Reportage da Varsavia: diritti umani, Stato di diritto e interferenze ibride nella prima giornata della conferenza OSCE
La capitale polacca ha inaugurato ieri la Conferenza dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) dedicata ai diritti umani, alla democrazia e allo Stato di diritto, un appuntamento che segna il ritorno del confronto multilaterale su questi temi dopo tre anni di stallo.
L’evento, convocato in sostituzione del tradizionale Human Dimension Implementation Meeting (HDIM*), coincide con il cinquantesimo anniversario degli Accordi di Helsinki (foto) – la base storica su cui l’OSCE è costruita – e ha richiamato quasi 1.900 partecipanti (registrati), tra delegazioni statali, rappresentanti di organizzazioni internazionali e realtà della società civile. Numeri che riflettono non solo l’interesse, ma anche la tensione politica che attraversa oggi lo spazio OSCE.

Un messaggio da Helsinki: la società civile come pilastro della sicurezza
Nell’intervento inaugurale, la ministra degli esteri finlandese Elina Valtonen, presidente di turno dell’OSCE, ha ricordato che l’aggressione russa all’Ucraina rappresenta «una violazione non solo del diritto internazionale, ma dei principi di Helsinki del 1975». Valtonen ha insistito sul ruolo della società civile, definendola «non una minaccia, ma il fondamento della stabilità». L’erosione dei diritti e dello Stato di diritto, ha ammonito, «finisce sempre per minare anche la sicurezza collettiva».
A seguire, la direttrice dell’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (ODIHR), Maria Telalian, ha denunciato il progressivo restringimento dello spazio civico in molti Paesi membri, invitando i governi a «investire nella giustizia e ad amplificare le voci messe a tacere». Il segretario generale dell’OSCE, Feridun Sinirlioğlu, ha ricordato come «diritti umani e diplomazia siano le fondamenta della sicurezza europea», mentre il rappresentante per la libertà dei media, Jan Braathu, ha esortato gli Stati a difendere giornalisti e testate indipendenti da pressioni politiche e violenze.

Tra sicurezza digitale e propaganda: il cuore del dibattito
Le tavole rotonde della giornata hanno affrontato i grandi temi della “dimensione umana”: democrazia, Stato di diritto, libertà di espressione e tutela dei diritti individuali. Ma al centro dell’attenzione si è imposto un tema trasversale: la disinformazione come minaccia ibrida alla stabilità democratica.
Valtonen ha invitato i Paesi membri a «contrastare interferenze e campagne manipolative senza sacrificare i valori fondanti dell’OSCE». L’intervento del presidente dell’Assemblea parlamentare, Pere Joan Pons, ha rilanciato la riflessione, collegando le crisi in Ucraina e a Gaza: «Le guerre moderne si combattono anche nello spazio digitale. Le campagne disinformative non si affrontano con meno libertà, ma con più democrazia e media indipendenti».
L’Unione europea, rappresentata dall’Irlanda, ha ribadito il principio di autocritica collettiva: «Nessuno Stato ha un curriculum perfetto in materia di diritti umani. Ogni Paese deve accettare le critiche e prevenire l’arretramento democratico». Bruxelles ha inoltre riaffermato il sostegno all’Ucraina e la condanna delle deportazioni dei minori da parte russa.
Gli sguardi dall’Asia centrale
Ampio spazio è stato dedicato alla situazione dei diritti nei Paesi dell’Asia centrale, spesso sotto osservazione per la stretta sul dissenso. Un rapporto diffuso dall’organizzazione International Partnership for Human Rights (IPHR) ha segnalato un peggioramento delle libertà civili in Kazakistan, Kirgizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan: restrizioni sui finanziamenti alle ONG, chiusura di associazioni indipendenti e arresti di giornalisti e attivisti.
Il documento ha citato casi come quelli di Marat Zhylanbaev e Duman Mukhamedkarim in Kazakistan, e di redazioni come Kloop e April TV in Kirghizistan, colpite da procedimenti giudiziari o sospensioni arbitrarie. Gli osservatori presenti a Varsavia hanno chiesto all’OSCE di esercitare pressioni sui governi della regione affinché garantiscano la libertà di associazione e di informazione, definendola «una condizione essenziale di stabilità e cooperazione».

