Reportage da Varsavia: “100 giorni dopo Putin”
Un “dopo Putin” è inevitabile. Ma inevitabile non significa automatico, né tantomeno virtuoso. Al quinto giorno della Warsaw Human Dimension Conference, il Memorial Human Rights Defence Center ha presentato il side event “100 Days after Putin”, un progetto di policy giuridica che prova a rispondere alla domanda più difficile: come usare le primissime settimane di transizione per evitare l’ennesimo ciclo di repressione e, stavolta, costruire istituzioni che limitino davvero il potere?
Sul palco, moderati dall’avvocato Tamilla Imanova, i giuristi co-autori Grigory Vaypan e Nikolai Bobrinsky hanno spiegato che il titolo non è uno slogan taumaturgico, ma un promemoria operativo: la storia insegna che i “primi giorni” decidono il resto. Nel 1991, la finestra aperta dopo il golpe d’agosto si richiuse in fretta – e senza un’agenda per stato di diritto e giustizia di transizione. Non si vuole ripetere l’errore.

Perché parlare di futuro in piena guerra? Perché il futuro, quando arriva, non premia gli improvvisatori. Il progetto non predice scenari: indica ciò che, a giudizio degli autori, dovrebbe essere fatto subito. È pensato per chiunque, in un possibile governo di transizione, voglia muovere passi nella direzione giusta – per convinzione, per pressioni interne o internazionali, o per puro calcolo politico. L’Europa, hanno insistito, dovrà usare leve e porre condizioni. La normalizzazione con Mosca non potrà prescindere da riforme interne, non solo da un accordo sulla guerra.
Il piano si articola in quattro sezioni, ciascuna accompagnata da bozze di leggi e decreti (una vera “cassetta di pronto soccorso” normativa):
1) scenari costituzionali della transizione. Chi fa l’“ad interim”? Come si indicono le elezioni e con quali tempi? Che rapporto impostare con parlamento, forze dell’ordine e forze armate? Cosa fare della “costituzione Putin” emendata nel 2020? Vengono mappate opzioni e vincoli, con criteri di valutazione (legalità, necessità di consensi, margini d’azione).
2) costruzione democratica. Due priorità: abolire l’architettura legale della repressione (leggi anti-“estremismo” usate per censura e arresti amministrativi, regimi su “agenti stranieri” e “organizzazioni indesiderate”, norme discriminatorie sui legami esteri) e preparare elezioni davvero competitive. Sotto l’attuale cornice, i 100 giorni porterebbero alla sola elezione presidenziale – ma dopo anni di terrore di stato sarebbe una competizione falsata e rischierebbe di rigenerare un potere quasi illimitato. Gli autori indicano alternative: voto anticipato per la Duma o per un’Assemblea costituente, correzioni dell’ingegneria costituzionale, bonifica della legge elettorale e, se necessario, base giuridica per un rinvio tecnico che consenta a partiti e dibattito pubblico di formarsi davvero.
3) giustizia di transizione. Tre assi: riparazione alle vittime, bonifica di magistratura e forze dell’ordine, indagini e processi sui crimini sistemici. Dal 2012 si stimano almeno 100.000 procedimenti politici – il numero reale delle vittime è molto più alto. Per garantire giustizia rapida e capillare, si propone un doppio binario: riconoscimento amministrativo “ipso facto” per categorie evidenti (con automatica caducazione di designazioni come “agente straniero” e sanzioni amministrative correlate) e camere speciali presso le corti per gli altri casi. Per ricostruire fiducia si suggeriscono: scioglimento delle unità la cui funzione è stata il terrore di stato (tra cui i reparti “anti-estremismo” del ministero dell’interno e l’autorità di censura sulle comunicazioni), sostituzione delle leadership di polizia e corti superiori, e una epurazione mirata – centrata sui vertici delle istituzioni repressive e su chi ha applicato in prima persona le leggi liberticide (parlamentari votanti, giudici, pubblici ufficiali). Le stime discusse in sala raccontano di circa 11.000 giudici coinvolti su 30.000; fino a 10.000 toghe da rimpiazzare tramite concorsi pubblici gestiti da commissioni indipendenti di alto profilo. Parallelamente, un meccanismo rapido per eseguire le sentenze CEDU.
