Occorrono risposte nazionali contro l’immigrazione illegale: UE e ONU sono parte del problema
Dopo dieci anni di “emergenza clandestini” l’Italia sembra puntare ancora a chiedere aiuto all’Unione Europea invece di adottare politiche nazionali determinate a difendere i confini e a chiuderli all’immigrazione illegale necessarie anche a risolvere le contraddizioni di Roma si questo tema spinoso.
Aiutiamo da anni le guardie costiere di Libia e Tunisia con denaro, motovedette e addestramento affinché riportino indietro i clandestini diretti in Italia ma poi accogliamo chiunque raggiunga Lampedusa, le nostre acque territoriali o venga portati nella penisola da navi delle ONG.
E’ poi chiaro a tutti che è Inutile contare sull’Europa poiché alle invocazioni di Roma per una ridistribuzione di chi sbarca illegalmente nella Penisola la risposta è stata un NO chiaro e inequivocabile.
L’Italia ha infatti incassato la disponibilità a ridistribuire in Europa in tutto ben 22 clandestini (10 in Lituania, 2 in Lussemburgo e 10 in Irlanda) sui quasi 18 mila sbarcati dall’Africa dall’inizio dell’anno al 15 giugno (il triplo dello stesso periodo del 2020 e ben 8 volte i numeri registrati nel 2019), mentre Germania e Francia in un vertice bilaterale hanno messo sul tavolo la disponibilità ad accogliere alcuni migranti sbarcati illegalmente in Italia ma scelti solo tra coloro che hanno diritto all’asilo, cioè in pratica nessuno o quasi rispetto alle regole europee dal momento che quanti giungono in Italia da Libia, Tunisia e Algeria non fuggono da guerre, carestie o persecuzioni.
Migranti economici (e tra essi un bel po’ di farabutti e avanzi di galera a giudicare dalle violenze contro le forze dell’ordine che si registrano nei centri d’accoglienza e quarantena) che giustamente nessuno vuole avere in casa propria. Berlino e Parigi hanno però condizionato anche questa piccola apertura al via libera di Roma ad accogliere tutti i clandestini sbarcati negli anni scorsi in Italia e che sono poi riusciti a raggiungere i paesi del Nord Europa: a occhio e croce potrebbero essere circa 200 mila persone.
La Francia del resto ha già i suoi problemi: oltre alle banlieues islamizzate e fuori dal controllo dello Stato a causa del “separatismo islamico”, in questi giorni le autorità hanno dovuto sgombrare per l’ennesima volta il campo illegale dei migranti di Calais, punto di partenza per afro-asiatici che cercano di raggiungere illegalmente la Gran Bretagna.
Nonostante per le centinaia di migranti fosse previsto il trasferimento in centri d’accoglienza ben più confortevoli del campo abusivo di Calais, gli stranieri hanno aggredito gli agenti di polizia ferendone 31. Difficile trovare una sola ragione per cui Parigi debba accogliere qualche migliaio di altri “bravi ragazzi” sbarcati in Italia.
In Germania il Bundestag si è espresso in modo molto chiaro e definitivo: i partiti della maggioranza di governo (Unione cristiano-democratica, Unione cristiano-sociale e Partito socialdemocratico) hanno respinto la redistribuzione in Germania dei migranti che giungono in Italia. All’opposizione, Verdi e Partito liberaldemocratico si sono espressi per un meccanismo di distribuzione almeno temporaneo.
Thorsten Frei, deputato della Cdu ha ammesso che l’aumento dei migranti che raggiungono l’Italia è “significativo rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, ma certamente nulla” a cui il Paese non possa far fronte “da solo”, ha affermato sostenuto dal deputato socialdemocratico Lars Castellucci, per il quale “al momento, non c’è bisogno di sostenere”’ Italia.
La richiesta formulata da Roma e dal Commissario europeo agli Affari Interni, Ylva Johansson, è stata quindi bocciata su tutta la linea togliendo così ogni alibi a quanti nel governo italiano continuano, come il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, a cercare una “soluzione europea” la cui latitanza di fatto continua a incoraggiare gli sbarchi solo nella Penisola.
