Passaporto sanitario digitale: sì o no?
Siamo pronti ad accettare la adozione su scala mondiale del passaporto sanitario digitale? Una app, installata sul nostro smartphone ha come obiettivo il “certificare sempre e in real time il nostro stato di salute”: nel contesto attuale, il basso rischio di infezione Covid (derivante da una vaccinazione, da un tampone, dalla rilevazione della temperatura corporea, ….). Un salvacondotto in grado di restituirci gran parte delle libertà perdute.
Per molti un’opportunità unica per tornare a viaggiare e frequentare in sicurezza persone e luoghi pubblici, per altri, invece, un’ulteriore limitazione anzi, una discriminazione.
Già nel febbraio 2020, il governo cinese, insieme ad Alipay (l’Amazon nazionale) e WeChat (una super app che ingloba funzionalità che troviamo in Facebook, Ebay, Google, Tinder, ….), ha lanciato il suo “Codice sanitario” . Se il QR code mostrato nella app è rosso (sinonimo di infezione in atto) o giallo (quarantena), non vi sono possibilità di accedere a luoghi di lavoro, scuole, mezzi di trasporto, edifici, luoghi pubblici, ecc. Solo il semaforo verde è considerato un lasciapassare.
Iniziative simili si sono moltiplicate in altri paesi (Emirati Arabi, India, ecc.) e stante il perdurare del contesto pandemico, è prevedibile assistere ad una rapida estensione ed evoluzione di questi strumenti. Questa settimana, ad esempio, Ticketmaster (azienda che su scala mondiale cura la vendita e la distribuzione di biglietti per incontri sportivi, concerti, spettacoli, ecc.), ha annunciato un piano che prevede l’uso dello smartphone per verificare, nella finestra temporale che precede di 24-72 ore l’evento di cui si è acquistato il biglietto, lo status di infezione Covid di ogni spettatore.
I risvolti positivi sono evidenti e conviene continuare la nostra analisi suggerendo a chi ci legge alcuni spunti di riflessione.
Punto primo: visti i chiari risvolti sulle libertà personale e sulla privacy di ognuno di noi, il ripudio o l’accettazione del passaporto sanitario digitale (e dei vari dati o sensori che gli algoritmi del passaporto useranno periodicamente per valutare il nostro stato di salute) sarà determinato dalla cultura delle società in cui verrà introdotto. In altri termini: uno scenario dove le app di tracciamento non hanno riscontrato molto successo, il concetto del passaporto digitale sanitario potrà essere favorevolmente accettato?
Un altro punto su cui ragionare riguarda i protocolli di controllo sanitari da adottare: quali test fare, con che frequenza, …
E su questo stesso piano, come gestire la interoperabilità tra sistemi diversi per evitare che John Doe, “verde” secondo il passaporto sanitario birmano, possa fare turismo in Italia?
Ancora: siccome la fiducia e la trasparenza degli algoritmi che accendono o spengono il semaforo della nostra salute saranno fondamentali, come poter vigilare sulla bontà e sul corretto funzionamento degli stessi algoritmi e dei vari sensori che lo alimentano (es. il termoscanner dell’aeroporto che segnala 37.8 di temperatura corporea)? Importante non dimenticare gli aspetti di cyber security: nessuno (nemmeno il titolare dello smartphone) deve poter modificare il colore del semaforo.
Se, come probabile, non sarà possibile giungere rapidamente verso un unico passaporto sanitario digitale, come gestire l’accordo e i conflitti di più passaporti sanitari (uno gestito dalla Regione, uno della nostra azienda, uno della Compagnia Aerea preferita, dalla Università, da chi ci vende il biglietto di un concerto, dalla catena di ristoranti che frequentiamo, …)?
Infine, come risolvere il problema di coloro che non possiedono (o non vogliono possedere) uno smartphone evoluto? Un efficace (dunque sempre aggiornato) passaporto sanitario, infatti, difficilmente potrà essere gestito con una certificazione cartacea…
Esistono tanti altri punti da chiarire e da considerare che coinvolgono politica, cultura, tecnologia, sistemi di sorveglianza, relazioni tra paesi, …
In conclusione, se da un lato la disponibilità di un passaporto sanitario digitale (su scala europea o mondiale) potrebbe agevolare la ripresa economica e la socializzazione, le complessità legate ad una sua realizzazione e al suo corretto impiego, non sono inferiori ai vantaggi che esso potrebbe garantire. E allora, come per tutte le questioni complesse, diventa opportuno iniziare a ragionarne per tempo a livello politico, stanziando il giusto budget e mettendo in campo le migliori risorse del paese (dell’istituzione, delle imprese e delle università).