Mosca sotto attacco: l’eliminazione del generale Sarvarov e le ombre sui negoziati
L’attentato del 22 dicembre apre interrogativi sulla catena di comando delle operazioni clandestine ucraine
Alle 6:55 ora di Mosca, mentre nei salotti diplomatici di Miami si spegnevano gli echi dell’ennesimo round negoziale tra le delegazioni russa e americana, nel quartiere residenziale di Orekhovo-Borisovo Yuzhnoye una Kia Sorento bianca esplodeva in una palla di fuoco. A bordo il tenente generale Fanil Sarvarov, 56 anni, capo della Direzione per l’addestramento operativo dello Stato Maggiore russo. Il meccanismo, secondo quanto ricostruito dal Comitato Investigativo russo, era semplice quanto letale: una mina magnetica da 300 grammi equivalenti TNT fissata sotto il pianale, innescata dalla pressione del pedale del freno.
Sarvarov è morto in ospedale poco dopo per le gravi ferite riportate. Con lui sale a tre il numero di generali russi eliminati in attentati nell’ultimo anno, dopo Igor Kirillov (dicembre 2024) e Yaroslav Moskalik (aprile 2025). Ma è il tempismo di questa operazione a sollevare le domande più scomode.
Nato l’11 marzo 1969 a Gremyachinsk, nella regione degli Urali, Sarvarov rappresentava la tipica traiettoria dell’ufficialità post-sovietica. Formatosi all’Accademia corazzata di Kazan e successivamente all’Accademia dello Stato Maggiore, aveva accumulato oltre sei anni di esperienza sul campo tra il conflitto ossetino-inguscio e le due guerre cecene. Tra il 2015 e il 2016 aveva coordinato le operazioni russe in Siria, guadagnandosi nel maggio 2024 la promozione a tenente generale direttamente da Putin.
Dal 2016 dirigeva l’Ufficio Addestramento Operativo, una posizione che lo rendeva responsabile della preparazione dottrinale e dell’efficienza combattiva delle forze armate. Non un comandante sul campo, dunque, ma un architetto della macchina bellica russa. Il portale ucraino Mirotvorets lo aveva inserito nella lista dei presunti criminali di guerra già nel maggio 2022, pochi mesi dopo l’invasione su vasta scala.
La coincidenza che non può essere casuale
Ciò che rende questo attentato particolarmente significativo è la sua collocazione temporale. Nelle ore immediatamente precedenti, a Miami, l’inviato di Trump Steve Witkoff e il rappresentante russo Kirill Dmitriev concludevano un weekend di colloqui sul piano di pace in 20 punti. La versione ufficiale parlava di “discussioni produttive e costruttive”, ma dietro le formule diplomatiche si celava uno stallo sostanziale: Mosca rifiutava categoricamente un trilaterale con Kiev, mentre le modifiche proposte da ucraini ed europei al piano americano venivano bollate come “non migliorative”.
L’attentato a Sarvarov arriva dunque in un momento in cui la pressione dell’amministrazione Trump su Zelensky per accettare un accordo si fa sempre più intensa. Un accordo che molti in Ucraina – dai parlamentari dell’opposizione ai veterani delle brigate d’assalto – considerano una “capitolazione” e un “tradimento”. Bohdan Krotevych, ex comandante della Brigata Azov, ha definito la clausola sulla riduzione delle forze armate ucraine “equivalente alla resa”. E non è il solo.
L’apparato delle eliminazioni mirate: SBU, HUR e le zone grigie
Sin dall’inizio del conflitto, Kiev ha sviluppato una capacità di proiezione clandestina all’interno del territorio russo che non ha precedenti nella storia moderna dei servizi di intelligence europei. La Quinta Direzione del Servizio di Sicurezza (SBU) e l’intelligence militare (HUR) guidata da Kyrylo Budanov hanno condotto una serie di operazioni che ricordano, per modus operandi e spregiudicatezza, le eliminazioni mirate del Mossad israeliano. Lo stesso capo dell’SBU, Vasyl Malyuk, non ha fatto mistero di questa ispirazione: “Se mi chiedete del Mossad, famoso per eliminare i nemici dello Stato, noi lo stavamo facendo e continueremo a farlo”.
Il bilancio è impressionante: Daria Dugina (agosto 2022), il blogger militare Vladlen Tatarsky (aprile 2023), il generale Kirillov (dicembre 2024), il generale Moskalik (aprile 2025), il progettista di sistemi EW Yevgeny Rytikov (dicembre 2025). In tutti i casi, ordigni nascosti in auto, monopattini, statuette. In tutti i casi, esecutori materiali reclutati localmente o provenienti dall’Asia centrale. In tutti i casi, la firma inconfondibile di un’intelligence che può contare su reti profonde e conoscenza intima del tessuto sociale russo.