E’ tempo quindi che il governo italiano prenda atto della situazione e si assuma la responsabilità di difendere i confini nazionali con espulsioni rapide di chi è arrivato, stop all’accesso ai nostri porti alle navi delle Ong, incremento degli aiuti al governo e alla Guardia Costiera di Tripoli e respingimenti immediati già in mare di chi arriva pagando trafficanti. Salvaguardando certo le vite in mare ma riportando tutti sulle coste africane e lasciando all’ONU e alle sue agenzie il compito di rimpatriare i clandestini.
Non si tratta solo dei confini marittimi: la scorsa settimana il ministro Lamorgese ha annunciato la ripresa entro un mese dei pattugliamenti congiunti tra le polizie italiana e slovena del confine orientale sospesi un anno or sono a causa del Covid. Verranno impiegati anche droni e visori notturni ma non è stato chiarito se ricominceremo ad espellere immediatamente in Slovenia i clandestini intercettati dalle pattuglie o se continueremo ad accoglierli tutti.
Inoltre appare ormai chiaro che considerare ONU e UE organismi che possano esserci d’aiuto nel contrasto all’immigrazione illegale è un grave errore oltre che un’illusione: non solo perché ogni ridistribuzione dei clandestini finirebbe per incentivare nuovi sbarchi ma anche perché tali organismi costituiscono una parte rilevante del problema e non possono quindi rappresentarne la soluzione.
Onu e Ue contro gli stati che difendono i confini
Le Nazioni Unite, che col Global Compact for Migration hanno riconosciuto il diritto di chiunque a emigrare dove vuole, sono palesemente ostili agli stati nazionali occidentali ed europei che intendono fermare i flussi illegali e conducono una campagna immigrazionista e terzomondista spregiudicata e instancabile basata soprattutto sul definire rifugiati anche i migranti economici o chi “fugge dai cambiamenti climatici”.
Basti osservare come UNHCR e OIM condannino con forza ogni iniziativa nazionale di contenimento dell’immigrazione illegale e salvaguardia dei confini e degli interessi degli stati. Un cointesto ben rappresentato da alcuni recenti esempi.
Come quello della Danimarca, il cui governo di centro-sinistra ha sottoscritto un memorandum d’intesa con il Ruanda che prefigura la possibilità che domande di asilo per la Danimarca possano essere presentate solo a Kigali, di fatto negando ai clandestini l’accesso al territorio danese.
Un accordo simile lo aveva sottoscritto l’Australia con Nauru e la Papua Nuova Guinea.
L’Alto commissario dell’Onu per i rifugiati (UNHCR) ha espresso una dura condanna al governo danese, reo di decidere se accogliere o meno stranieri, la cui nuova legge sarebbe “contraria ai principi della cooperazione internazionale in materia di rifugiati”.
L’agenzia dell’ONU non nasconde poi il timore che altre nazioni europee seguano l’esempio danese. “La Danimarca rischia di avviare un effetto domino in cui altri Paesi in Europa e nelle regioni vicine esploreranno la possibilità di limitare la protezione dei rifugiati sul proprio suolo”.
Effetto domino sarebbe invece quanto mai auspicabile considerato che da molti anni coloro che entrano illegalmente nel Vecchio Continente sono per la quasi totalità migranti economici così come chi fugge da guerre o persecuzioni non ha bisogno di rivolgersi ai trafficanti per chiedere asilo e soprattutto non è detto che debba trovarlo esclusivamente in Europa o in Occidente.
Anche l’Italia potrebbe stipulare con uno stato africano accordi simili a quelli tra Danimarca e Ruanda, oppure semplicemente stabilire che chiunque voglia chiedere asilo a Roma potrà farlo esclusivamente rivolgendosi alle sedi diplomatiche nazionali e della Ue nei continenti africano e asiatico.
E a proposito di Ue, vale la pena sottolineare che la Commissione Europea, invece di difendere l’iniziativa danese e la sovranità degli stati membri, si è schierata decisamente col fronte immigrazionista. Un portavoce ha dichiarato che “condividiamo le preoccupazioni dell’UNHCR sulla compatibilità della legge danese con gli obblighi internazionali della Danimarca e condividiamo le preoccupazioni sul rischio di minare le basi del sistema di protezione internazionale per i rifugiati”.
Inutile e pericoloso quindi contare su ONU e UE per fermare i flussi di immigrati clandestini che di fatto tali organismi sovranazionali incoraggiano e favoriscono in ogni modo.
