Marocco, l’altra faccia del miracolo economico: giovani senza lavoro e rabbia pronta a esplodere
Gli indicatori economici talvolta ingannano, proponendo bias cognitivi che collidono con le realtà sociali. Il Marocco rientra in questa casistica; a fronte di una crescita record, accompagnata da export e infrastrutture all’avanguardia, aumenta la disoccupazione innescata da un malessere sociale pronto a deflagrare.
A fronte di un’Europa in difficoltà, Rabat ha accelerato, con una crescita annua sopra il 3% e, dal 2019, con un’espansione cumulata1 del 22%. Attenzione però, disfunzionalmente il Marocco deve ancora ben ristrutturarsi dalle conseguenze inflattive post pandemiche e dalle spese, ancora insolute, collegate ai rimborsi alle famiglie delle vittime del terremoto di Al Haouz del 2023.
Nel frattempo, Rabat è assurta al rango di potenza esportatrice in segmenti chiave, arrivando a poche lunghezze dalla produzione automobilistica italiana, vittima di decenni politiche industriali evidentemente sbagliate2.
Ad un PIL cresciuto del 5% si accompagnano le infrastrutture del porto di Tangeri, capace di movimentare il 50% in più dei container in transito nel Porto di Valencia, senza contare parchi solari, un deficit controllato al 4% del PIL ed una moneta al riparo da scossoni valutari. Eppure le proteste sociali, potenzialmente più ampie di quelle inscenate durante la Primavera Araba, hanno svelato i meccanismi di un modello socio-economico prossimo ad un’implosione.
Il Marocco sta diventando un castello di carta?
Ufficialmente il tasso di disoccupazione si è attestato al 13%, benché l’ultimo censimento lo abbia più realisticamente fissato al 21,3%; un’isteresi determinata dalla disoccupazione occulta, ovvero dalla forza lavoro sottoccupata o invischiata nel lavoro nero, come per l’agricoltura, che assorbe il 45% di lavoratori spesso senza contratto né tutele.
Chi perde il lavoro, semplicemente, scompare dalle statistiche. Secondo l’OCSE, il 67% circa della forza lavoro marocchina è priva della tutela di contratti regolari. Il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 40%. Va da sé che dove il miracolo economico non crea lavoro genera emigranti, un esodo massivo di forze produttive caratterizzato da un tasso negativo di 50.000 soggetti partiti in più di quelli entrate.
Secondo l’OCSE, il Marocco è nella parte alta della classifica mondiale dei Paesi per lavoratori in partenza. La crescita è a due velocità e non si traduce in benessere, dati i problemi strutturali alla base delle fondamenta economiche e visto che i settori di punta assorbono capitale, impiegano esigua manodopera e generano profitti per pochi; l’industria emergente, l’automobilistica, è controllata da multinazionali straniere, ma il valore aggiunto non crea sviluppo produttivo endogeno.
Il mercato interno è rigido, costa ed i salari minimi sono tuttavia tra i più alti dell’area regionale, cosa che non incentiva le assunzioni, mentre le imprese statali soffocano la concorrenza privata, con una percentuale elevatissima di fallimenti.
L’alfabetizzazione è inferiore a quella algerina/tunisina e non aiuta la crescita del capitale umano.
Recentemente re Mohamed VI ha descritto il Marocco come un’economia a due velocità, dove gli opposti coesistono nello stesso ambito irregolare. Cosa del resto comprensibile visto che il premier dell’attuale governo di coalizione è Aziz Akhannouch, uno dei businessman più ricchi del Marocco e capo del gruppo Akwa, con un patrimonio netto dichiarato di 1,6 miliardi di dollari, e coinvolto in possibili conflitti d’interesse.
Se da lato il governo ha dato priorità a progetti di forte impatto, dall’altro non ha agevolato investimenti strategici in ambito sociale. Le proteste in corso sono la cartina di tornasole di questo paradosso. Un paradosso acuito dalla scoperta, ancora nelle fasi prodromiche e da accertare in termini di effettive potenzialità, di giacimenti auriferi nell’area di Guelmin, nel Marocco meridionale. In ogni caso, sia pur con previsioni al ribasso, l’indicazione per la quantità disponibile del bene rifugio rimane promettente, anche in termini di diversificazione economica, laddove venga confermata l’economicità del processo estrattivo, in aggiunta alla storica produzione di fosfati.
Ma non è tutto oro quel che luce; il fermento della Generazione Z3, con Indonesia, Perù, Madagascar, ha coinvolto anche il Marocco4; non ci sono al momento leader né partiti per giovani tra i 15 ed i 25 anni armati di smartphone; protestano contro corruzione ed incapacità politica, rivendicano lavoro e diritti, usano i social.
Le proteste, iniziate con i femminicidi argentini si sono spostate in Nepal, nelle Filippine, in India nel Ladakh, in Perù, dal 2024 in Serbia.
