso che si protrarrà per anni e che, però, potrebbe garantire in maniera credibile all’Ucraina che in caso di attacco quei paesi non l’abbandoneranno, anche perché sin dai primi giorni di una eventuale nuova aggressione ci potrebbero essere perdite umane proprio tra i soldati francesi, britannici e tedeschi già schierati sul territorio ucraino.
Si tratta di una scelta coraggiosa, che darebbe la conferma che le promesse fatte all’Ucraina in questi tre anni e mezzo erano sincere e che quelle nazioni sono veramente intenzionate a far seguire i fatti alle parole.
Certo. Ma sarebbe anche una scelta difficile da porre in essere e da mantenere.
Macron, Starmer e Merz potrebbero ricordarci i loro predecessori di otto secoli fa, ovvero i tre eroici re postisi a capo della 3^ crociata (Filippo II, Riccardo Cuor di Leone e Federico Barbarossa). Tre importanti sovrani dell’epoca a cui però la 3^ crociata non portò certo fortuna!
Veniamo alla proposta italiana (in merito alla quale avevamo già tentato di evidenziare alcune difficoltà – “Articolo 5 senza essere NATO”: davvero chi fino ad oggi ha agito da coniglio, domani sarà un leone?)
Da giorni rappresentanti politici e giornalisti parlano di una prodigiosa “proposta italiana” per la sicurezza dell’Ucraina (sicurezza post conflitto, perché, conflitto durante, la sicurezza ucraina resta un problema di Zelensky non nostro, mica vogliamo fare sul serio noi europei!).
Proposta che ci viene detto consentirebbe la famosa quadratura del cerchio portando magicamente all’accordo tra bellicisti con elmetto e fucile e neutralisti con bandiere arcobaleno. Insomma, quasi l’equivalente geopolitico di quello che sarebbe stata la scoperta del motore a moto perpetuo in ambito termodinamico (motore ricercato senza successo persino dal Genio vinciano con le sue ruote a pesi) se mai fosse stato realizzato.
Ci dicono che tutti sarebbero entusiasti della proposta italica, incominciando da Trump (e già questo dovrebbe farci preoccupare!)
Ma il problema, almeno per menti semplici come la mia, è tentare di capire che cosa in concreto si vorrebbe proporre e per fare cosa.
Abbiamo sentito che la presidente del Consiglio parlava di applicare all’Ucraina una garanzia “tipo l’articolo 5 della NATO”. Bene, ma da parte di chi? Della NATO stessa? Sembrerebbe di no e lo stesso Trump lo ha fatto chiaramente capire. E allora chi sarebbero questi moschettieri di Dumas che al grido “tutti per l’Ucraina” sguainerebbero le loro sciabole?
Neanche appare ben chiaro da quando si applicherebbe questo scudo protettivo. A partire da una tregua/armistizio o da un accordo di pace? Si tenga conto che il presumibile mancato riconoscimento ucraino dell’acquisizione da parte russa della Crimea e dei territori occupati da Mosca renderebbe di fatto impossibile qualsiasi accordo di pace formale e ci si potrebbe ritrovare per anni (o decenni) con una situazione solo di “tregua”, ma senza reciproco formale riconoscimento tra le parti. Ovvero, la famosa “soluzione coreana”.
Questioni non secondarie, che necessiterebbero approfondimenti. Peraltro, poi arrivano le dichiarazioni dei due vicepresidenti del Consiglio, che ci confondono ulteriormente. Uno promette che non ci saranno mai soldati italiani in Ucraina. Rassicurante per noi, meno per gli ucraini che incominceranno a chiedersi preoccupati chi effettivamente si impegnerebbe a fornire queste garanzie “tipo articolo 5” e in che cosa consisterebbero esattamente (al netto dei calorosi abbracci a Zelensky a ogni visita ufficiale).
Per essere brutalmente diretti, se in futuro la Russia aggredisse di nuovo l’Ucraina a cui è stata promessa l’assistenza “simil-articolo 5” l’Italia interverrebbe militarmente in sostegno di Kiev o no?
Se fossi ucraino mi sentirei come uno che va a sottoscrivere un’assicurazione auto e dopo che la responsabile dell’agenzia mi ha magnificato i vantaggi mirabolanti della polizza sottoscritta, il suo vice mi dicesse “tranquillo, tanto noi non rimborsiamo mai”.
Poi, interviene l’altro vicepresidente del Consiglio che conferma che il governo non intende inviare truppe ma, aggiunge, potremmo dare un contributo importante vista la grande esperienza che abbiamo per lo sminamento sia marittimo che terrestre.
