Ponte di Messina: simbolo di progresso o “bersaglio strategico”?
Strategia, terrorismo e infrastrutture a rischio; secondo manuali NATO e dottrina militare, in caso di conflitto i primi obiettivi a essere colpiti sono centri di comando, reti di comunicazione e grandi infrastrutture. Il terrorismo, che ignora il diritto umanitario, punta invece e soprattutto a generare un impatto psicologico sulla popolazione civile. In questo quadro, il ponte sullo Stretto non è soltanto un simbolo di progresso, ma potrebbe diventare anche un bersaglio.
Il governo ha stanziato circa 13,5 miliardi di euro per costruire il ponte sospeso a campata unica più lungo del mondo: una campata centrale di 3.300 metri su una lunghezza complessiva di 3.666 metri. L’opera supererà di oltre un chilometro l’attuale primato del Çanakkale Bridge in Turchia (2.023 m di luce tra le torri). L’infrastruttura avrà tre corsie per senso di marcia, due binari ferroviari, corsie di servizio e torri alte 399 metri. Con una larghezza complessiva di 60,4 metri, il ponte potrà sostenere un traffico potenziale di circa 6.000 veicoli l’ora e il passaggio quotidiano di 200 treni, garantendo un collegamento rapido tra Sicilia e continente.
Un sistema di mobilità fragile
La Sicilia resta segnata da una storica fragilità nei trasporti, l’85% della rete ferroviaria (su 1.490 km totali) è a binario unico e quasi la metà non è elettrificata. I treni sono pochi e obsoleti, mentre l’86% dei trasporti avviene su gomma e solo un esiguo 2–3% su ferro o via mare. In questo scenario, il ponte, pur essendo un’opera straordinaria, rischia di trasformarsi in un “collo di bottiglia” senza un reale potenziamento della mobilità interna. Per questo, accanto al ponte, sono stati avviati diversi progetti, come il raddoppio della linea Palermo–Catania–Messina e il nuovo viadotto Ragusa–Catania, nonché gli interventi Anas su autostrade e statali. Cantieri da miliardi di euro che, se (realmente) completati, potrebbero convertire gli attuali diffusi pregiudizi dell’opera sullo Stretto.
Vulnerabilità simbolica e geopolitica
Nel 1987 il generale Gualtiero Corsini definì il “coefficiente D” (difesa) del ponte quasi nullo, mettendo in guardia le istituzioni e sollevando dubbi sulla possibilità di una difesa realmente efficace. Oggi, in un contesto geopolitico instabile, l’opera si presenta come una potenziale vulnerabilità di cui si discute poco. Alle preoccupazioni per il rischio sismico – nonostante i progettisti garantiscano resistenza fino a magnitudo 7,5 – si sommano quelle per l’impatto ambientale e marino, senza dimenticare il pericolo sempre concreto delle infiltrazioni mafiose. E resta aperta una domanda cruciale: chi controllerà i controllori?
Tra orgoglio e rischio
Il ponte sullo Stretto può diventare simbolo di modernità e unità nazionale – a tutti gli effetti –, a patto che si investa anche nella sua difesa. Oltre alle infrastrutture fisiche, serviranno sistemi antiaerei, monitoraggio marittimo e un’intelligence preparata e costante.
Costruirlo richiede coraggio. Proteggerlo sarà la vera prova di maturità per un’opera di tale levatura che può rafforzare l’orgoglio italiano… oppure trasformarsi – se trascurata – nel colpo al cuore dell’Italia. Morandi docet.
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