Perché il carro armato non è superato: lezioni da Israele e dal conflitto ucraino
Il primo impiego del carro armato avvenne sul fronte della Somme nel 1916, in condizioni operative estremamente difficili e con esiti inizialmente deludenti. Ma a dispetto dei primi fallimenti, il carro non è scomparso. Al contrario, è cresciuto, si è evoluto, ed è diventato il perno della guerra manovrata, soprattutto dal secondo conflitto mondiale in poi.
La sua storia è l’eterna lotta tra spada e scudo: ad ogni miglioramento dei carri (ora denominati MBT – Main Battle Tank) la stessa cosa avvenne anche per le armi progettate per contrastarli e viceversa.
Sempre durante la Seconda Guerra Mondiale, il mezzo aereo e i lanciarazzi spalleggiabili si affiancarono ai cannoni e alle mine. In seguito, durante gli anni della guerra fredda, si aggiunsero i missili anticarro e le submunizioni lanciate dall’artiglieria fino ad arrivare al recente (2019) conflitto nel Nagorno-Karabakh dove i droni sono stati impiegati massicciamente con effetti devastanti.
Il carro armato in azione: prove sul campo e adattamento dottrinale
Sin dalla sua comparsa sul campo di battaglia, il carro armato ha spinto allo sviluppo di armi progettate per distruggerlo. Ogni nuova minaccia ha riacceso il dibattito sulla sua presunta obsolescenza. Tuttavia, in assenza di una conferma definitiva, gli eserciti di tutto il mondo hanno continuato a investire negli MBT. Ma quei carri non erano già più paragonabili ai primi tank che sferragliarono attraverso i campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale.
Purtroppo, il XX secolo così come il primo quarto del XXI, non possono essere definiti “epoche di pace”. Le guerre mondiali, seguite poi da una lunga serie di conflitti di diversa durata e la minaccia dell’invasione sovietica dell’Europa hanno permesso di acquisire una grande messe di dati ed esperienze operative che hanno portato alla realizzazione dei moderni MBT.

Per quanto riguarda gli USA e l’Europa, il tanto temuto scontro tra unità corazzate della NATO e del Patto di Varsavia non si verificò mai e pertanto i Paesi occidentali non ebbero mai davvero la possibilità di verificare sul campo la bontà dei loro equipaggiamenti e delle relative dottrine d’impiego.
L’occasione giunse infine nel 1990 quando le Forze irachene invasero il Kuwait. A partire dall’agosto del 1990, gli USA lanciarono l’Operazione Desert Shield. In pochi mesi, una Coalizione internazionale a guida americana, accumulò in Arabia Saudita e in altri Paesi dell’area un formidabile dispositivo militare comprendente quasi un milione di soldati, più di 2000 velivoli, circa 3000 carri e altri veicoli da combattimento. Le operazioni cinetiche (Operazione Desert Storm) cominciarono il 17 gennaio 1991. Dopo ben 5 settimane di intensi bombardamenti aerei, le unità corazzate e meccanizzate della Coalizione penetrarono in territorio iracheno e, nel giro di pochi giorni, annientarono l’esercito di Saddam subendo perdite minime.

Il caso russo: dottrina rigida e impreparazione all’integrazione interarma
Prima del conflitto ucraino tutt’ora in corso, i maggiori ingaggi delle forze russo/sovietiche sono stati principalmente contro forze di guerriglieri in Afghanistan e in Cecenia durante i quali le Forze di Mosca subirono gravi perdite. La guerra contro la Georgia del 2008 rappresentava l’unico esempio di scontro contro Forze Armate regolari.
Nell’ambito del conflitto ceceno e, in particolare, durante l’attacco alla città di Grozny, i comandanti russi dimostrarono scarsa inventiva e si limitarono ad applicare alla lettera ciò che prescrivevano i manuali: uno scaglione corazzato in testa seguito dalla fanteria motorizzata e dall’artiglieria. Questa tattica ha consentito ai guerriglieri ceceni, appostati sui palazzi con RPG, di colpire i veicoli russi impunemente in quanto i cannoni dei carri non avevano un’elevazione tale da poter prendere di mira i tetti dei palazzi mentre l’artiglieria non poteva fare fuoco per il rischio di colpire le truppe amiche. L’impiego della fanteria avrebbe potuto sbloccare la situazione ma questa, imbarcata sui veicoli da trasporto, non fu di alcun aiuto perché i fanti impauriti, non volendo rinunciare alla falsa sicurezza offerta dalle lamiere degli APC, spesso si rifiutarono addirittura di appiedare.
In seguito, i russi modificarono la loro tattica ponendo i carri in coda alle colonne al fine di fornire fuoco di supporto e lasciando all’artiglieria contraerea il compito di battere gli obiettivi posti in alto. La nuova tattica portò dei benefici ma le avanzate russe rimasero sempre estremamente costose.

