Mercenari, volontari e foreign fighters: cosa prevede il Diritto
La notizia della morte di un italiano combattente con le forze separatiste del Donbass o il video diario di una ventitreenne italiana che dichiara di essersi arruolata tra i foreign fighters per l’Ucraina, fanno sorgere interrogativi sulla posizione giuridica dei cittadini di Stati formalmente estranei al conflitto, che si dichiarano intenzionati ad unirsi ai combattimenti a fianco dell’esercito ucraino o di quello russo (nella foto sopra combattenti stranieri con le forze ucraine sul fronte del Donbass nel 2015 – foto di Valentina Cominetti) .
Lo scopo di questo articolo è di fornire una breve analisi dei parametri giuridici che regolamentano la presenza di combattenti stranieri in un conflitto armato, tentando di applicarli alla fattispecie di volontari italiani che dovessero partecipare alla guerra russo-ucraina.
Cosa dice il diritto internazionale umanitario (DIU)?
Le norme rilevanti per la circostanza sono contenute nella III Convenzione di Ginevra del 1949 (III CG), relativa al trattamento dei prigionieri di guerra e nel I Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni del 1949 (I PA), adottato nel 1977 sulla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali. Sia la Russia che l’Ucraina sono parti di entrambi i trattati, e nessuno dei due Stati ha apposto riserve o dichiarazioni interpretative alle disposizioni oggetto d’analisi.
Possono i foreign fighters essere considerati combattenti legittimi? La III CG già considerava combattenti legittimi gli appartenenti a milizie e corpi volontari se in possesso di taluni requisiti che li identificassero come appartenenti di una parte in conflitto. Dopo la Seconda guerra mondiale, le norme in materia hanno precisato che tutte le forze, i gruppi e le unità armate e organizzate di ciascun belligerante, devono agire sotto un comando responsabile della condotta dei propri subordinati nei confronti di ciascuna delle parti in conflitto.
Combattenti ucraini e stranieri sul fronte del Donbass nel 2015 (foto di Valentina Cominetti)
Quindi anche le formazioni militari, a similitudine di forze armate regolari, devono essere sottoposte ad un regime interno di disciplina che, fra le altre cose, garantisca l’attuazione coercitiva delle regole pertinenti al diritto dei conflitti armati. Di conseguenza, indossare un’uniforme o portare un segno distintivo fisso riconoscibile a distanza, costituisce una condizione legittimante per i membri delle forze armate. Invece, il non essere legati ad una delle parti in conflitto può comportare il mancato riconoscimento dello status di legittimo combattente in caso di cattura e le conseguenti garanzie accordate dalla Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra.
Quel che conta è inoltre che i combattenti si distinguano nettamente dai civili, allo scopo di sottrarre quanto più possibile gli inermi dagli effetti nefasti dei combattimenti. I combattenti che non osservano quest’ultima disposizione debbono rispondere della violazione dell’art. 44, par. 3 della III CG, con l’ipotesi di incorrere nell’imputazione di crimine di guerra.
Combattente straniero o mercenario?
Ma i foreign fighters potrebbero essere invece classificati come “mercenari”? La Russia ha già dichiarato che ai “mercenari occidentali” non verrà concesso lo status di prigioniero di guerra in caso di cattura e che saranno perseguiti come criminali. Cerchiamo di fare chiarezza: innanzi tutto, nessuna disposizione internazionale prevede che per essere un legittimo combattente si debba appartenere allo Stato per cui si combatte.
Volontari stranieri arruolatosi nelle milizie russofone del Donbass nel 2014 (foto di Eliseo Bertolasi)
Si pensi ai numerosi esempi di unità militari interamente composte da cittadini stranieri che servono negli eserciti regolari di diversi Stati, come ad esempio alla Legione straniera in Francia, o ai Gurkha nepalesi che operano nell’esercito britannico. Anche per le milizie che non siano formalmente incorporate in un esercito nazionale la situazione non è significativamente diversa: se i loro membri rispettano i requisiti previsti dal diritto internazionale umanitario, vanno considerati combattenti legittimi.
Inoltre, i foreign fighters non sono da confondere in alcun modo con i ragazzi ucraini che, residenti da noi con le famiglie, sono partiti per difendere la loro patria sotto attacco. Ecco dunque chi sono i foreign fighters: coloro che negli anni hanno partecipato ad un conflitto armato rispondendo al richiamo dell’ideologia o alla paga da mercenario.
Tuttavia, spesso si affibbia emotivamente la qualifica di mercenario ad uno straniero presente nei ranghi di una forza armata, invece la nozione giuridica di mercenario è fornita dall’art. 47 del Primo protocollo aggiuntivo. Questa norma stabilisce al par. 1 che un mercenario non ha diritto allo status di combattente o di prigioniero di guerra; tuttavia, per essere qualificati mercenari è necessario accertare che il soggetto rivesta contestualmente tutti i requisiti posti dal par. 2 dello stesso articolo, tra cui spicca la motivazione di combattere per desiderio di guadagno, essendo pagato con un compenso assai più alto dei pari grado dell’esercito al quale si affianca.
