L’attacco terroristico ad Auckland e l’islam radicale nello Sri Lanka
Si è verificato in Nuova Zelanda il primo attentato jihadista contro un paese occidentale dal completamento del ritiro militare delle forze USA e NATO dall’Afghanistan.
Un uomo di 32 anni, originario dello Sri Lanka, già noto alle forze dell’ordine come simpatizzante dell’Isis, ha ferito 7 persone ieri in un supermercato di Auckland prima di essere colpito a morte da un agente di polizia. Tre dei feriti, secondo quanto riporta il New Zealand Herald, sono in gravi condizioni. L’uomo era già stato arrestato in passato per aver pianificato un attacco armato di coltello, che le autorità avevano classificato come da “lupo solitario”, ossia slegato da ogni coordinamento con cellule operative dello Stato Islamico, ma poi era stato scarcerato nel luglio scorso dopo tre anni di prigione anche se era previsto che fosse costantemente sorvegliato dalla Polizia.
l primo ministro neozelandese, Jacinda Ardern, ha detto ai media che l’attacco “è stato compiuto da un individuo, non da una fede, non da una cultura, non da un’etnia, ma da una singola persona attanagliata da un’ideologia che qui non è supportata da nessuno”.
Secondo Ardern “abbiamo utilizzato tutti gli strumenti possibili di sorveglianza per tenere i cittadini al sicuro da questo individuo”. Nel 2020 però un giudice dell’Alta Corte neozelandese aveva declassato le accuse contro il trentaduenne, escludendo l’applicazione del Terrorism Suppression Act 2002, aprendo di fatto la strada alla sua scarcerazione. Non è chiaro perché la giustizia neozelandese non abbia fatto ricorso all’espulsione del terrorista dopoo la sua scarcerazione.
La premier neozelandese ha promesso di inasprire le leggi anti-terrorismo. Il capo della polizia Andrew Coster ha affermato che il terrorista era “molto paranoico” e “non collaborativo”.
Un report di Asianews rivela che in base al censimento del 2018, in Nuova Zelanda ci sono 16.830 cittadini originari dello Sri Lanka di etnia cingalese, tamil e burgher. Alcuni, il 17%, sono “Sriwis”, cioè nati in Nuova Zelanda da discendenti srilankesi buddhisti. I musulmani sono meno del 4% all’interno della comunità srilankese, mentre in patria sono un gruppo numericamente più significativo: oltre il 9% della popolazione totale. È una presenza variegata e disunita al proprio interno, considerato che in passato gruppi fondamentalisti si sono scontrati con i sufi.
L’episodio di oggi – anche se attribuito a un cosiddetto “lupo solitario” – riaccende i riflettori sui gruppi che propagandano il jihadismo all’interno di questa comunità islamica. Dopo gli attacchi di Pasqua del 2019, che colpirono le chiese e gli alberghi uccidendo oltre 300 persone e ferendone 500, il governo dello Sri Lanka aveva provato a intervenire con misure anti-terrorismo.
Il governo aveva immediatamente messo al bando il gruppo jihadista locale National Thowheeth Jamaath (che aveva giurato fedeltà allo Stato islamico). La commissione speciale di indagine su quelle stragi ha raccomandato però anche lo scioglimento dei gruppi estremisti buddhisti, che, secondo gli esperti, avevano contribuito alla radicalizzazione di alcuni musulmani. Altre voci però sostengono che se i terroristi hanno attaccato tre chiese e tre hotel di lusso, è stato perché gli estremisti hanno fatto propria l’ideologia del jihad globale che vede nelle istituzioni occidentali il massimo nemico.
Dal 2009, dopo la fine della guerra civile, il Bodu Bala Sena (le Forze del potere buddhista o Bbs) ha condotto una serie di aggressioni anti-musulmane per le quali non è mai stato ritenuto responsabile. Il Bbs è stato escluso dai provvedimenti dell’ex governo, nonostante le esortazioni del cardinale mons. Malcolm Ranjith di abolire l’organizzazione.
L’attuale presidente Gotabaya Rajapaksa (eletto anche grazie ai voti delle organizzazioni buddhiste e per aver promesso giustizia) ad aprile ha messo al bando 11 organizzazioni jihadiste e ha proibito alle donne di indossare il burqa, considerato, secondo le parole del ministro della Sicurezza pubblica Sarath Weerasekara, un “simbolo di estremismo religioso” che ha un “impatto diretto sulla sicurezza nazionale”.
La misura rischia però di accrescere il risentimento della comunità musulmana, che, se strumentalizzato dai gruppi jihadisti, andrà a inasprire il conflitto interreligioso.
Il governo dello Sri Lanka aveva inoltre ventilato la chiusura di almeno 1.000 madrase non registrate. Non è chiaro se queste possano essere terreno fertile per la radicalizzazione, ma un dato è evidente: la maggior parte delle famiglie musulmane manda i propri figli alle scuole coraniche perché non può permettersi di iscriverli alla scuola pubblica, alimentando così un circolo vizioso di marginalizzazione. Nella sola capitale Colombo, per esempio, circa 5mila bambini ogni anno non riescono ad accedere all’istruzione statale.
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