Operazione “Guardian of the Walls”, la campagna israeliana a Gaza
Sospeso in attesa di una soluzione diplomatica, il conflitto tra Hamas e le Forze di Difesa Israeliane (IDF) ha riproposto l’importanza di una campagna aerea improntata sulla precisione chirurgica delle missioni di attacco.
Pur non potendo evitare danni collaterali, cosa che i missili di Hamas, vuoi per limiti tecnologici vuoi per strategia del terrore, hanno deliberatamente causato, l’operazione “Guardian of the Walls” ha indebolito il potenziale offensivo e la struttura paramilitare delle Brigate Ezzedin al-Qassam (BEaQ) e della Jihad islamica palestinese (JIP), i due gruppi combattenti che controllano la Striscia di Gaza e che gran parte del mondo definisce organizzazioni terroristiche.
Secondo quanto riferito dalle Israeli Defence Forces, le Forze aeree (IAF) e le Forze di terra (IGF) israeliane hanno effettuato in totale circa 1.500 missioni d’attacco. Il bilancio delle vittime palestinesi è stato di oltre 1.900 feriti e di almeno 254 morti, 225 dei quali miliziani e comandati delle BEaQ e della JIP.
Le stime diramate dall’ufficio informazioni di Hamas (fonte Haaretz) parlano di danni materiali causati dai bombardamenti per 250 milioni di dollari: 92 milioni i danni causati a edifici residenziali e a strutture utilizzate delle organizzazioni non governative che operano lungo la Striscia di Gaza, 23 milioni riferiti alla messa fuori uso di uffici governativi e mezzi di trasporto, 24 milioni calcola nel settore agricolo, 50 milioni nel commercio, 5 milioni a strutture religiose, 10 milioni alle infrastrutture impiegate nel settore comunicazioni e 27 milioni generati dai danni provocati alla rete elettrica, idraulica, fognaria e stradale.
Distrutte o gravemente danneggiate 1.335 unità abitative, 74 uffici governativi di Hamas, gran parte degli edifici municipali, commissariati di polizia e strutture di sicurezza, 50 scuole pubbliche e strutture educative, 33 uffici di testate giornalistiche e centinaia di sedi assegnate alle organizzazioni non governative. Danneggiati sei ospedali, il centro operativo della Mezzaluna rossa del Qatar e undici cliniche, tra cui quella di Al Rimal, principale laboratorio per i test covid-19; costretta a chiudere perché rimasta isolata la clinica per traumi ed ustioni di Medici Senza Frontiere, colpito un centro di formazione professionale dell’Unrwa e seriamente danneggiate due scuole materne, sette moschee, di cui tre rase al suolo, e un edificio di cinque piani di proprietà di fondazioni religiose musulmane.
Eliminate 360 installazioni militari ricostruite dopo il conflitto del 2014, spazzate via le officine utilizzate per la costruzione dei razzi e pesantemente compromessa la rete sotterranea di Hamas, con più di cento chilometri di tunnel e 74 ingressi completamente distrutti, un danno economicamente non quantificabile ma certamente determinante per il futuro di Israele.
Nonostante sia stata definita da molti strateghi israeliani come un’opportunità per “falciare il prato”, l’operazione “Guardian of the wall” ha comunque mantenuto i protocolli introdotti da IDF nel 2008.
In caso di bombardamenti a complessi residenziali e strutture pubbliche che ospitano attività legate all’assistenza sociale o sanitaria o istituti religiosi, la notifica del “time on target” è stata data almeno 10 minuti prima dell’attacco. Ciò significa che i residenti sono stati avvisati telefonicamente per permettere loro di evacuare l’edificio.
Sono stati colpiti solo obiettivi paganti, quali rampe di lancio fisse o mobili, postazioni utilizzate per il fuoco indiretto, droni, unità lancia missili anticarro, squadre d’assalto, risorse militari o infrastrutture adibite a depositi o produzione di armi, tunnel, centri di comando e controllo, sezioni intelligence, residenze di leader Hamas e dei comandanti operativi delle BEaQ e della JIP, strutture abitative, piani interrati e bunker utilizzati da cellule terroristiche e paramilitari.
