Nella crisi ucraina Italia e Ue puntano sul rilancio degli accordi di Minsk e Helsinki
Le ultime notizie che si susseguono sulla crisi dell’Ucraina confermano ancora il grave stato di tensione che si vive in particolare nella regione separatista filorussa del Donbass. I collegamenti televisivi riportano in diretta l’eco di continue esplosioni di ordigni, per i quali i separatisti e le forze governative ucraine si incolpano a vicenda. Nella giornata di ieri le agenzie hanno parlato di colpi di mortaio che a Staniysja Luganska hanno colpito un asilo, dove è stata sfiorata la tragedia solo perché i fanciulli erano impegnati in attività esterne.
Si è parlato anche di esplosioni prossime alla sede governativa dell’autoproclamata Repubblica di Donetsk, in cui sarebbe stata colpita l’auto del capo delle milizie Denis Sinenkov. Anche i separatisti filorussi dell’autoproclamata repubblica di Lugansk hanno accusato le forze governative di averli attaccati. Il ministero della Difesa ucraino, dal canto suo, ha denunciato 60 violazioni del cessate il fuoco da parte dei separatisti filorussi avvenute nelle ultime 24 ore.
La Russia insiste sul ritiro in corso delle forze mobilitate, ma il presidente russo Vladimir Putin denuncia ora un “deterioramento” della situazione in Donbass. Alcune agenzie hanno parlato anche di flussi di pullman carichi di donne, bambini e anziani diretti verso la vicina regione russa di Rostov, dove la Russia ha allestito un centro di coordinamento per gestire l’afflusso di profughi, prevedendo per ciascun rifugiato un sostegno iniziale di 10mila rubli, circa 114 euro.
Lo scenario che viene rappresentato, in sostanza, sembra proprio destinato a prefigurare ogni possibile pretesto per un intervento militare diretto nella regione, da una qualunque delle parti avverse.
La Russia non rinuncia ad un’altra minaccia strategica: il Ministero della Difesa russo ha annunciato un’esercitazione delle “forze di deterrenza strategica”, denominata Grom (Tuono), che in genere si svolge a fine estate, in coincidenza con l’ultimo giorno delle esercitazioni Allied Resolve in atto in Bielorussia. Lo stesso Ministero russo ha precisato il coinvolgimento di “forze ed equipaggiamenti appartenenti alle Forze Aerospaziali, al Distretto Militare Meridionale, alle Forze Missilistiche Strategiche, alla Flotta del Nord e alla Flotta del Mar Nero”.
I vertici internazionali si susseguono, come è il caso della annuale Conferenza sulla sicurezza di Monaco, che si è appena aperta la prima volta senza nessun rappresentante della Russia: la portavoce del Ministero degli esteri russo, Zakharova, ha dichiarato che la Conferenza “ha perso la sua inclusività e obiettività”. Sono ora annunciate le ultime consultazioni del Presidente Biden con i vari leader nazionali della Nato, ed è atteso anche un discorso alla Nazione.
In questo scenario complesso ed altamente incerto nella sua evoluzione, si è inserita ora un’opportunità per l’Italia. Sempre che la situazione non precipiti, pare confermato un prossimo incontro del premier italiano Mario Draghi con Putin.
Il viaggio potrebbe realizzarsi a breve e lo stesso Presidente del Consiglio, a margine del Consiglio Europeo informale a Bruxelles, ha dato alcune indicazioni importanti. Ha precisato che l’incontro “è stato richiesto da Putin”, ma anche che il presidente ucraino Zelenskyha ha chiesto all’Italia di promuovere una mediazione per favorire un tavolo di discussione diretta tra lo stesso premier ucraino e Putin.
Sul viaggio di Draghi a Mosca c’è dunque molta attesa, probabilmente anche da parte russa, per ciò che in questo momento può rappresentare il ruolo dell’Italia per un elemento che forse non è stato ancora bene sottolineato.
Dopo gli incontri con Putin del premier francese Macron e del cancelliere tedesco Scholz, quello di Draghi completa il circolo della rappresentazione della attuale leadership dell’Unione Europea, che, a parte le continue narrazioni degli euroscettici, è un soggetto politico di cui ad ogni modo le grandi potenze come Stati Uniti e Russia devono tenere conto.
