Parata della vittoria a Baku, disordini a Erevan
Celebrazioni a Baku, disordini a Erevan; questo il sintetico resoconto di quanto accaduto ieri, a un mese dal cessate il fuoco che ha interrotto il conflitto in Nagorno-Karabakh, nei due Stati che si sono affrontati armi in pugno per un mese e mezzo provocando la morte di oltre 5mila persone quasi tutti militari.
Gli oppositori al primo ministro armeno Nikol Pašinyan hanno tentato di invadere il palazzo presidenziale, isolando il traffico nelle vie centrali della capitale. La polizia ha reagito compiendo almeno 30 arresti (nella foto in alto). Il motivo della protesta è il rifiuto di Pašinyan a rassegnare le sue dimissioni, come chiedono i suoi oppositori.
Le proteste infatti continuano dalla fine del conflitto in Nagorno Karabakh, quando lo scorso 10 novembre Pašinyan ha accettato l’accordo con l’Azerbaigian mediato da Mosca che presidiala la “linea di contatto” con quasi 2mila militari (nella foto sotto) . Per l’opinione pubblica armena si è trattato di una vera e propria resa e il primo ministro è stato accusato di tradimento.
Il 2 dicembre scorso i rappresentanti dell’opposizione avevano dichiarato di essersi accordati per un candidato da contrapporre al premier, il popolare ex-ministro della difesa Vazken Manukyan, sconfitto nel 1996 alle elezioni presidenziali da Levon Ter-Petrosyan, per molti grazie ai brogli. Pašinyan ha ricevuto un ultimatum: dimettersi entro il 5 dicembre, poi spostato all’8 dicembre, altrimenti sarebbero cominciate le azioni di disobbedienza civile. Manukyan ha avvisato che se il premier non si fosse tolto di mezzo volontariamente, lo avrebbero costretto a farlo: “Pašinyan deve capire che questa è l’unica via d’uscita accettabile e pacifica; se non succederà, il popolo infuriato lo farà a pezzi”.
Lo stesso Manukyan ha spiegato di essere disponibile a guidare il Paese ad interim fino a nuove elezioni parlamentari, alle quali egli stesso non ha intenzione di presentarsi. Il primo ministro in carica ha ignorato queste pretese, e Ishkhan Sagatelyan, capo del partito di opposizione Dashnaktsutiun, ha invitato i cittadini dell’Armenia a scendere in piazza “con azioni pacifiche”, per costringerlo ad accettare l’ultimatum. I manifestanti hanno così chiesto alla polizia di entrare nel palazzo dove si stava tenendo il consiglio dei ministri, per incontrare Pašinyan.
Anche il presidente dell’Armenia, Armen Sarkisyan, si è espresso a favore delle dimissioni del primo ministro. Fino al luglio scorso egli godeva di un consenso superiore all’80% della popolazione, ora è sceso al 38%. Oltre la metà della popolazione è d’accordo con le sue dimissioni, considerandolo il responsabile della sconfitta in Nagorno Karabakh.
Il katholikos (patriarca) della Chiesa apostolica armena, Karekin II, ha invitato a sua volta il primo ministro alle dimissioni. Come comunica il testo ufficiale della Sede del “Santo Echmiadzin”, il “Vaticano” armeno, “in seguito alla crescente tensione nella società, alle sfide interne ed esterne, e anche al basso livello di fiducia sociale verso il primo ministro, noi lo invitiamo paternamente a rimettere il suo mandato per evitare sconvolgimenti, con possibili scontri dalle tragiche conseguenze”.
Il katholikos si è rivolto anche al parlamento, invitando tutti ad agire con grande senso di responsabilità e di ascoltare le richieste dei cittadini, formando un governo provvisorio di concordia nazionale. L’appello di Karekin II, sostenuto anche dall’altro katholikos della Grande Casa di Cilicia Aram I, capo degli armeni all’estero residente a Beirut, può essere decisivo per spingere Pašinyan a farsi da parte, visto il grande prestigio dei patriarchi agli occhi dell’opinione pubblica, anche se non mancano reazioni infastidite per “l’ingerenza della Chiesa nella politica” in vari settori della società.
Pašinyan ha denunciato i capi delle proteste, dichiarando che “sono gli stessi che volevano farmi fuori durante la rivoluzione di velluto del 2018”, e la loro proposta “porterebbe l’Armenia all’anarchia, mettendo in piedi un governo-marionetta”. Il premier si chiede perché non si propongano semplicemente le elezioni anticipate, e si vuole un governo provvisorio senza alcuna base parlamentare che di fatto sarebbe agli ordini di Mosca.
Ad acuire la rabbia degli armeni, a un mese dalla fine del conflitto, ha contribuito anche la parata trionfale di ieri (nel video sopra) a Baku in cui davanti al presidente Ilham Aliev e al presidente turco Recep Tayyip Erdogan, hanno sfilato tremila soldati e 150 unità di mezzi militari con una vasta gamma di armamenti catturati agli armeni durante le azioni di guerra.
Nel discorso tenuto nella Piazza della Libertà Aliev ha definito Erdogan un “fratello” e lo ha ringraziato per aver detto fin dall’inizio che “la Turchia sarebbe sempre stata dalla parte dell’Azerbaigian”. Il sostegno della Turchia, ha aggiunto, “è una manifestazione della nostra unità e fratellanza e oggi, quando partecipiamo insieme alla parata della vittoria, mostriamo di nuovo la nostra unità ai nostri popoli e al mondo.
Erdogan, che si è recato a Baku con la moglie e la leadership del suo governo e del Partito islamista per la giustizia e lo sviluppo (AKP), si è congratulato con i “soldati dell’esercito azero, che hanno riportato il Karabakh in patria dopo 30 anni. Senza dubbio, uno dei fattori più importanti di questo successo ottenuto dall’Azerbaigian in campo militare e diplomatico è dovuto al mio caro fratello Aliev”.
La parata militare, trasmessa in diretta televisiva, ha coinvolto anche militari turchi delle forze speciali e dei reparti di droni. L’Azerbaijan ha recentemente dichiarato le perdite subite nel recente conflitto, mai rese note in precedenza pari a 2.783 caduti, oltre 100 dispersi e 1.245 feriti.
A fine conflitto il ministero della Sanità armeno riferì di 2.317 militari uccisi a cui vanno aggiunti i 1.383 caduti nell’esercito armeno del Nagorno Karabakh ammessi dal ministero della Difesa di Stepankert.
(con fonti AsiaNews, LaPresse e Adnkronos)
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La lista delle località ceduta agli azeri in base agli accordi di pace