L’ipotesi delle frange fuori controllo
Ma qui si apre la questione più delicata. Queste operazioni rispondono sempre a una catena di comando univoca che fa capo a Zelensky? O esistono settori dell’apparato di sicurezza ucraino che agiscono secondo logiche proprie, magari in contrasto con gli orientamenti del vertice politico?
Gli indizi per questa seconda ipotesi non mancano. Già nel 2019, quando Zelensky tentò di avviare un disimpegno dalle linee di contatto in Donbass, fu costretto a confrontarsi fisicamente con i miliziani di Azov a Zolote. Andriy Biletsky, fondatore del movimento e oggi comandante della brigata d’assalto, lo definì pubblicamente “servo del popolo russo”. Nel giugno 2024, il capo di stato maggiore di Azov pubblicò su Telegram un messaggio che suonava come un ultimatum: “Non c’è pace senza vittoria. Nemmeno un soldato russo sul territorio ucraino. Non lasceremo questa guerra ai nostri discendenti, e nemmeno voi, perché se ci provate, sarà peggio. Per voi e per loro.”
Boris Johnson, in un’intervista recente, ha ammesso che “i nazionalisti ucraini non potevano accettare il compromesso” che avrebbe potuto chiudere il conflitto già nel 2022. Oleksandr Merezhko, presidente della commissione Esteri della Rada e membro del partito di Zelensky, ha riconosciuto che “ci sarà sempre un segmento radicale della società ucraina che chiamerà qualsiasi negoziato capitolazione”. E ha aggiunto: “L’estrema destra in Ucraina sta crescendo. È un pericolo per la democrazia.”
Il messaggio a Mosca – e a Washington
L’eliminazione di Sarvarov, chiunque l’abbia ordinata, invia un messaggio multiplo. A Mosca dice che nessun generale è al sicuro, nemmeno nel cuore della capitale, nemmeno in un quartiere dove – come ha notato il portale investigativo Agentstvo – risiedono diversi ufficiali del GRU. A Washington dice che l’Ucraina continuerà a combattere “con tutti i mezzi disponibili”, come ha osservato il tenente colonnello in pensione Alexander Vindman.
Ma c’è un terzo destinatario: lo stesso Zelensky. Se l’operazione fosse stata condotta da elementi che rispondono a logiche autonome, il messaggio sarebbe ancora più esplicito: qualsiasi accordo che preveda concessioni territoriali o la smobilitazione delle forze armate potrebbe incontrare resistenze non solo politiche, ma operative. Il precedente della deposizione di Ianukovych nel 2014, con il ruolo determinante giocato dai gruppi nazionalisti armati, non può essere ignorato.
Le domande senza risposta
Al momento della stesura di questo articolo, Kiev non ha rilasciato commenti ufficiali. Il portale Mirotvorets ha aggiornato la scheda di Sarvarov con la dicitura “liquidato”, ma questo gesto simbolico non equivale a una rivendicazione. Il Cremlino, attraverso Peskov, si è limitato a confermare che Putin è stato “immediatamente informato” dell’accaduto.
Restano aperte domande cruciali. L’operazione è stata coordinata con il vertice politico ucraino? Se sì, quale obiettivo strategico persegue nel contesto dei negoziati in corso? Se no, quali implicazioni comporta per la tenuta della catena di comando in un Paese in guerra? E ancora: come reagirà l’amministrazione Trump, che sta investendo notevole capitale politico nella ricerca di un accordo, di fronte a un’azione che oggettivamente complica il quadro diplomatico?
L’attentato a Sarvarov rappresenta molto più di un’operazione di intelligence riuscita. È un indicatore della complessità irriducibile del conflitto ucraino, dove le dinamiche militari sul campo si intrecciano con le tensioni interne a Kiev, le pressioni americane, le ambizioni russe e le fragilità europee. In questo scenario, la “pace” di cui parlano i negoziatori a Miami appare sempre più come un miraggio che si allontana ogni volta che qualcuno crede di averla raggiunta.
Una cosa è certa: la guerra ombra condotta dall’intelligence ucraina continuerà, con o senza accordi. Come ha dichiarato il generale in pensione Ihor Romanenko: “La punizione raggiungerà i criminali di guerra ovunque si trovino. Dovrebbero sentirsi male, e le loro famiglie dovrebbero vedere come i loro uomini sono tormentati dalla colpa fino all’esecuzione della sentenza”. Una promessa che suona più come una condanna a morte collettiva che come una dichiarazione di policy. E che lascia poco spazio all’ottimismo dei mediatori.
Fonti
TASS, RBK, Kommersant (fonti russe); Kyiv Independent, Ukrainska Pravda (fonti ucraine); The Moscow Times, Al Jazeera, CNN, Washington Post (fonti internazionali); CEPA, National Interest, ACLED (analisi); Springer Academic – “The Far-Right Involvement in the Russia-Ukraine War”.
L’articolo Mosca sotto attacco: l’eliminazione del generale Sarvarov e le ombre sui negoziati proviene da Difesa Online.
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