Il premier Draghi, sulla scia di quanto hanno già avuto modo di rappresentare Macron e Scholz, potrà dunque insistere con il premier russo sulla necessità di dare un segnale concreto di distensione e di muoversi ripartendo dagli Accordi di Minsk del 2014. Gli argomenti non mancano per sostenere la necessità di mediare le rispettive posizioni, facendo leva anche sulle più recenti aperture dimostrate dalla Nato, che non reclama affatto l’annessione dell’Ucraina, e dal premier Zelenskyha, che potrebbe riconoscere forme di rappresentanza e autonomia alle regioni di etnia russa di Donestk e Lugansk.
Ed i termini del discorso sulle “garanzie di sicurezza” avanzate dalla Russia potrebbero anche essere rinegoziati sotto un profilo più generale enunciato negli ultimi incontri dallo stesso Putin: la cosiddetta “architettura della sicurezza europea”, un concetto che coinvolge direttamente l’Unione Europea e può significare molte cose.
Riparlare della “architettura della sicurezza europea” può innanzitutto ricondursi agli Accordi di Helsinki del 1972, allorquando con la Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) si lanciò il dialogo tra Est e Ovest. Il processo non si fermò e portò poi all’idea di stabilire un sistema permanente di “misure di fiducia e sicurezza” nella Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), l’organizzazione regionale che riunisce 57 Paesi con l’obiettivo di rafforzare il foro negoziale sulla distensione e sulla pace “da Vancouver a Vladivostok”.
Ed a proposito dell’Atto Finale di Helsinki, è forse opportuno richiamare almeno alcuni titoli che ne tratteggiano i principi: “Eguaglianza sovrana, rispetto dei diritti inerenti alla sovranità; Non ricorso alla minaccia o all’uso della forza; Inviolabilità delle frontiere; Integrità territoriale degli Stati; Risoluzione pacifica delle controversie”.
Da qui riportare la sicurezza in Europa potrà significare anche riparlare del trattato New Start che prevede la riduzione delle armi nucleari strategiche, da cui gli Stati Uniti di Trump si sono ritirati, come anche dei Trattati CFE (Conventional Arned Forces in Europe), e CMBs (Confidence Building Measurs), su cui anche la Russia deve fare chiarezza. Se poi si volesse misurare la reale disponibilità dell’interlocutore russo a promuovere la distensione, la sfida potrebbe essere anche lanciata su nuovi strumenti convenzionali sulla cyberwar e sulle “guerre ibride”, che proprio nella crisi in Ucraina sembrano avere assunto una preoccupante evoluzione.
Con un fronte così aperto di confronto, il dibattito sullo scontro Nato-Russia sarebbe bypassato da un quadro istituzionale e normativo forse anche più impegnativo, come quello dell’OSCE e dei trattati sulle “misure di fiducia e sicurezza”, ma che potrebbe comunque risultare più percorribile nel dialogo diplomatico.
Sul punto vale menzionare come il cancelliere Scholz ha riassunto la posizione espressa nel recente incontro avuto a Mosca: «Ho chiarito al presidente Putin che per noi, in Germania e in Europa, la sicurezza non può essere raggiunta contro la Russia, ma solo con la Russia». Ed ha aggiunto: «A tutti noi è richiesta un’azione coraggiosa. È nostro dovere lottare per la pace».
Quanto a Draghi, anche il percorso appena concluso nel corso del G20 a guida italiana potrà consentirgli di confermare la piena adesione agli ideali e ai legami euroatlantici da un lato, ma dall’altro pure di rilanciare ancora una volta l’idea che il miglior futuro per la comunità internazionale non è quello di uno bipolarismo che porta ad un inevitabile scontro fra blocchi, ma quello di un multilateralismo inclusivo, che abbia sempre a mente i veri bisogni delle popolazioni, tra cui certamente non c’è quello di vivere in un clima di tensione e di guerra permanente.
Foto: Ministero della Difesa Russo e Alamy