Mamdani, il sindaco delle contraddizioni: New York tra ideologia e realtà
La vita politica è scandita dalle tornate elettorali, momenti che tanto possono segnare sorprendenti rivolgimenti, quanto confermare statiche situazioni preesistenti; possono anche sancire cambiamenti tanto più falsamente apparenti quanto più volti a confermare tendenze politiche che incidono direttamente all’interno del partito egemone.
Il valore politico delle elezioni newyorkesi è notevole, benché in una città tradizionalmente liberal un indirizzo democratico non possa dirsi anomalo e dove il vantaggio progressista si è attestato, scemando, al 50,4%, percentuale non schiacciante.
Il vincitore, il musulmano Mamdani, emulo del sindaco di Londra, Sadiq Aman Khan, ha adottato una linea politica diversa da quella tradizionale, schierandosi sia contro il clan Cuomo sia contro il sindaco dem uscente, Adams, sovrastato dagli scandali; una posizione della sinistra radicale che ha facilitato le decisioni da parte dell’ala repubblicana, che ha preconizzato una riedizione di Fuga da New York, ma che poco ha potuto contro un’abilità comunicativa alla Taxi Teheran di Jafar Panahi.
Tra Andrew Cuomo e Zohran Mamdani corre una faglia che rispecchia la divisione interna al Partito Democratico, ovvero tra l’establishment di centro e l’ala socialista, due modelli di governance molto diversi. La coalizione di Mamdani è stata sostenuta da elettori bianchi, ispanici, asiatici, da medio e alto reddito, mentre Cuomo ha ottenuto i risultati migliori con gli elettori a basso reddito e di colore; tuttavia, sono stati gli elettori più giovani a garantire la vittoria di Mamdani.
La svolta verso le posizioni socialiste ha innalzato il consenso popolare di una città che, nel suo essere multietnica, trova forza e debolezza, sintetizzate dalle critiche giunte dalle frange dem più moderate, in antitesi con le posizioni di Bernie Sanders e di Alexandra Ocasio Cortez1. Le affinità tra Sanders e Mamdani sono contemperate in una visione condivisa, forte dell’adesione al socialismo democratico e fondata sulla necessità di una tassazione su corporazioni e transazioni finanziarie per finanziare i programmi sociali, con Sanders interprete di una versione populista e Mamdani proiettato verso immigrati e Generazione Z.
L’appoggio più rilevante è giunto tuttavia dal revisore dei conti di NY, Brad Lander, autoproclamato liberal sionista che ha garantito a Mamdani copertura politica contro le accuse di antisemitismo, anche perché Mamdani è un musulmano sciita duodecimano di fede politica socialista, una relazione stridente da ideologia ibrida da cui risaltano ateismo ed visione materialistica naturalmente opposti a teocrazie pervasive. Un socialista può solo respingere qualsiasi commistione tra religione e potere politico, tanto più che autoritarismo e vicende storiche portano ad un revisionismo critico di Nasserismo e Ba’athismo che non sembrano compatibili con l’attuale vulgata e che ricordano che il socialismo, in quanto tale, può essere solo secolare.
Torniamo negli USA; carovita, spoil system e gerrymandering2 hanno dato linfa al voto benché, per i repubblicani, il new yorker Mamdani, ineleggibile alla Casa Bianca ed in attrito con la società ebraica, ed il californiano Newsom, possono diventare avversari ideali, data la verve polemica e le difficoltà del governatore.
Scontento presidenziale a parte, le elezioni locali non hanno portato a sorprese particolari; il voto non va dunque sovrastimato, perché New York, Virginia e New Jersey sono aree usualmente controllate dai dem, dove vanno valutate le opportunità e non le possibilità repubblicane di perdere il Congresso nel 2026. Ecco che Mamdani si è dunque imposto contro l’establishment dem, privato per motivi anagrafici dell’85enne Nancy Pelosi. Spanberger in Virginia, Sherrill in New Jersey, Mamdani a NY hanno drenato voti non tanto tra le classi popolari, quanto tra professionisti e manager di ceto medio, visto che a livello federale poco si è fatto per controllare lo scontento sul carovita, una debolezza politico-strutturale su cui hanno inciso sia i lavoratori federali licenziati da Musk e Vought, sia lo shutdown più lungo della storia, presumibilmente in via di soluzione in Senato con un accordo bipartisan utile a finanziare il governo fino al 30 gennaio per votare a dicembre su un disegno di legge riguardante l’Affordable Care Act.
Da non sottovalutare poi i consensi dem pervenuti dai distretti costieri, popolati da un’alta percentuale di militari, post riunione plenaria di Quantico di fine settembre indirizzata ai nemici interni. Ai dem, probabilmente, manca ancora una proposta elettorale netta, capace di trascendere gli ambiti locali grazie ad un management politico rinnovato, fresco vincitore di guerra di successione interna.
