Reportage da Varsavia: crimini di guerra e contro l’umanità in Ucraina – testimonianze, numeri e la sfida all’impunità
Nel corso di un side event della conferenza OSCE, difensori dei diritti umani ucraini e russi hanno denunciato torture sistematiche, sparizioni e detenzioni illegali. Dossier alla Corte Penale Internazionale e appello a un fronte comune per la giustizia.
All’incontro “War Crimes and Crimes Against Humanity in the Course of Russia’s Aggression Against Ukraine”, organizzato come evento parallelo della conferenza OSCE di Varsavia, sono intervenuti Yevgen Zakharov, direttore del Kharkiv Human Rights Protection Group e figura storica del movimento per i diritti umani in Ucraina, e Natalia Morozova, co-presidente del Memorial Human Rights Defence Centre, avvocata specializzata in torture, rapimenti e persecuzioni nel Caucaso del Nord, oggi in esilio e attiva anche con la Federazione Internazionale per i Diritti Umani. La moderazione è stata affidata ad Ana Farifonova, coordinatrice del Programma di giustizia internazionale della Helsinki Foundation for Human Rights di Varsavia.
L’evento ha presentato testimonianze e dossier indirizzati alla Corte Penale Internazionale, ai sensi dell’articolo 15 dello Statuto di Roma, su torture, sparizioni e detenzioni illegali ai danni di civili e prigionieri di guerra ucraini in Russia e nei territori occupati.
Obiettivo dichiarato: spezzare il ciclo di impunità, radicato nelle pratiche già viste nelle guerre cecene e, prima ancora, nel sistema sovietico dei campi di filtrazione.

I promotori hanno richiamato anche la campagna “People First!” per la liberazione dei civili detenuti e lo scambio dei prigionieri, lanciata da ONG ucraine e russe a inizio 2025.
Le testimonianze raccolte delineano un sistema di repressione diffuso e organizzato. Gli arresti arbitrari e le sparizioni forzate avvengono in casa, nei luoghi di lavoro o per strada, spesso senza alcun atto legale; alle famiglie viene negata ogni informazione. Le strutture di detenzione – cantine, magazzini o caserme adattate – risultano sovraffollate, con celle dove fino a nove persone sono costrette a dormire a turni. Le torture, descritte come sistematiche, comprendono percosse ed elettroshock ai genitali, waterboarding, ustioni, finte esecuzioni, uso di cani e gas, costrizione a posizioni dolorose o prolungate e a cantare inni russi per ore.
Secondo i dati presentati, nella regione di Kharkiv sono stati mappati trentatré luoghi di detenzione, documentati circa milleseicento casi di privazione illegale della libertà con testimoni e oltre quattromilacinquecento rapimenti, molti dei quali qualificabili come sparizioni forzate. Complessivamente risultano circa seimila casi documentati – definiti la “punta dell’iceberg” – ma le stime variano tra settemila e dodicimila civili detenuti, con valutazioni che arrivano ad almeno sedicimila. Sono note le generalità e l’ubicazione di circa duemila civili, molti dei quali trattenuti in isolamento.

Gli episodi di tortura confermati al 1° ottobre sono 1.030, inclusi ventiquattro ai danni di minori. Tra i prigionieri di guerra ucraini, circa diecimila in totale, è nota la sede di detenzione per il 60%: le testimonianze raccolte riferiscono tortura “senza eccezioni”. La colonia penale n. 10 di Mordovia è stata indicata come uno degli epicentri delle violenze e dei trattamenti disumani.
Dopo lo stallo dei colloqui di maggio 2025, l’iniziativa “People First!” si è rivolta a Turchia e U.S.A. per facilitare gli scambi di prigionieri: un primo “1000 per 1000” a maggio, poi ulteriori fasi fino a circa 1.800 rilasci nell’ambito degli “accordi di Istanbul”. Secondo il conteggio riportato in sala, da maggio a fine estate 2.301 persone sarebbero state scambiate, con poche donne e un centinaio di civili. ONG e media internazionali hanno ribadito nel corso del 2025 la necessità di mantenere alta la priorità sulle liberazioni.
Morozova ha ricostruito la continuità storica delle pratiche repressive, dai campi di filtrazione sovietici alle guerre in Cecenia fino all’attuale infrastruttura nei territori occupati dell’Ucraina.
Unica eccezione citata, un centro detentivo a Grozny con condizioni relativamente meno violente verso i prigionieri ucraini, ipotesi interpretata come un tacito scambio per evitare ritorsioni su prigionieri ceceni. Altrove, la sistematicità delle torture non avrebbe conosciuto attenuazioni.

Sul piano legale internazionale, le submission alla Corte Penale Internazionale riguardano torture, sparizioni, esecuzioni extragiudiziali e detenzioni illegali.
La Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite e i gruppi di lavoro continuano la raccolta delle prove, mentre in sede Consiglio d’Europa si sta definendo il percorso verso un Tribunale per il crimine di aggressione, con possibile avvio nel 2026. Morozova ha definito le condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo sui casi ceceni una “tassa sull’impunità”: risarcimenti pagati fino al 2022, ma pratiche rimaste immutate. Da qui l’insistenza sulla necessità di responsabilità individuali e pressione pubblica.
È stato inoltre ricordato il fabbisogno massivo di cure fisiche e psicologiche post-rilascio. In Ucraina i prigionieri di guerra accedono a cure gratuite, ma per i civili il quadro è più critico. Anche nei Paesi dell’Unione Europea confinanti, come la Polonia, mancano programmi strutturati di riabilitazione per i torturati provenienti dalle aree occupate.
Durante il dibattito, giornalisti e attivisti hanno rimarcato il contrasto fra la brutalità denunciata e l’aderenza ucraina alla Convenzione di Ginevra, chiedendo di chiarire queste differenze all’opinione pubblica. Altri interventi, soprattutto da parte di ONG dell’Asia centrale, hanno collegato i metodi carcerari nei propri Paesi all’influenza russa, sollecitando sostegno alle campagne contro l’impunità.
Dossier, testimonianze e ricostruzioni storiche hanno evidenziato violazioni gravi e sistematiche. La strategia proposta combina archiviazione probatoria di qualità forense, pressione diplomatica e campagne per la liberazione dei prigionieri.
Senza un’effettiva accountability – hanno avvertito i relatori – il rischio è che i metodi di guerra diventino parte stabile dell’apparato repressivo, trasferendosi dalle zone di conflitto alla vita civile e contaminando le pratiche penali ordinarie.
Foto: Difesa Online
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