Il conflitto tutt’ora in corso tra Russia e Ucraina ha fornito una notevole mole di informazioni sulle forze russe e sullo stato dell’attuale tecnologia bellica: durante i primi giorni di operazioni, le unità corazzate russe, che si aspettavano una resistenza minima, avanzarono in territorio ucraino in formazione di marcia subendo perdite gravissime ad opera dei cacciatori di carri ucraini armati di ATGM e RPG. In seguito, i droni e l’artiglieria contribuirono a frustrare ogni tentativo di tornare ad una guerra di manovra trasformando quello che doveva essere un rapido colpo di mano su Kiev in una riedizione ad alta tecnologia della Prima Guerra Mondiale.
Nell’ambito del dibattito sull’utilità del carro armato, le deludenti esperienze russe diedero voce alla fazione che considera questo sistema superato ma studiando meglio le esperienze operative provenienti dall’Ucraina si evince che sia il dispositivo russo che quello ucraino non hanno mai avuto i vantaggi che hanno avuto le forze della Coalizione nella Guerra del Golfo. In particolare, in Ucraina nessuna delle due parti in lotta ha mai potuto godere della superiorità aerea. Al momento in cui queste note vengono scritte (luglio 2025), i cieli ucraini sono una terra di nessuno dominata dai missili superficie-aria e pertanto, non è possibile, per le rispettive Aeronautiche, fornire supporto aereo ravvicinato alle Forze terrestri.

Inoltre, come già visto in Cecenia, l’addestramento dei militari russi riguardo all’interazione tra carri e fanteria motorizzata sembra abbastanza carente. Questo fattore, unito alla tendenza all’attenersi a tattiche prestabilite – peraltro ben conosciute dagli ucraini – e all’abitudine russa di preferire gli ordini dall’alto rispetto al prendere l’iniziativa, ha portato intere unità alla distruzione.
Dal punto di vista tecnico, né i russi né gli ucraini, pur avendo entrambi sviluppato sistemi di difesa attivi, sono stati in grado di equipaggiare con tali apparati i loro rispettivi veicoli da combattimento. L’unico tentativo di aumentare la protezione dei veicoli è stata l’introduzione delle cosiddette “cope cage” che si sono subito rivelate inadeguate.
Ad oggi, sembra che i russi abbiano sviluppato una tattica semplice ed efficace: utilizzare i carri, l’artiglieria e i droni per prendere di mira un caposaldo nemico con un fuoco soverchiante. Una volta che i difensori sono stati neutralizzati o costretti alla fuga, la fanteria va ad occupare la posizione. È evidente che una tattica simile, oltre a non richiedere un elevato livello addestrativo ha il vantaggio di ridurre i rischi per il personale ma difficilmente potrebbe consentire il ritorno ad una guerra di manovra.

Israele e il Merkava: l’arte dell’adattamento
Si può affermare che l’Esercito israeliano, avendo affrontato numerose volte Eserciti regolari e gruppi di guerriglieri, sia quello che ha maturato la maggiore esperienza operativa riguardo all’impiego delle unità corazzate.
A partire dalla guerra d’indipendenza del 1947, Israele si trovò coinvolto a distanza di pochi anni in altri conflitti tra cui la Crisi di Suez (1956), la Guerra dei Sei Giorni (1967) e la Guerra del Kippur (1973). Tutte queste guerre hanno avuto un esito vittorioso per lo Stato ebraico sebbene durante la guerra del Kippur, Israele sia stato molto vicino alla sconfitta. In quell’occasione, le unità corazzate egiziane, protette da una difesa aerea stratificata fornita dall’URSS e supportata da fanti armati di ATGM, inflisse notevoli perdite all’Aeronautica e alle Forze corazzate israeliane. Soltanto la rapida mobilitazione delle riserve evitò il tracollo e spinse l’Esercito israeliano, negli anni successivi, a cercare soluzioni per rafforzare le proprie forze corazzate: inizialmente venne scelto il carro britannico Chieftain, ma il Regno Unito decise di non autorizzarne la fornitura.
Ciò portò Israele a intraprendere lo sviluppo e la produzione autonoma di un MBT nazionale. Il risultato fu il Merkava; carro armato la cui prima versione, l’Mk.1, entrò in servizio nel 1979.