4) composizione post-bellica. Il capitolo finale dettaglia il quadro giuridico per la cessazione delle ostilità e dell’occupazione dei territori ucraini, l’accertamento della verità, le riparazioni e il perseguimento dei responsabili dei crimini internazionali. Modello proposto: “due livelli” di giustizia – internazionale per i massimi responsabili (Corte Penale Internazionale e futuro tribunale speciale sul crimine di aggressione) e domestica per la larga platea di autori di livello inferiore, come già sperimentato nei Balcani.

Nello spazio riservato alle domande dal pubblico sono emerse tre questioni.
Come rimpiazzare in pochi mesi una magistratura ampiamente compromessa?
La risposta è stata pragmatica: massimo ricorso a procedure amministrative per le riparazioni più lineari, camere speciali con un numero limitato di giudici per il contenzioso residuo, e un reclutamento straordinario – trasparente e competitivo – per coprire i vuoti prodotti dalla bonifica istituzionale.
Il ruolo della comunità internazionale?
Non “sostegno” incondizionato, ma “bastone e carota”: sanzioni, assets sovrani congelati, accesso a finanziamenti e forum multilaterali come leve da ancorare a una checklist pubblica di riforme interne (abolizione delle leggi repressive, liberazione dei prigionieri politici, avvio delle indagini, riforma della giustizia).
I propagandisti del regime?
Priorità alla libertà d’espressione e al rientro del pluralismo informativo, ma con possibili procedimenti – anche sotto fattispecie già esistenti, come l’istigazione alla guerra di aggressione – per chi ha oltrepassato la soglia penale.
La nostra domanda è poi stata: «Una Russia democratica sarà pronta a un’immediata guerra? Circondata da regimi autoritari (Cina, Corea del Nord, Iran, Azerbaigian, Bielorussia), vedrebbero nel cambiamento di Mosca una minaccia vitale…»
Grigory Vaypan ha risposto «Non credo che la transizione democratica della Russia possa generare un rischio di guerra. Prima di tutto perché la Russia resta una potenza nucleare, e questo costituisce di per sé un forte deterrente contro qualsiasi tentazione aggressiva da parte di altri attori internazionali.»
Da quella premessa, ha allargato la riflessione: «Al contrario, una Russia che intraprendesse davvero un percorso democratico potrebbe diventare un punto di svolta globale. La sua trasformazione avrebbe l’effetto di un’onda lunga, simile a quella di fine anni Ottanta e inizio anni Novanta, quando il crollo del blocco socialista – e in particolare dell’Unione Sovietica – agì da catalizzatore per riforme democratiche in molte altre parti del mondo. Una transizione riuscita a Mosca potrebbe nuovamente ispirare cambiamenti politici anche in regioni oggi dominate da regimi autoritari.»
Da qui, l’importanza – ha concluso – di pianificare sin d’ora il “giorno dopo”: «È essenziale parlare del futuro della Russia anche mentre il presente sembra immutabile. All’interno del Paese potrebbe trovarsi una delle chiavi per la rinascita dello stato di diritto, non solo per i russi, ma per l’intero ordine internazionale.»
Gli autori, in chiusura, hanno ricordato che il progetto completo è disponibile in russo (circa 300 pagine) con un’ampia sintesi in inglese. Più che un “manifesto”, è un fascio di bozze operative da tenere nel cassetto giusto, pronte per il giorno uno. Perché quando la storia accelera, non aspetta la burocrazia.
Immagini: Difesa Online (foto apertura “Cremlino”)
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