Un volontario straniero arruolatosi con le milizie russofone del Donbass nel 2014 (Foto Eliseo Bertolasi)
Nella maggior parte dei casi sono spirito d’avventura o l’adesione a cause e ideologie politiche la molla principale di chi si arruola per combattere all’estero, poiché talvolta la paga non supera i 400 dollari al mese. Parlare di mercenari può dunque essere improprio, almeno in alcuni casi e fino a prova contraria.
Riguardo alla partecipazione di foreign fighters a quest’ultimo conflitto, bisogna dire che già dal 2016 la legge ucraina prevede la possibilità che cittadini stranieri o apolidi vengano reclutati nelle forze armate o nella Guardia Nazionale. Le autorità del paese conducono una campagna di arruolamento per inserire volontari in una Legione internazionale per la difesa dell’Ucraina. Ciò avviene attraverso una fase di reclutamento formalizzata, che si conclude con l’inserimento dei combattenti nei reparti regolari, pertanto – secondo il diritto internazionale – la formale incorporazione di armati stranieri nell’esercito ufficiale di uno Stato fa sì che gli stessi divengano combattenti legittimi.
Anche in assenza di un’incorporazione formale, eventuali formazioni di combattenti composte in tutto o in parte da cittadini stranieri potrebbero rientrare fra le “milizie e i corpi di volontari” richiamati dalla III CG. Sarebbero pertanto comunque combattenti legittimi, sempre che rispettino i requisiti specifici previsti dalla disposizione.
Il Diritto italiano e la militanza per uno Stato estero.
Poiché l’appartenenza alle forze armate si fonda su disposizioni di legge nazionali, che disciplinano chi fa formalmente parte delle stesse, le norme di diritto internazionale umanitario precedentemente esposte trovano comprensibili limiti nelle norme interne di molti Stati, tra cui l’Italia. La ratio di tale cautela è costituita dal principio che in uno Stato sovrano ad ordinamento democratico soltanto i poteri dello Stato regolarmente costituiti (legislativo ed esecutivo) hanno diritto di decidere sull’uso della forza.
L’art. 18 della Costituzione prevede la libertà di associazione purché per fini non vietati dalla legge e senz’armi. Inoltre, le condotte, non opportunamente autorizzate, relative alla propensione all’uso delle armi, sono sintomatiche di esaltazione e pericolosità sociale.
Un volontario straniero arruolatosi nelle milizie russofone del Donbass nel 2014 (foto di Eliseo Bertolasi)
In merito alle notizie apparse su alcuni organi di informazione relative alla partecipazione di cittadini italiani al conflitto in Ucraina, la Farnesina ha ricordato, con una propria nota, che tali condotte possono essere penalmente rilevanti a prescindere dallo schieramento belligerante. Infatti, dopo una iniziale annuncio di arruolamenti sulle pagine internet di alcuni consolati ucraini, come quello di Milano, l’Italia è stata rimossa dalla lista degli Stati dove è possibile trovare i contatti per iniziare la procedura per diventare soldato di ventura.
Infatti, gli articoli 244 e 288 del Codice Penale prevedono la punizione, con pene variabili da quattro a diciotto anni (salvo i casi di incremento di pena) di chi fa arruolamenti o compie atti ostili verso uno Stato estero. La pena detentiva può arrivare all’ergastolo se dagli atti ostili ne consegue una ritorsione per l’Italia.
Il rischio, come ha fatto notare l’ISPI, Istituto per gli studi di politica internazionale è che a partire per l’Ucraina – come già accaduto per la Siria nel 2014-2015 – possano essere anche militanti estremisti, potenzialmente pericolosi per i loro stessi paesi di origine e per altri Stati comunitari in cui questi possono avere libera circolazione.
Volontario straniero con le forze ucraine (Foto Valentina Cominetti)
Poiché il delitto consiste nell’arruolare o nell’armare, e non nell’arruolarsi o nell’armarsi, gli arruolati o gli armati non sono punibili, se non per altri reati (diserzione, renitenza alla chiamata, elusione di misure di sorveglianza, mercenariato, etc).
Tuttavia, secondo la legge n. Legge 5 febbraio 1992, n.91, recante “Nuove norme sulla cittadinanza” è passibile di perdita della cittadinanza il cittadino italiano che, prestando servizio militare per uno Stato estero, non ottempera, nel termine fissato, all’intimazione che il Governo italiano può rivolgergli di abbandonare l’impiego, la carica o il servizio militare.
Infine, nel caso di arruolamento all’estero senza l’autorizzazione del Governo e per preminente scopo di lucro, la legge 12 maggio 1995, n. 210, di ratificata la Convenzione ONU contro il reclutamento di mercenari (New York il 4 dicembre 1989) punisce il mercenariato con pene detentive da quattro a quindici anni.
Foto: Valentina Cominetti e Eliseo Bertolasi