Nel corso degli anni, la piattaforma si è evoluta fino a raggiungere – in particolare nel Merkava Mk.4 e nelle sue sottovarianti – prestazioni eccellenti in ambiti specifici come la protezione attiva (data dal sistema Trophy), la consapevolezza situazionale e l’integrazione nei sistemi C4I, senza tuttavia rinunciare ad un rapporto potenza/peso non inferiore altri mezzi della categoria.
Questo risultato non è riconducibile soltanto a soluzioni progettuali particolarmente riuscite, ma anche all’adozione sistematica di un approccio operativo fondato sul learning by doing: un ciclo continuo di adattamento, in cui ogni impiego operativo fornisce feedback immediati che alimentano l’evoluzione tecnica del sistema e della relativa dottrina d’impiego.

Fin dalla sua prima versione, il Merkava ha introdotto caratteristiche innovative rimaste uniche ancora oggi: il motore posizionato frontalmente – pensato per aumentare la protezione frontale – e un armamento secondario che include anche un mortaio da 60 mm, utile per ingaggiare bersagli defilati. Lo spostamento del propulsore inoltre, permise di ricavare un compartimento posteriore in grado di ospitare una piccola squadra di fanteria (fino a 4-6 soldati, a seconda della versione – ndd), garantendo così una sinergia tattica immediata tra corazzati e truppe appiedate. La piattaforma ha inoltre dato origine al Namer (foto seguente), un veicolo da combattimento della fanteria (IFV) pesante, progettato per condividere componenti chiave con il carro al fine di ottimizzare logistica e manutenzione sul campo.
Dalla Guerra del Libano del 1982 fino alle recenti operazioni nella Striscia di Gaza, le forze corazzate israeliane si sono confrontate con attori non statuali quali organizzazioni terroristiche e gruppi di guerriglieri, ottenendo successi tattici rilevanti a fronte di perdite contenute. Bisogna tenere presente però che questi risultati non dipendono solo dalla bontà del mezzo in sé, ma dal sistema integrato in cui esso è inserito: interoperabilità profonda tra fanteria e mezzi corazzati, addestramento interforze realistico, supporto costante dalla terza dimensione e una catena di comando capace di recepire e applicare rapidamente le lezioni apprese.

Il vantaggio non risiede dunque esclusivamente nel disporre di una certa tecnologia, ma nella capacità di sapere integrare e adattare tale vantaggio tecnico in un ecosistema operativo coeso, dinamico e in costante evoluzione. Solamente in tale modo le unità corazzate possono continuare a rivestire un ruolo centrale anche nei conflitti del XXI secolo.
Breve analisi comparativa
Per quanto sopra esposto, si può affermare che le forze terrestri israeliane siano oggi tra quelle con la maggiore esperienza operativa nell’impiego di unità corazzate. In particolare, il Merkava Mk.4 può essere considerato uno dei carri armati più protetti attualmente in servizio. Tale valutazione è frutto tanto delle esperienze operative quanto dei risultati delle esercitazioni bilaterali condotte negli ultimi anni tra unità corazzate della NATO e delle IDF.
In scenari simulati di tipo MBT contro MBT, il Merkava ha dimostrato un’elevata efficacia negli ingaggi a colpo singolo (first shot – first kill), grazie all’elevata precisione del suo sistema di tiro. Tuttavia, nelle esercitazioni incentrate su mobilità operativa e profondità della manovra – come nei contesti offensivi simulati in ambiente europeo – è emersa una relativa inferiorità rispetto a MBT concepiti per manovre ad ampio raggio, come il Leopard 2.

