Motori militari: non sono più quelli di una volta (e non sempre è un bene)
Per anni si è sostenuto che molti veicoli militari montassero gli stessi motori dei camion o dei furgoni civili. È un’affermazione valida solo in parte, perché storicamente accadeva davvero, ma con il tempo questa uguaglianza si è progressivamente ridotta fino a diventare, in parte, un mito. Guardare agli ultimi quarant’anni aiuta a capire perché.
Oggi, nell’epoca dei sensori digitali e delle piattaforme autonome, la relazione tra mondo civile e militare è cambiata profondamente. Inoltre, si è perso il piacere della guida.
Quando il motore era davvero lo stesso
Negli anni Settanta, Ottanta e fino ai primi Novanta la condivisione era molto elevata.
La famiglia di motori FIAT-Iveco 8040 e 8060, usata su autocarri civili leggeri e medi, equipaggiava anche mezzi militari come l’ACM80/90. Le differenze erano minime, come i filtri carburante più performanti, cablaggi protetti, sistemi di preriscaldo e soluzioni per l’avviamento a basse temperature. La logica, ovviamente, voleva che un motore robusto, facilmente riparabile e già presente sul mercato civile era ideale anche in ambito militare. Questa parentela oggi esiste ancora, ma la crescente complessità elettronica impone componenti dedicati nelle versioni destinate all’impiego operativo.
Tattici medi: simili, ma progettati per durare
In questa fascia la distanza tra civile e militare aumenta. Un caso noto è il Sofim 2.5 e 2.8, impiegato su Daily e Ducato e adottato anche sui veicoli tattici leggeri come il VM90. La base era comune, ma la versione militare presentava rinforzi strutturali essendo più poliedrici e, nel caso del VM, camaleontico. Quindi, un albero motore con sezioni maggiorate, bielle più robuste – necessarie per resistere agli strappi delle marce ridotte e carichi superiori –, turbina meno spinta per garantire durata e filtri sovradimensionati per polveri e carburanti non perfetti.
Oggi costruttori come RMMV, IDV e Oshkosh dichiarano apertamente la filosofia “dual-use”, ovvero che utilizzare una base civile o industriale assicura disponibilità di ricambi e costi sostenibili. Le versioni militari vengono però irrobustite nei componenti critici – albero motore, bielle, raffreddamento – come riportato nelle documentazioni tecniche delle varianti heavy-duty e industrial. Il concetto segue un principio semplice, quello che il cuore meccanico deve essere estremamente robusto, mentre sottogruppi e accessori devono rimanere facilmente intercambiabili. Una pompa acqua più performante -diametro rotore, calettatura palette ecc.-, ad esempio, migliora lo smaltimento del calore e aumenta la durata anche se richiede una maggiore potenza assorbita.
Quando il motore migrava davvero sulle auto
Tra gli anni Ottanta e Novanta il confine tra auto e veicoli commerciali era molto sottile. Il 1.9 Diesel FIAT delle Tipo e Tempra arrivò quasi identico su Fiorino e Doblò. Il 1.9 TurboDiesel della Croma fu impiegato su vari furgoni medi. Era possibile perché i motori automobilistici avevano ampissimi margini meccanici. Con gli anni Duemila la filosofia cambia e le auto cercano leggerezza e prestazioni, mentre i commerciali e i veicoli tattici necessitano di continuità di funzionamento. Per questo le versioni destinate agli impieghi gravosi adottano alberi motore più robusti, bielle maggiorate e turbine più conservative.
La semplicità diventa un vantaggio
Le tecnologie digitali – sensori, centraline, ADAS e sistemi drive-by-wire – funzionano bene nel mondo civile perché rendono l’auto più efficiente e confortevole. Ma questa evoluzione, nata da esigenze di mercato e di regolazione, non sempre è un vantaggio in guerra. Nei teatri operativi, infatti, l’elettronica è più vulnerabile a disturbi, cyber attacchi, interferenze elettromagnetiche, umidità, fango e forti sbalzi termici. Inoltre è più difficile da riparare senza strumenti dedicati.