Per costringere i residenti civili ad evacuare gli edifici usati dalle milizie sono stati lanciati razzi sii tetti delle abitazioni, così come è stato dato con largo anticipo l’avviso di attacco a strutture sedi di ong internazionali o di organi di stampa.
Anche se la chiave di volta che ha spinto Hamas ad accettare il “cessate il fuoco” è probabilmente stata la minaccia israeliana di un’invasione terrestre, i principali attori dell’operazione “Guardian of the wall” sono stati il sistema di difesa Iron Dome e l’offensiva aerea portata avanti dall’IAF.
Il primo ha interdetto la minaccia missilistica, la seconda ha demolito la capacità offensiva di Hamas. Il velivolo più utilizzato è stato certamente l’F-16, caccia multi-ruolo che in Israele vola nella versione F-16C e F-16I “Sufa”, variante biposto dotata di serbatoi di carburate aggiuntivi, maggiore capacità di fuoco e avionica avanzata. Diverse missioni sono state anche assegnate i più pesanti F-15I Ra’am, variante israeliana che combina l’interdizione a lungo raggio con le capacità di superiorità aerea dell’F-15E, e i nuovi F-35I Adir, velivoli con caratteristiche stealth del tutto inutili contro Hamas (che non dispone né di difese aeree né di aeronautica) che potrebbero essere però stati impiegati per la vasta gamma di sensori avanzati utili all’identificazione degli obiettivi.
Diversi i sistemi d’arma messi in campo, con un massiccio utilizzo di bombe a gravità Mark 82, 83 e 84, rispettivamente dotate di kit di guida JDAM GBU-38, GBU-32 e GBU-31, e di bombe plananti di piccolo diametro GBU-39 da 285 libbre, progettate per eseguire attacchi di precisione e capaci di penetrare pareti di cemento profonde un metro. Impiegata anche la variante anti-bunker da 2.000 libre con kit di guida GBU-31 (V)4/B, quella per attacchi a bersagli mobili da 500 libre con sistema di guida laser JDAM GBU-54, e il kit SPICE, il “JDAM israeliano” che combina GPS e guida elettro-ottica.
Alla guerra contro Hamas hanno anche partecipato le unità equipaggiate con velivoli a controllo remoto Hermes 450 e 900, armati con missili guidati anti-tank NIMROD Mikholit sviluppati da Israel Aerospace Industries e con i missili Spike prodotti da Rafael Advanced Defense Systems. I missili Spike sono stati impiegati anche dalle unità di terra e dalle motovedette Shaldag II e Super Dvora III della Marina Militare Israeliana.
Gli obici semoventi corazzati M109A5 hanno invece sparato, tra fuoco diretto e indiretto, più di 500 proiettili da 155 mm, mentre i tank Merkava IV hanno aperto il fuoco su obiettivi paganti con almeno 50 proiettili da 120 millimetri.
Per dare un’idea di quanto possa essere costata la campagna aerea israeliana, per il solo ripristino di parte delle scorte dell’arsenale militare israeliano l’amministrazione Biden ha già autorizzato la vendita di 735 milioni di dollari in bombe Mark 84 da 2.000 libbre, kit JDAM GBU-31 e kit GBU-39. Non va poi tralasciato il peso derivante dal fondamentale impiego del sistema di difesa Iron Dome Counter Rocket, Artillery and Mortars (C-RAM) che, grazie ad un dispiegamento su larga scala, ha intercettato più del 90% dei razzi ritenuti capaci di rappresentare una minaccia per la popolazione israeliana.
Nel 2014, al termine dell’operazione “Margine di protezione”, Israele ottenne dagli Stati Uniti un finanziamento di 225 milioni di dollari per l’acquisto di missili Tamir destinati a ripristino dei livelli di scorta dei sistemi Iron Dome. (IT Log Defence)
Foto: IAF e IDF