Secondo Reihan Salam, presidente del Manhattan Institute, think tank conservatore di New York, le linee guida di Mamdani sono molto simili a quelle di Bill de Blasio, che non ha però utilizzato la retorica socialista. Mamdani, secondo Salam, appartiene ad una sinistra radicale da rivoluzione caraibica ed inoltre opponendosi a Israele, è legato all’attivismo pro Pal ed è interessato agli immigrati da Bangladesh, Pakistan, India, così come alla working class e all’elettorato giovanile, specie sotto i trent’anni, che ha visto in lui una reazione alla cristallizzazione dello status quo di Cuomo.
Peccato non abbia seguito la stessa via di de Blasio sulla sicurezza, annunciando tagli sui fondi alle forze dell’ordine in una città afflitta dalla malavita organizzata; il rischio per Mamdani è trasformarsi in una figura da breve termine. Altra comparazione può trovarsi in Barack Obama, pragmatico centrista liberale che ha fornito un modello di leadership post-razziale; mentre Obama ha operato all’interno delle strutture di potere, Mamdani intende riplasmarle da una posizione ideologica più radicale, differenze sostanziali alla base dello scontro ideologico interno ai dem, tra collaborazione con le élite aziendali, costruzione di un consenso bipartisan e lotta di classe senza compromessi con la dirigenza: se Obama è l’Hope che salva banche e industria automobilistica ed è cauta sull’imposizione fiscale, Mamdani è un anti-establishment che promuove la ridistribuzione della ricchezza.
La spinta socialista sul fisco crea problemi a Kathleen Hochul, la governatrice dem di NY, alle prese con un potenziale aumento delle imposte3 capace di provocare fughe di capitali ed il rischio di imminenti governatorati repubblicani. Se Mamdani segue ispirazioni socialiste, sul tavolo rimane la domanda su chi dovrà saldare i conti. Per non essere tra i prossimi a saltare alle primarie, molti moderati potrebbero piegarsi alla linea socialista; non aumentare le tasse sui redditi tuttavia lascerà aperta la porta alle imposte sulle imprese.
I Rischi
Intanto l’emigrazione dei contribuenti ad alto reddito e delle aziende, in uno Stato Wall Street dipendente e dove i più ricchi già contribuiscono per il 41%. Considerare in crisi Trump potrebbe trarre in inganno, anche perché non si può confondere un singolo feudo, tradizionalmente dem, con tutta l’Unione, dove un’agenda come quella di Mamdani difficilmente troverebbe accoglimento. Il problema rimane dunque in campo democratico, ove bisogna comprendere la fattibilità di una sintesi tra le sue due anime politiche prima che le spaccature interne si allarghino; si potrebbe affermare che il successo di Mamdani non nasca quale opposizione a Trump, ma verso la più generale crisi del paese, con la costante erosione del ceto medio, ponendo agli estremi della stessa retta Presidente e Sindaco.
Si passa dunque dal piano ideologico a quello economico-sociale, posto che il populismo può essere sconfitto solo con il pragmatismo: chi vincerà allora tra i populismi di Trump e di Mamdani?
La polarizzazione europea ha offerto prospettiva ai partiti di sinistra4, intendendo così dimostrare che un programma radicale potrebbe invertire l’attuale tendenza elettorale, a cominciare dalla Gran Bretagna, dove il Labour è crollato nei sondaggi5. Attenzione comunque a prestare attenzione a tutte le sollecitazioni che, spesso, si dimostrano bias cognitivi, come accaduto con il documentario Panorama diffuso dalla BBC, incentrato sul discorso di Trump del 6 gennaio 2020, e per la manipolazione del quale sono già stati dimissionati il direttore generale Tim Davie e la CEO di BBC News Deborah Turness.
Economicamente, la non amplissima vittoria incorona un socialista affine al pensiero di Peron, versato per le promesse ma non per la loro realizzazione; Mamdani si è impegnato per trasporti pubblici gratuiti, così come per servizi per l’infanzia ed affitti degli immobili comunali, cui è interessato 1 newyorkese su 17, aspetto che porta a riflettere sul fatto che, per spendere denaro, è indispensabile disporne.
Secondo l’Economist, se Mamdani volesse mantenere le sue promesse, sarebbe disastroso per la città6; in Francia il fascino sull’elettorato è stato esercitato dalle promesse concesse con pericolosa liberalità, salvo polarizzarsi sugli estremi e non sul centro.
