L’Italia ammaina la bandiera in Afghanistan
L’Italia, gli USA e la Nato hanno ammainato le bandiere a Herat imprimendo una ulteriore accelerazione al disimpegno (meglio forse chiamarla fuga?) dall’Afghanistan che si concluderà ben prima della data prevista dell’11 settembre 2021.
Al di là delle frasi di circostanza e dei bilanci positivi circa l’operato dei militari italiani a favore delle forze di sicurezza e della popolazione afghane pronunciate durante la cerimonia dell’8 giugno (cui si riferiscono gran parte le foto che illustrano questo articolo) tenutasi a Camp Arena. resta il fatto ineluttabile che nessuno dei risultati conseguiti in 20 anni al prezzo di sudore, sangue e denaro è stato risparmiato dall’annichilimento che prima il ritiro delle forze combattenti e ora il ripiegamento delle forze di supporto alleate hanno determinato.
Come ha ricordato ieri Fausto Biloslavo su il Giornale “in Afghanistan non abbiamo vinto e l’ammaina bandiera ad Herat assomiglia molto ad una sconfitta semi nascosta e mascherata da orgogliosi discorsi ufficiali. La realtà sul terreno è che, nel solo mese di maggio, 26 fra avamposti e basi delle forze di sicurezza afghane, in quattro province, si sono semplicemente arresi ai talebani.
Gli insorti jihadisti minacciano 17 dei 34 capoluoghi afghani e sono ben attestati a 50 chilometri da Kabul, nella provincia di Wardak, la porta d’ingresso della capitale. Nel 2014, quando la Nato aveva deciso di passare il testimone della sicurezza agli afghani, nessun capoluogo era sotto tiro. Solo negli ultimi tre anni i talebani hanno conquistato il doppio dei distretti (88) e contrastano la presenza governativa in altri 213. Secondo alcune stime gli eredi di mullah Omar controllano già il 60% del territorio a parte le grandi città”.
Tra il 5 e il 7 giugno due distretti sono caduti nelle mani dei talebani (sette da inizio maggio). Nel distretto di Shahrak, provincia nord-occidentale di Ghor, le forze di sicurezza afghane hanno attuato una “ritirata tattica” di fronte all’offensiva dei talebani, ha riferito il governatore Abdul Zahir Faiz, precisando che 7 militari sono stati uccisi e 3 feriti, mentre tra le fila degli insorti sono stati 18 i morti e 24 i feriti.
I talebani hanno preso il controllo anche del distretto di Doab, nella provincia orientale del Nuristan, abbandonato dalle forze governative dopo 20 giorni di resistenza per l’impossibilità di ricevere approvvigionamenti dal governo centrale. Il distretto collega le province del Panjshir e del Badakhshan al Nuristan e i talebani ora minacciano la vicina provincia del Laghman, dopo avere stretto d’assedio il distretto di Noorgram.
Almeno 14 agenti di polizia sono stati uccisi oil 5 giugno nell’attacco dei Talebani al quartier generale della polizia nella provincia settentrionale di Faryab.
L’uccisione di 10 sminatori dell’organizzazione britannica Halo Trust nella provincia di Baghlan è stato invece rivendicato dallo Stato Islamico. Un sopravvissuto ha raccontato l’arrivo del commando nella notte. Cinque o sei uomini, ha detto, hanno scalato i muri perimetrali, messo fuori uso i generatori, prima di radunare i circa 140 dipendenti, tutti afghani, che stavano riposando.”Erano tutti mascherati. Uno ha chiesto se ci fosse qualche hazara tra noi (una minoranza prevalentemente sciita presa di mira dagli insorti, ndr) ma nessuno ha risposto. “Allora uno degli aggressori ha ordinato di uccidere tutti”. L’attacco è durato due ore, fino a mezzanotte. Halo Trust ha confermato che dieci dei suoi dipendenti sono stati uccisi e 16 feriti.
Il ministero della Difesa afghano ha riferito anche la perdita di un elicottero MI-17 schiantatosi (per problemi tecnici da quanto dichiarato) nella provincia orientale di Maidan Wardak con la morte di tre membri dell’equipaggio e il ferimento di un altro.
