L’impatto della robotica sulla dottrina: “speed of warfare” e “human cognition”
Nella guerra contro la Russia, gli ucraini hanno individuato nella robotica, cioè nell’impiego in massa di sistemi unmanned, il proprio moltiplicatore di forza. Si è trattato di una scelta obbligata dall’inferiorità oggettiva – se dovessimo applicare la pura legge dei numeri – delle forze di Kyiv rispetto a quelle di Mosca. Questo utilizzo importante dei droni in tutti i domini da parte ucraina ha spinto i russi a cercare innovazioni in questo settore a loro volta, ottenendo risultati interessanti.
La rapidità con cui sono comparsi, impiegati e modernizzati i sistemi unmanned per l’impiego tattico è una diretta conseguenza delle necessità emerse sul campo di battaglia; una accelerazione indotta più che programmata, al contrario di quanto avviene in Paesi che non hanno conosciuto l’esperienza della guerra convenzionale nel XXI secolo.
Su “Formiche” Jacopo Marzano, sintetizzando il pensiero militare ucraino, ha scritto che “in un conflitto di logoramento, la sopravvivenza passa dall’automazione: un esercito di uomini ridotto, ma sostenuto da flotte di droni e intelligenza artificiale”. Una tesi, questa, che semplifica troppo i processi di integrazione uomo-macchina e che non tiene in debito conto la centralità che le armi ed i sistemi tradizionali mantengono in battaglia – dal punto di vista tattico e operazionale – ma che mette in luce la presenza sempre più ingombrante e da governare delle tecnologie di nuovo tipo come droni e IA.
La crescita esponenziale della tecnologia sul campo di battaglia si scontra con la limitatezza della cognizione umana. Una parte consistente della teoria, quella di scuola futurista principalmente, ritiene che alcuni episodi delle guerre in Ucraina e Gaza abbiano confermato che la capacità di decisione umana sia stata superata dalla velocità delle nuove tecnologie. Il timore di trovarsi di fronte ad un gap cognitivo notevole per chiunque sia obbligato a prendere decisioni sul campo ha spinto il Pentagono ad accelerare sui programmi di ricerca per la delega ai sistemi di intelligenza artificiale di alcuni processi decisionali tattici.
Giustamente, come ha scritto il generale Milford Beagle Jr. su “War on the Rocks”, incaricare l’IA di ridurre o azzerare il gap cognitivo, salvando il comandante anche da eventuali bias è una interpretazione schiettamente ottimistica. Infatti, “sebbene sia allettante credere che la risposta risieda nell’impiego di strumenti più veloci, reti migliori o un’intelligenza artificiale più avanzata, la verità è che nessuna tecnologia può compensare un deficit di adattamento umano”. L’IA non dovrebbe essere vista come un’intelligenza aumentata o automatizzata, ma come un’intelligenza “aggiuntiva” per il comandante, dunque un mezzo per migliorare il giudizio umano e non per sostituirlo.
Se esiste una discrasia tra “speed of warfare” e “human cognition”, essa è dovuta all’impatto della novità e alle complessità dottrinarie di integrazione. Su questi elementi occorrerà lavorare.
Foto: MoD Ukraine
L’articolo L’impatto della robotica sulla dottrina: “speed of warfare” e “human cognition” proviene da Difesa Online.
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