Ultimo punto riguarda i rapporti con la comunità ebraica, la più grande e variegata fuori Israele7, senza cui si produrrebbe un impatto negativo dai punti di vista demografico, culturale ed economico, e che determina relazioni complesse e polarizzate, viste le posizioni del neo sindaco, che ha definito Israele stato di apartheid, e che è stato riluttante nello stigmatizzare l’espressione globalizzare l’intifada. Di fatto, l’elezione di Mamdani ha evidenziato una spaccatura generazionale all’interno della comunità ebraica americana, divisa tra chi considera Israele una garanzia di sopravvivenza e chi, invece, lo percepisce come stato coloniale. La maggioranza della comunità ebraica mainstream teme per un aumento dell’antisemitismo e per le conseguenze sulle politiche sociali fino agli appelli all’emigrazione in Israele, mentre circa 1/3 ravvisa nelle critiche a Tel Aviv un’espressione dei valori ebraici di giustizia secondo una tensione che costringerebbe gli ebrei americani a dover scegliere tra il sostegno a Israele e la loro identità politica.
La vittoria di Mamdani si basa su condizioni uniche, beneficiando del fatto di candidarsi in una città democratica contro un candidato debole, usufruendo di condizioni favorevoli per i candidati anti-establishment.
Chi nel circo americano cercava la rivoluzione è rimasto deluso. Le elezioni di NY, New Jersey e Virginia, al netto di inesistenti rivincite, hanno ribadito che in determinate aree la debolezza repubblicana è irrimediabile e che qualsiasi dinastia è destinata a tramontare. L’errore è declinare un regolamento di conti interno ai dem per un fenomeno nazionale. A NY la notizia è che la famiglia Cuomo ha completato la sua parabola politica, non certo la conferma democratica. Anche Virginia e New Jersey rientrano tra le non-notizie, visto che non si è mai trattato di stati in discussione. I dem in Virginia hanno confermato la leadership perché l’elettorato, organico allo stato centrale, non voterebbe mai per un partito che promette tagli lineari tra votanti radicalizzati dallo shutdown.
A NY, più che Mamdani è Cuomo a tenere banco; dopo che il Partito a lungo vi si è immedesimato, la sua ala sinistra ha voltato pagina, proprio quando la confusione ha raggiunto il suo apice con l’endorsement presidenziale.
Di Mamdani va ricordata un’epicità inferiore a quanto riportato dai quotidiani; il margine non è stato schiacciante e, soprattutto, gli antagonisti hanno commesso l’ingenuità di frammentarsi senza presentare alternative. La somma dei voti ottenuti da Cuomo e dal repubblicano Sliwa, dimostra che una larga percentuale non ha votato a sinistra, il che porta a supporre che Mamdani abbia vinto non tanto grazie a Marx quanto perché gli avversari si sono parcellizzati. Anche il programma è tecnicamente esiguo, senza una base politico-economica espansiva; è solo spesa corrente e sovvenzionamento di parte dell’elettorato a fronte di una fuga di maxi contribuenti verso Florida e Texas.
Esclusi gli abbienti, rimane da comprendere chi pagherà i contributi pubblici, certo non i ricchi, come da copione secolare.
Si è trattato della conferma dello status quo, dunque attenzione ad usare la propaganda invece dell’analisi e a non considerare l’imponderabilità delle elezioni di midterm. Al nuovo sindaco il compito di comprendere in fretta se può ambire a qualcosa di più o se rimanere un divo da social.
1 Ocasio-Cortez, teorizza la possibilità per gli USA di indebitarsi grazie alla forza del dollaro sui mercati.
2 Metodo ingannevole per ridisegnare i confini dei collegi nel sistema elettorale maggioritario.
3 Imposta sul reddito aggiuntiva del 2% per guadagni oltre 1 milione; aumento dell’aliquota massima di imposta sulle società all’11,5%.
4 Anche la sinistra francese ne ha tratto ispirazione. “Non si vince annacquando il liberalismo economico, ma combattendolo con le unghie e con i denti“, ha scritto su X Manon Aubry, di France Insoumise.
5 Zack Polanski, primo leader ebreo e gay del Green Party of England and Wales è stato paragonato a Mamdani per l’uso dei social media e per le sue richieste di una tassa patrimoniale per ridurre la disuguaglianza.
6 B. Johnson, sindaco di Chicago dal 2023, e M. Wu, sindaco di Boston dal 2021, appartengono all’ala progressista di Mamdani. Entrambi intendevano tassare gli abbienti per finanziare le spese pubbliche. Secondo il NY Times la popolarità di B. Johnson è crollata nonostante l’investimento nel settore edilizio; a Boston, la gratuità del servizio di trasporto urbano è limitata a tre linee di autobus.
7 Oltre 1,7 milioni di soggetti
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