Le analisi pubbliche NATO e le fonti OSINT sul conflitto ucraino mostrano chiaramente che i mezzi molto “digitali” sono più facili da mandare in errore. Per questo molti costruttori scelgono un approccio operativamente più conveniente: “digitalizzare solo dove serve e semplificare il resto”, come dichiarato da IDV per gli LMV2 e i MUV. Una lezione che sembra ovvia, ma che i conflitti recenti hanno riportato al centro.
Anche la guida autonoma militare segue questo principio. Esistono programmi come il sistema americano Leader-Follower sugli Oshkosh FMTV, dove le funzioni autonome sono aggiunte come moduli, mentre la meccanica di base – e il conducente umano – restano invariati. In questo modo il mezzo può comunque operare anche senza rete o in condizioni critiche.
Le guerre degli ultimi anni, dall’Ucraina al Medio Oriente, confermano che i veicoli che resistono più a lungo sono quelli con una base industriale solida e meccanicamente semplice. Al contrario, i mezzi troppo sofisticati soffrono più facilmente le incognite del campo di battaglia. Oggi nel settore militare convivono tre filosofie motoristiche, i motori civili standard, usati su mezzi logistici e dual-use; quelli civili rinforzati, montati su piattaforme tattiche leggere e medie; e i motori progettati specificamente per uso militare, destinati a carri, obici e mezzi anfibi. Ogni scelta dipende da costi, durata, facilità di riparazione e capacità di sopravvivere agli stress operativi. E il prezzo finale cambia molto.
Dal campo di battaglia alle prove speciali
Per capire quanto contino davvero semplicità e tecnologia, possiamo uscire per un momento dal mondo militare e guardare a un settore altrettanto esigente: il rally. Qui ogni componente lavora sempre al limite, e tutto ciò che non è indispensabile rischia di diventare un punto debole. Un esempio arriva dall’italiana Lancia, che con la sua Ypsilon Rally4 HF dimostra come prestazioni elevate e massima affidabilità possano convivere con tecnica essenziale. La versione civile della Ypsilon offre cambi manuali e, sempre più spesso, moderni automatici a doppia frizione; soluzioni piacevoli, fluide e tecnologicamente avanzate. Eppure, una volta entrati nel mondo delle competizioni, questa strada cambia.

La Ypsilon Rally4 HF adotta infatti un cambio meccanico sequenziale a 5 marce, abbinato a un differenziale autobloccante meccanico e a una meccanica irrobustita per l’uso agonistico. Il tutto spinto da un 1.2 litri turbo 3 cilindri da 212 CV e 290 Nm, in un allestimento conforme all’omologazione FIA Group Rally4. La scelta non è casuale perchè in gara prevale ciò che si rompe meno e, il sequenziale meccanico, assicura cambi marcia fulminei, precisi e soprattutto molto più resistenti alle sollecitazioni rispetto, probabilmente, a un doppia frizione ricco di attuatori ed elettronica.
Motore come terra di confine
Il confine tra motore civile e militare non è quindi netto ma fatto di evoluzioni, adattamenti e scelte ingegneristiche. Il veicolo civile ricerca efficienza e comfort, quello militare continuità, riparabilità e resistenza. In un’epoca in cui digitale e guida autonoma avanzano, l’obiettivo è mantenere la semplicitità meccanica del passato integrandola con la precisione del presente. Il cuore di ogni veicolo – civile o militare – nasce sempre dallo stesso equilibrio che vede un compromesso tra necessità reali e possibilità tecniche.
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Per anni si è sostenuto che molti veicoli militari montassero gli stessi motori dei camion o dei furgoni civili. È un’affermazione valida solo in parte, perché storicamente accadeva davvero, ma con il tempo questa uguaglianza si è progressivamente ridotta fino…
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