Questa differenza non è tanto di ordine qualitativo quanto piuttosto dottrinale. Il carro israeliano è stato infatti progettato per operare in un teatro ristretto e urbanizzato più che per operazioni di penetrazione in profondità in ambiente campale.
A differenza degli israeliani, i russi hanno sviluppato le loro forze corazzate privilegiando la mobilità. Al fine di rendere i carri più piccoli e quindi, a parità di protezione, più leggeri, i progettisti russi hanno previsto un sistema di caricamento automatico che consente di fare a meno del servente. Tuttavia, durante i primi giorni dell’attacco all’Ucraina questa soluzione si è dimostrata essere una grave debolezza in quanto un attacco con armi anticarro portava spesso alla detonazione delle munizioni con conseguente distruzione del carro. Anche qui, come in Cecenia, ad aggravare la situazione contribuì la mancanza o il non tempestivo intervento della fanteria di supporto. In risposta a tale handicap i progettisti russi realizzarono il BMPT Terminator: il capostipite di una nuova categoria di veicoli da combattimento (foto seguente). Il mezzo è basato sul T-72 ma, a differenza di questo, è armato con cannoni da 30mm ad elevato alzo in grado quindi di colpire i centri di fuoco nemici posti in alto (come le cime dei palazzi di Grozny). Tali veicoli, risultano essere stati usati in Ucraina con risultati incoraggianti. In altre parole, anziché usare la fanteria per supportare i carri, i russi hanno preferito sviluppare un veicolo ad hoc per supportare entrambi.

Infine, da parte occidentale, gli strabilianti risultati ottenuti durante i due interventi contro l’Iraq di Saddam Hussein hanno confermato la bontà della dottrina NATO Air-Land Battle e pertanto non c’è stato alcun impulso a mettere in discussione il paradigma del carro da battaglia ormai consolidato. Tuttavia, nel momento in cui gli MBT di produzione occidentale si sono trovati ad operare senza un supporto integrato come i Leopard turchi contro DAESH o i Leopard e gli Abrams ucraini contro i russi si sono verificate perdite e diversi carri sono stati distrutti o catturati.
Conclusioni
Decenni di operazioni di stabilizzazione prima e l’avvento dei droni poi hanno portato molti pensatori militari occidentali a chiedersi se la fine del carro fosse ormai arrivata. Nel frattempo i carri israeliani e russi hanno continuano ad essere schierati contro eserciti regolari e gruppi di guerriglieri con risultati alterni.
L’analisi delle esperienze operative indica che il carro rimane un sistema d’arma formidabile a patto di tenere in considerazione una serie di fattori; primo fra tutti, un dominio indiscusso dello spazio aereo che consenta ai velivoli ad ala fissa e rotante di neutralizzare l’artiglieria nemica e i velivoli avversari (droni compresi) e fornire supporto informativo in tempo reale. Una perfetta coordinazione tra i carri e la fanteria d’appoggio è essenziale in quanto solo l’intervento tempestivo delle truppe appiedate può consentire ai carri di manovrare in terreni difficili come le foreste o i centri abitati.
In sintesi, la manovra delle unità corazzate è un’operazione complessa che necessita, per la sua riuscita, di un elevato grado di coordinazione che può essere raggiunto solo attraverso un rigoroso e puntuale addestramento inter-arma.

Nel momento in cui tale condizione non viene soddisfatta e i carri si trovano ad operare da soli, diventano preda dei cacciatori di carri nemici e pertanto anche carri eccellenti come il Leopard, l’Abrams – per non parlare dei meno eccellenti T-72 – possono essere neutralizzati. In tali, incerti contesti, la mancanza di sistemi di difesa attivi costituisce un’ulteriore criticità.
Gli israeliani, dal canto loro, hanno dimostrato di aver fatto tesoro dell’esperienza maturata sul campo di battaglia e di poter disporre di un Sistema Paese in grado di realizzare veicoli da combattimento attagliati alle esigenze operative. Realizzando il Merkava, Israele ha prodotto un carro che riesce a portare con sé la propria unità di supporto raggiungendo il massimo grado di sinergia tra veicoli e truppe appiedate e dimostrando brillantemente come le unità corazzate possano senza dubbio adattarsi ai moderni scenari di combattimento.
In sintesi, si può affermare che la sopravvivenza dell’MBT nel XXI secolo dipenda da:
- Superiorità informativa
- Dominio dello spazio aereo sopra il campo di battaglia
- Integrazione interarma
- Implementazione di sistemi APS
- Adattamento dottrinale continuo
Foto: IDF / U.S. Navy / web / U.S. Army / Russian Federation MoD
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Il primo impiego del carro armato avvenne sul fronte della Somme nel 1916, in condizioni operative estremamente difficili e con esiti inizialmente deludenti. Ma a dispetto dei primi fallimenti, il carro non è scomparso. Al contrario, è cresciuto, si è…
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