Nepal in rivolta: la caduta di Oli tra corruzione, comunisti e influenze di Cina e India
Dopo Bangladesh e Sri Lanka è la volta del Nepal, terzo paese della regione a defenestrare il proprio governo. Il sistema politico nepalese, formalizzato con la Costituzione del 2015, è il risultato finale di un turbolento processo di transizione partito dall’abolizione della monarchia nel 2008 dopo una decennale guerra civile con in sottofondo insurrezioni di stampo maoiste.
Il sistema è multipartitico, la competizione accesa, il trasformismo anche, viste le alleanze instabili e le coalizioni cangianti; tutti elementi che portano a considerare il sistema come ancora in via di consolidamento anche perché affetto da corruzione e sottosviluppo endemico, e caratterizzato da continue oscillazioni autocratiche.
Un paese caratterizzato dalla strage “inspiegabile” del 2001, che vide l’assassinio di 19 appartenenti alla famiglia reale, re Birendra compreso, e del principe ereditario Dipendra, accusato della stessa. Un crimine su cui ancora gravano molti dubbi1. Sta di fatto che da quella mattanza si generò la crisi della monarchia quando al trono salì (casualmente, ndd) Gyanendra che, avido ed impopolare fratello del re, regnò fino al 2008 (anno dell’abolizione della monarchia e della proclamazione della repubblica).
Quel che sta accadendo in questi giorni si rifà alla rivolta nazionale del 2006 (foto), la Loktantra Andolan, ma soprattutto ad un’iniziale interpretazione che, semplicisticamente, richiamava a proteste riconducibili alla cosiddetta Generazione Z. Il Nepal è un paese di circa 30 milioni di abitanti, con oltre 100 gruppi etnici: la stabilità è sempre stata una chimera e la fine della monarchia non ha risolto i problemi.
Dopo le Onde Verdi iraniane del 2009, si sono rivisti analoghi impeti che hanno condotto alla dimissioni forzate del primo ministro KP Sharma Oli ed alla distruzione fisica dell’edificio del Parlamento; decisamente troppo per protestare contro il temporaneo blocco di social poi quasi immediatamente rimessi on line, decisamente troppo per costringere l’esercito a presidiare la capitale Katmandu.
La corruzione sembra sia stata alla base delle proteste, ma certo anche il trovarsi quale debole vaso di coccio tra i due vasi di ferro di Cina e India non ha agevolato alcuna dinamica atta a lenire il contesto. Le sfere di influenza contano ancora, eccome.
Gli equilibri sono labili: Sharma Oli, leader del Partito comunista del Nepal (marxista-leninista unificato), influenzato da Pechino, nel 2027 avrebbe dovuto passare la mano all’alleato riformista – moderato Partito del Congresso nepalese. Un’alleanza ormai non più considerabile.
I partiti comunisti in Nepal sono storicamente rilevanti ed il ruolo rivestito è sempre stato determinante, trattandosi di una forza politica centrale ma divisa. Il Partito comunista del Nepal di credo maoista è stato la forza motrice della guerra civile combattuta tra il 1996 ed il 2006 che puntava al rovesciamento della monarchia, obiettivo sostenuto anche dal partito di ispirazione marxista-leninista.
Attualmente i partiti comunisti controllano la scena politica nepalese, benché le loro due anime siano tra loro spesso in competizione. Se è vero che la loro forza congiunta ha caratterizzato la politica d’alta quota nepalese, è altrettanto vero che l’assalto alle loro sedi fa sì che non si possa più parlare di una banale insurrezione.
I comunisti guardano a relazioni più vincolanti con Pechino, che scorge in Katmandu una rilevante via d’accesso per la BRI e uno strumento idoneo a contrastare l’influenza di New Delhi. I partiti comunisti nepalesi sono, o sono stati, il cuore politico pulsante del paese; un cuore tuttavia sempre più distante dalla società, che ha percepito la classe politica come corrotta e avulsa dalla realtà, di fatto un ceto a sé stante caratterizzato, per lo strisciante nepotismo dai nepokids, giovani che godono di stili di vita agiati e di innegabili vantaggi, in un contesto in cui il lavoro è divenuto privilegio.
L’assalto alla sede del partito comunista ha di fatto rappresentato l’attacco diretto ad un sistema insofferente del dissenso. Ecco che per il Nepal inizia dunque un periodo di incertezza, malgrado la crescita economica che nel 2024 ha visto il PIL aumentato del 3,9%.
Se da un lato Oli ha dichiarato che il Nepal avrebbe mantenuto relazioni amichevoli sia con India che con Cina, dall’altro c’è stato chi ha criticato l’ormai ex primo ministro come troppo affine a Pechino, mai così votata agli investimenti infrastrutturali legati alla BRI.
Nel frattempo, la rabbia non è scemata e le dimissioni di Oli hanno sortito scarso effetto, a fronte delle dichiarazioni dei militari che hanno ribadito di essere pronti a sedare la rivolta.
Mentre secondo la Banca mondiale la disoccupazione giovanile nel 2024 si attestava al 20%, in Nepal, mentre l’esercito pattuglia le strade, vige il coprifuoco e i voli sono bloccati, il vuoto di potere prende il sopravvento.
1 Fonti al tempo della strage vicine al Palazzo Reale informarono che, dopo aver assassinato i familiari, il principe si “sarebbe suicidato” con una raffica alla schiena…– ndd
Foto: Difesa Online
L’articolo Nepal in rivolta: la caduta di Oli tra corruzione, comunisti e influenze di Cina e India proviene da Difesa Online.
Dopo Bangladesh e Sri Lanka è la volta del Nepal, terzo paese della regione a defenestrare il proprio governo. Il sistema politico nepalese, formalizzato con la Costituzione del 2015, è il risultato finale di un turbolento processo di transizione partito…
L’articolo Nepal in rivolta: la caduta di Oli tra corruzione, comunisti e influenze di Cina e India proviene da Difesa Online.
Per approfondimenti consulta la fonte
Go to Source