La Grecia chiude i confini
Emblematico anche il caso greco. Atene, che da tempo attua respingimenti in mare e in terra di clandestini in arrivo dalla Turchia, ha designato il 7 giugno la Turchia come Paese sicuro in cui cercare protezione internazionale per i richiedenti asilo provenienti da Siria, Afghanistan, Pakistan, Bangladesh e Somalia (tutti paesi islamici come la Turchia).
Lo riporta un decreto congiunto dei ministeri degli Esteri e della Migrazione greco. In quest’ultimo si legge che la Turchia soddisfa tutti i criteri per esaminare le richieste di asilo di questi cittadini, poiché “non corrono alcun pericolo per la loro razza, religione, cittadinanza, convinzioni politiche o appartenenza a un particolare gruppo sociale e possono chiedere asilo in Turchia invece che in Grecia”.
Questo significa che i migranti illegali di quelle cinque nazionalità non potranno più presentare domanda di asilo in Grecia, se arrivano attraversando la Turchia.
Un’iniziativa tesa ovviamente a ridurre i flussi migratori verso la Grecia, Paese membro dell’Unione Europea, in quanto consentirebbe di rinviare i richiedenti asilo dai paesi elencati in Turchia, che del resto ospita da alcuni anni almeno due milioni di rifugiati siriani.
Ankara non sembra intenzionata a riprendere i migranti che hanno raggiunto la Grecia partendo dal suo territorio, nonostante un accordo raggiunto dalla Turchia e dalla Ue del 2016, che avrebbe dovuto arginare l’immigrazione illegale nel blocco di 27 nazioni. Funzionari greci hanno affermato che Atene finora quest’anno ha chiesto alla Turchia di riprendere 1.453 persone, senza successo.
Il ministro della Migrazione Notis Mitarachi ha definito la decisione “un passo importante nella lotta ai flussi migratori illegali” che, ha detto, “costringerà” la Turchia a reprimere l’immigrazione illegale e le reti di trafficanti. Mitarachi ha aggiunto che la decisione “è pienamente in linea con il diritto internazionale e rafforza l’arsenale legale della Grecia contro le richieste (di asilo) dei cittadini di Siria, Afghanistan, Pakistan, Bangladesh e Somalia, che oggettivamente non hanno motivo di non considerare la Turchia un paese sicuro”.
L’iniziativa greca è stata subito condannata dalle agenzie dell’ONU e da ben 38 Ong che hanno definito “inaccettabile” considerare la Turchia un Paese terzo sicuro e del resto è ormai evidente a tutti che le Ong come le organizzazioni dedite al business dell’accoglienza migranti hanno costituito un asse con le agenzie dell’ONU e diversi ambienti della Ue il cui obiettivo è rendere i paesi del Sud Europa la meta di tutti i clandestini spacciati per rifugiati.
Un’immigrazione selvaggia quanto illegale che colpisce gli interessi nazionali e che solo i singoli stati possono fermare con adeguate politiche di asilo e di difesa dei confini.
La Grecia ha già fatto chiaramente le sue scelte, inclusa quella di limitare il ruolo delle Ong sul suo territorio e in alcuni casi di portarle in tribunale per favoreggiamento dell’immigrazione illegale.
Anche la Spagna tira dritto sui rimpatri in Algeria dei clandestini giunti da quel paese nordafricano e sui respingimenti di quanti cercano di entrare nelle énclaves spagnole sulla costa africana di Ceuta e Melilla.
L’ultimo caso risale al 15 giugno quando circa 150 persone hanno tentato di entrare illegalmente in territorio spagnolo a Melilla scavalcando le barriere e recinzioni è stato sventato dalle forze dell’ordine dopo scontri che hanno visto il lieve ferimento di 9 agenti della Guardia Civil.
Solo l’Italia accoglie tutti
Di fatto quindi è rimasta solo l’Italia ad accogliere chiunque cerchi di entrare in Europa clandestinamente. Non devono quindi stupire i massicci flussi in arrivo con oltre 2mila sbarchi tra sabato e lunedì provenienti da Libia e Tunisia verso Lampedusa ma anche dall’Algeria verso la Sardegna e dalla Turchia verso le coste ioniche della Calabria.