Esiste un fil rouge che unisce tutti questi eventi. Sedare nel sangue le proteste malgasce e marocchine ha solo fomentato altra rabbia. Anche se insorte a latitudini differenti, esistono elementi di affinità tali da consentire di parlare di fenomeni digitali comuni, veicolati via messaggistica garantita dalla piattaforma Discord. Il ricordo delle Primavere Arabe del 2010-2011 ricorre anche nella conclamata assenza di guide politiche polarizzate partire dal biennio 2010-2011, con una spiccata sfiducia nel sistema partitico e sindacale.
La Generazione Z marocchina, gravata dell’handicap della crisi economica del 2008, chiede riforme politiche, a fronte degli investimenti governativi in stadi calcistici e resort5, e tenuto conto che un laureato su 5 è disoccupato. Salari bassi, inflazione, forte polarizzazione politica, disuguaglianze acuite dalla pandemia e da una globalizzazione aritmica, hanno intaccato la credibilità istituzionale.
Mentre in Occidente le politiche propendono per le estremizzazioni, una disincantata Generazione Z Afro-Asiatica-Amerinda dimostra contro economie che hanno tralasciato i più fragili, ampliando i punti di faglia politici.
Il Marocco, ex isola di felice e inconsapevole stabilità nel Mena, sta attraversando momenti di tensione a cui di fatto sono estranee le dinamiche geopolitiche di attualità; diverse città, da Oujda a Inzegane, sono al cento di manifestazioni non autorizzate, degenerate in guerriglia urbana, lontane dagli avvenimenti gazawi e contigue all’attualità interna.
Il governo, in difficoltà nel dialogare con soggetti politici anonimi, ha adottato una reazione bidimensionale: da un lato propendendo per il dialogo, dall’altro rispondendo con durissime reazioni repressive6.
Anche il movimento GenZ 212 rammaricandosi per le violenze probabilmente indotte da elementi aggiuntisi successivamente, ha voluto prendere le distanze tentando di non perdere il controllo di una situazione che potrebbe essere stigmatizzata per gli estremismi tralasciando le vere motivazioni di fondo. Probabilmente è ancora troppo presto per etichettare il tutto come una riedizione riveduta e corretta delle Primavere Arabe, ma di certo non sono eventi trascurabili.
Mentre il premier Akhannouch ha promesso la disponibilità dell’esecutivo a rispondere alle richieste avanzate dai giovani, data la complessità della monarchia che contempla una divisione dei poteri tra il Re, il Comandante dei Credenti, ed i rami esecutivo e legislativo, molti guardano a Mohamed VI, ed al principe ereditario Moulay Hassan, perché prendano le decisioni necessarie ad attuare riforme quali parti di un processo di successione a più lungo termine.
Le elezioni del 2026, animate presumibilmente dalla Generazione Z, vedranno una riconfigurazione del dibattito politico per rifasare le priorità al di là di spettacoli ed infrastrutture in previsione della Coppa del Mondo del 2030. Non è escluso che, date storie e strutturazione politica, il Marocco possa metabolizzare gli eventi tornando gradualmente alla normalità, benché sarebbe imprudente non considerarli quale campanello d’allarme. Non è un caso che l’Algeria sia stata interessata da proteste simili etichettate #GenZ2137, con sullo sfondo la possibilità di un’escalation accidentale proprio con Rabat per la querelle del territorio conteso del Sahara Occidentale, oggetto di un’insicurezza alimentata dal presunto sostegno marocchino alla Cabilia e dall’arrivo di attori stranieri in nord Africa e Sahel.
1 Riferita al Contratto di Espansione, strumento aziendale per il ricambio generazionale
2 Secondo l’Organizzazione Internazionale dei Costruttori di Veicoli a Motorenel 2024 il Marocco ha prodotto 559.645 automobili, a fronte delle 591.067 dell’Italia. Nei primi sei mesi del 2025 il Marocco ha già superato le 350.000 unità, con un incremento del 36% su base annua. L’accelerazione è stata determinata dalla Cina, che ha individuato nel Marocco una piattaforma strategica nel settore dei veicoli elettrici.
3 Fine anni ’90 prima decade 2000
4 Proteste anche nella capitale Rabat, la principale città commerciale, Casablanca, e la città portuale di Tangeri. Anche il centro turistico di Marrakech è stato coinvolto: secondo i media i manifestanti hanno incendiato una stazione di polizia.
5 Le manifestazioni sono iniziate dopo l’inaugurazione del nuovo stadio di calcio Moulay Abdellah a Rabat a metà settembre, del costo di 75 milioni di dollari e a dicembre dovrebbe ospitare la Coppa d’Africa. Allo stesso tempo, sono giunte notizie dei decessi di diversi pazienti a causa di negligenza medica ad Agadir.
6 Secondo quanto riportato dai media ufficiali, due persone sono state uccise dopo che la polizia ha aperto il fuoco per impedire ai manifestanti di assaltare una stazione di polizia a Lqliaa, vicino alla città costiera di Agadir
7 prefisso telefonico algerino di +213
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