Intanto, il ritiro delle truppe americane e alleate è già stato completato al 50% come ha sottolineato il generale Frank McKenzie, alla guida del Comando Centrale Usa.
Come riferisce il New York Times, i rapporti della Cia sono sempre più pessimistici di fronte alle conquiste talebane nel Sud e nell’Est, e c’è la preoccupazione che Kabul possa cadere nelle mani dei miliziani nel giro di qualche anno, tornando a essere un rifugio sicuro per terroristi. Uno dei nodi è la perdita delle basi aeree in Afghanistan utilizzate dal Pentagono per lanciare missioni operative e raid dei droni, che monitorano da vicino talebani e altri gruppi militanti. I vertici militari sono impegnati nel trovare sostituti ma al momento non ci sono ancora accordi con i Paesi vicini. Tra i papabili, ci sono Tagikistan, Kazakistan e Uzbekistan, tutti in un modo o nell’altro nell’orbita di Mosca, e le recenti sanzioni americane contro la Russia non facilitano le discussioni.
Per anni, l’intelligence Usa ha usato una base in Pakistan ma l’ha persa nel 2011 quando i rapporti con Islamabad sono precipitati in seguito a un incidente al confine. Il direttore della Cia, William J. Burns, di recente ha fatto una visita a sorpresa nel Paese e il capo del Pentagono, Lloyd Austin, ha avuto frequenti telefonate con i vertici militari pakistani. Secondo fonti citate dal Nyt, i pakistani hanno avanzato una serie di richieste in cambio dell’uso di una base, tra cui l’approvazione da parte loro di ogni obiettivo che gli americani vogliano colpire all’interno dell’Afghanistan.
La NATO sconfitta sta valutando come continuare a fare formazione per le forze di sicurezza afgane fuori dall’Afghanistan, come ha dichiarato il segretario generale, Jens Stoltenberg.
Il ritiro è in corso” e “la nostra principale preoccupazione è mantenere la sicurezza per le nostre truppe” mentre lasciano il Paese. E poi “come preservare” i risultati conseguiti. “Noi continueremo a sostenere gli afgani”, “continueremo a dare fondi alle forze di sicurezza” e “stiamo guardando a come poter fare per fare formazione fuori dall’Afghanistan”, perchè “possiamo formare le forze di sicurezza in altri Paesi”, e a “come per mantenere le infrastrutture critiche come gli aeroporti”. Quindi “la Nato continuerà ad essere impegnata in Afghanistan, ma in un modo diverso”, ha detto.
Di certo in un Afghanistan che teme di tornare sotto il dominio talebano entro pochi mesi non mancheranno i militari governativi disponibili a “farsi addestrare” all’estero.
A dispetto poi del convincimento diffuso che nessuno stato membro dell’Alleanza Atlantica possa mantenere da solo (o con altri alleati) una presenza militare in Afghanistan in assenza degli Stati Uniti, va rilevato che la Turchia ha annunciato di essere pronta a mantenere le sue truppe in Afghanistan anche dopo il previsto ritiro dei contingenti degli altri Paesi della Nato, se le sue richieste di sostegno politico, finanziario e logistico verranno soddisfatte dagli alleati.
Lo ha detto nei giorni scorsi il ministro della Difesa di Ankara, Hulusi Akar, spiegando che colloqui al riguardo si sono tenuti con gli Stati Uniti e all’ultimo incontro dei ministri della Difesa dell’Alleanza Atlantica. “Se queste richieste verranno soddisfatte, potremo restare all’aeroporto internazionale Hamid Karzai” di Kabul, ha spiegato Akar. “L’obiettivo è quello di garantire la pace in Afghanistan. Abbiamo una fratellanza storica e vogliamo poter restare finchè il popolo afgano vorrà il nostro aiuto”, ha aggiunto il ministro. Al momento, la Turchia schiera a Kabul 500 militari nell’ambito dell’Operazione Nato Resolute Support.
Foto: Difesa.it e NATO