Reportage da Varsavia: detenzioni arbitrarie e sparizioni sotto la nuova amministrazione Trump
Nel corso della Warsaw Human Dimension Conference organizzata dall’OSCE, il side event “Human Rights Violations, Militarization of Public Spaces, Arbitrary Detention and Enforced Disappearances in the U.S. in 2025”, promosso dall’organizzazione Crude Accountability, ha sollevato un dibattito senza precedenti sulla situazione dei diritti umani negli Stati Uniti dopo il ritorno al potere di Donald Trump.
A introdurre l’incontro è stata Kate Watters, direttrice esecutiva di Crude Accountability, che ha descritto una “militarizzazione diffusa degli spazi pubblici americani”, con la Guardia Nazionale impiegata in città come Washington D.C., Los Angeles, Chicago e Portland senza il consenso dei governatori. “Agenti dell’ICE – spesso mascherati, armati e in giubbotti antiproiettile – pattugliano le comunità, arrestando uomini, donne e bambini nei luoghi di culto, a scuola o al lavoro”, ha denunciato Watters, definendo “sistematica e crescente” la violazione dei diritti fondamentali e delle garanzie costituzionali.
Il ricercatore Jeffrey Dunn, direttore dell’area analisi di Crude Accountability, ha documentato una serie di otto ordini esecutivi e quattro proclamazioni presidenziali che avrebbero colpito il sistema di protezione dei migranti. Tra questi, provvedimenti che consentirebbero la revoca della cittadinanza a cittadini naturalizzati e l’impiego di unità militari per la detenzione e deportazione dei migranti. “L’ICE dispone oggi di un budget da 75 miliardi di dollari per i prossimi quattro anni, un livello pari a quello delle forze armate di Canada e Turchia”, ha sottolineato Dunn, parlando di “un’agenzia interna con capacità paramilitari”.
Secondo i dati raccolti, nel solo 2025 oltre 59.000 persone risultano detenute, mentre tra 200.000 e 400.000 sarebbero già state deportate, molte senza accesso a un avvocato o notizie fornite ai familiari. “Si tratta di sparizioni forzate nel senso pieno della definizione ONU”, ha aggiunto il ricercatore.

La ricercatrice Adelein (Lina) Olberding ha illustrato casi concreti: “Oltre il 70% dei detenuti non ha precedenti penali. In molti casi l’unica ‘infrazione’ è una multa stradale o un errore amministrativo”. Ha raccontato la storia di una donna incinta “gettata a terra e picchiata fino ad avere un aborto”, di un dottorando in biochimica arrestato per vecchie contravvenzioni e di un padre separato dal figlio di sei anni “scomparso nel sistema”.
Olberding ha poi denunciato le condizioni disumane nei centri di detenzione, citando la struttura “26 Fed” di Manhattan, dove “i detenuti ricevono un solo pasto al giorno, non hanno accesso a prodotti igienici e dormono in celle sovraffollate con un solo bagno per 90 persone”.
Ha inoltre segnalato la riapertura del famigerato centro “Alligator Alcatraz” in Florida, dove “i detenuti vengono incatenati al suolo o lasciati sotto il sole per ore” e “oltre 800 persone risultano ufficialmente scomparse” dopo il trasferimento.
Nel suo intervento, Douglas Wake, già diplomatico statunitense e vice direttore dell’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani dell’OSCE (ODIHR), ha definito “profondamente allarmante” la situazione. “Questi fatti contraddicono in modo diretto gli impegni assunti dagli Stati Uniti nell’ambito dell’OSCE – da Helsinki 1975 alla Carta di Parigi del 1990 – e violano la decisione ministeriale del 2020 contro la tortura, approvata proprio sotto l’amministrazione Trump”. Wake ha richiamato il principio fondante dell’OSCE secondo cui la tutela dei diritti umani “non è questione interna ma responsabilità condivisa”, avvertendo che “la sicurezza in Europa è indivisibile e le violazioni negli Stati Uniti hanno implicazioni globali”.

Nel dibattito, alcuni interventi dal pubblico hanno espresso preoccupazione per l’assenza di testimonianze dirette e per la mancanza di rappresentanti ufficiali statunitensi. Altri hanno invitato a “trattare l’alfabetizzazione democratica come una competenza viva e continua”, ricordando che “la democrazia non crolla in un giorno, ma si erode lentamente nel silenzio tra le parole e le azioni”.
In chiusura, Watters ha affermato che la “democrazia americana si sta sgretolando a una velocità impressionante”. Dunn ha auspicato un risveglio civico, mentre Olberding ha ribadito la necessità di “rompere il silenzio per proteggere ciò che resta del sistema di diritti e di legalità negli Stati Uniti”.
Wake, nel suo ultimo intervento, ha ammonito: “La principale minaccia non è la repressione, ma l’apatia. La luce deve restare accesa, come facevamo quarant’anni fa quando cercavamo di vedere oltre la cortina di ferro”.
Foto: Difesa Online
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