Dall’inizio dell’anno sono sbarcati in Italia quasi 19mila clandestini, il triplo dello stesso periodo del 2020 e quasi nove volte di più di quanti erano sbarcati tra il 1° gennaio e il 17 giugno 2019. Il dato più allarmante però è che sono raddoppiati negli ultimi 50 giorni (a inizio maggio erano sbarcati in poco più di 9mila), dato che sembra indicare una rapida intensificazione dei flussi in estate.
Flussi delle dimensioni dei giorni scorsi sono destinati probabilmente a ripetersi quasi quotidianamente nei prossimi mesi nonostante il buon lavoro della Guardia Costiera di Tripoli che ha fermato e riportato in Libia oltre 1.300 clandestini tra il 13 e il 15 giugno.
In termini politici sbarchi in aumento rapido e nessun concreto supporto dall’Europa rappresentano il completo fallimento della strategia del ministro Lamorgese che ha persino firmato in questi giorni un protocollo per corridoi umanitari per portare in Italia dalla Libia 500 migranti con un accordo che coinvolge organizzazioni dichiaratamente immigrazioniste quali la Comunità di Sant’Egidio, la Chiesa Valdese e l’immancabile UNHCR.
I corridoi umanitari sono accettabili in misura limitata ma solo in un contesto in cui si respinge l’immigrazione illegale, non certo in una fase in cui Roma somma i flussi autorizzati per ragioni umanitarie a quelli gestititi impunemente dai trafficanti.
Anche per queste ragioni, pur in un governo così composito e con sensibilità diverse su questo tema, è tempo che il dossier migranti illegali venga preso in carico dalla Presidenza del Consiglio, non solo perché il tema migratorio diventerà sempre più rilevante per la cedibilità di Mario Draghi e del suo esecutivo ma anche per chiarire una volta per tutte la posizione dell’Italia rispetto all’immigrazione illegale.
Roma vuole fermarla o favorirla?
Tutte le iniziative del ministro Lamorgese sembrano indicare che intenda favorirla: dal via libera alle navi delle Ong che vengono accolte solo ed esclusivamente nei porti italiani (atteggiamento che sta facendo arrivare altre navi nelle acque tra Sicilia e Libia) all’incremento significativo dei contributi e diarie per la lobby dell’accoglienza, coop e organizzazioni per lo più legate a sinistra e mondo cattolico già arricchitisi in questi anni col business dei clandestini.
Se il governo italiano intende invece fermarla allora è imperativo varare immediatamente iniziative simili a quelle adottate da Grecia, Spagna, Danimarca e Malta, con respingimenti immediati, chiusura delle acque territoriali a tutte le navi delle Ong e una politica che scoraggi le richieste di asilo.
Tergiversare ancora su questo fronte avrebbe conseguenze catastrofiche non solo in termini economici e di sicurezza pubblica ma anche sanitari. Tra i clandestini giunti recentemente a Lampedusa 10 sono risultati positivi al Covid nella “variante Delta”, definita un incrocio tra la variante indiana e inglese.
Individuati in Sicilia a fine maggio i 10 positivi asintomatici e in isolamento su una nave quarantena provengono dal Bangladesh seguendo la rotta libica in attesa di sbarcare e andare chissà dove.
Stessa situazione in Friuli dove il governatore Massimiliano Fedriga (Lega) ha riferito di un rischio contagio “dovuto al fatto che abbiamo trovato dei positivi tra gli immigrati entrati irregolarmente. L’appello che faccio al ministro dell’Interno è che impedisca l’ingresso di immigrati irregolari nel nostro territorio”.
Si tratta dell’ennesima contraddizione italiana tenuto conto che il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha recentemente rinnovato il divieto di ingresso per chi arrivi da India, Sri Lanka e Bangladesh proprio a causa del rischio di diffusione della “variante Delta”.
Il divieto vale operò solo per chi arriva con i documenti in regola in un aeroporto italiano. Se il volo lo si prende da Dacca per Tripoli per poi affidarsi ai barconi dei trafficanti il divieto non vale più e si viene agevolmente accolti in Italia, benché clandestini.
Così da inizio anno sono arrivati quasi 3mila bengalesi (solo via mare ma altri sono entrati dal confine orientale) circa i quali è difficile trovare anche solo un singolo motivo per cui debbano venire accolti in Italia.
Foto: Marina Militare, Frontex, Guardia Costiera Libica e Twitter