Lo sminamento, oltre a prevedere invio di truppe, nulla ha a che fare con la rassicurazione dell’Ucraina per prevenire un attacco russo o con intervento a supporto dell’Ucraina attacco russo durante. Ce li immaginiamo gli sminatori a sminare mentre intorno ucraini e russi combattono?
Da ex comandante del Genio nessuno più di chi scrive sostiene la grande rilevanza delle attività di sminamento, ma nel contesto in discussione non c’entrano niente. Certo, come in altri teatri operativi (Bosnia, Kosovo, Sud Libano), lo sminamento è una attività che può essere condotta dai contingenti che là sono schierati, ma non è lo sminamento il motivo principale della presenza di un contingente militare, che sia di mantenimento della pace o di rassicurazione di una delle parti.
Il giorno seguente sembra esserci un aggiustamento: sminamento solo in mare. Certo: “no boots on the ground”, ma il problema concettualmente resta invariato.
Nella conferenza stampa del 28 agosto dopo il consiglio dei ministri, il ministro degli Esteri, pressato dai giornalisti, dopo aver assicurato che l’Italia non invierà militari in Ucraina, ha detto che la proposta di “simil articolo 5” avanzata dall’Italia sarebbe basata su accordi bilaterali di mutuo soccorso tra l’Ucraina e altri Stati (e lo ha detto come se tra questi ultimi non ci sarà l’Italia). Accordi bilaterali per intervenire militarmente a fianco degli ucraini se dopo l’armistizio questi venissero di nuovo attaccati. Ma accordi che, ci par di capire, l’Italia non sottoscriverebbe (altrimenti dovrebbe intervenire in qualche modo con militari in soccorso dell’Ucraina).
Allora l’Italia inviterebbe altre nazioni a sottoscrivere impegni che noi stessi non saremmo disponibili ad assumerci?
Il ministro degli Esteri ha evidenziato come punto di forza di questa proposta il fatto che ci sarebbero anche gli USA (peraltro, il supporto USA si sa che sarebbe solo nel settore dell’intelligence e del supporto aereo e verrebbe garantito in un contesto di ampia partecipazione di forze terrestri e navali europee a supporto dell’Ucraina).
Dal poco che si è capito, sembrerebbe il tipico “armiamoci e partite”, o forse anche, come dicevano una volta nel varietà, “vai avanti tu che a me viene da ridere”
Alla richiesta di chiarimenti in merito alla attività di sminamento (ipotesi che lui stesso aveva avanzato), il ministro ha detto che tale attività non sarebbe portata avanti da militari ma da società private italiane e che avrebbe carattere prettamente umanitario e non sarebbe connessa con la difesa e sicurezza dell’Ucraina. Ottimo, ma non c’entra né con il sempre più fumoso “simil articolo 5” né con la sicurezza dell’Ucraina. È comunque il ministro ha ripetutamente assicurato che non ci saranno militari italiani in Ucraina (ovvero , per parafrasare quanto già detto da un ministro italiano, il concetto sembrerebbe essere “Zelensky attaccati al tram”)
Francamente, non sembrerebbe che vi sia grande chiarezza su dove si voglia andare, se non continuare a rassicurare Zelensky che l’Italia continuerà ad essere al suo fianco, come abbiamo sempre giurato sin dai tempi di Biden , anche se ora a Washington il vento è cambiato (e il nuovo sceriffo non ritiene che questa sia la “sua” guerra). Ovviamente, sperando che nessuno venga mai a chiederci di far seguire i fatti alle promesse.
Ad essere malpensanti, un altro obiettivo delle proposte sembrerebbe essere quello di presentare comunque una proposta alternativa a quella del trio “interventista” di Starmer, Macron, Merz, per non lasciare solo a loro la scena.
In conclusione, da un certo punto di vista va bene che Putin per il momento non voglia trattare, perché se la prossima settimana lui e Zelensky dovessero giungere ad un accordo almeno per una tregua, la montagna delle promesse europee rischierebbe di non partorire neanche il famoso topolino.
1 Articolo 42 paragrafo 7 del Trattato di Lisbona “Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri.”
2 Articolo 5 del Trattato di Washington 1949 Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dal art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale. Ogni attacco armato di questo genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza. Queste misure termineranno allorché il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionali.
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Dopo le speranze indotte da frettolose letture degli esiti degli incontri di Trump con Putin ad Anchorage (sul cui successo avevamo già espresso alcune perplessità – Dopo l’Alaska: non sappiamo chi abbia vinto ma sappiamo chi ha perso) e dell’incontro…
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