Le tensioni con Mosca: visti negati e accuse di “russofobia”
Non sono mancate polemiche. Alla vigilia della conferenza, Varsavia avrebbe annullato i visti a diversi rappresentanti della società civile russa. La portavoce del ministero degli esteri di Mosca, Maria Zakharova, ha denunciato l’esclusione di almeno cinque esperti, accusando la Polonia di «russofobia estrema» e di «incompetenza come Paese ospitante».
Mosca ha partecipato con una delegazione ufficiale, ma ha accusato l’OSCE di essere divenuta «una piattaforma politicizzata al servizio dell’Occidente». Secondo i media russi, anche alcuni delegati bielorussi e venezuelani non avrebbero ottenuto il visto, sebbene queste affermazioni non siano state confermate da fonti indipendenti.
Varsavia ha difeso la sua posizione spiegando che i rifiuti sono legati a motivi di sicurezza e al rischio di “propaganda pro-bellica”. Numerosi Stati membri hanno espresso sostegno alla linea polacca, ricordando che la partecipazione alla conferenza non può essere strumentalizzata per legittimare l’aggressione contro Kiev.
Mezzo secolo dopo Helsinki, tra idealismo e paralisi istituzionale
La giornata inaugurale ha messo in luce l’essenza e le contraddizioni dell’OSCE: una piattaforma unica dove governi e società civile dialogano apertamente, ma anche un organismo sempre più paralizzato dalle divisioni interne.
Il 50° anniversario degli Accordi di Helsinki ha offerto l’occasione per riflettere sulle origini dell’organizzazione, nata per ridurre le tensioni della guerra fredda attraverso il riconoscimento reciproco dei confini e l’impegno sui diritti fondamentali. Oggi quegli stessi principi appaiono minacciati dalla guerra in Ucraina, dalla polarizzazione politica e dalle nuove tecnologie di controllo dell’informazione.
L’ampia partecipazione testimonia la vitalità del processo, ma l’impossibilità di convocare il tradizionale HDIM* per mancanza di consenso tra gli Stati membri mostra una crisi strutturale. L’Unione europea e molti Paesi occidentali chiedono di rafforzare gli organi indipendenti come l’ODIHR, mentre Russia e i suoi alleati vorrebbero limitarne l’autonomia e ridurre la presenza della società civile.
Nel dibattito sulla disinformazione, infine, si è visto il riflesso del nuovo campo di battaglia: la sicurezza informativa. Se da un lato molti governi chiedono regole più rigide, dall’altro cresce la consapevolezza che la difesa delle democrazie passa dal pluralismo e dalla trasparenza, non dalla censura.
La Finlandia, alla guida della presidenza OSCE, ha scelto di rilanciare un approccio fondato sulla partecipazione giovanile, sull’uguaglianza di genere e sul sostegno alle istituzioni autonome. È una linea di continuità con la tradizione nordica di diplomazia inclusiva, ma anche un segnale politico: la sicurezza europea non può prescindere dai diritti umani.
Eppure, dietro le celebrazioni e i richiami alla cooperazione, resta una domanda inevitabile: in un contesto segnato da fratture geopolitiche e sfiducia reciproca, l’OSCE riuscirà a consolidare la propria importanza o si avvierà lentamente verso la fine del suo mandato storico? Una domanda che riguarda, in ultima analisi, il valore stesso della democrazia, oggi minato tanto dai regimi che ne calpestano apertamente i principi quanto da quelli più “virtuosi” che – per reazione autoimmune – possono metterne in dubbio le fondamenta.
Cosa è l’OSCE
L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) è la più grande istituzione regionale di sicurezza al mondo. Fondata nel 1975 come Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE), conta oggi 57 Stati partecipanti che coprono Europa, Nord America e Asia.
L’OSCE opera attraverso tre dimensioni fondamentali: politico-militare, economico-ambientale e umana. Il suo obiettivo è promuovere la stabilità, la pace e la democrazia tramite il dialogo politico e azioni pratiche sul campo. Le sue istituzioni – tra cui l’ODIHR, l’Alto commissario per le minoranze nazionali e il rappresentante per la libertà dei media – monitorano elezioni, supportano la società civile, contrastano la tratta di esseri umani e favoriscono la prevenzione dei conflitti.
Con 11 partner del Mediterraneo e dell’Asia, l’OSCE rappresenta oggi uno dei pochi spazi rimasti per il confronto tra Est e Ovest. La conferenza di Varsavia ne conferma tanto la necessità quanto la fragilità: tra le commemorazioni per i cinquant’anni dell’Atto di Helsinki, l’Europa riscopre il valore – e il prezzo – della diplomazia dei diritti.
* Human Dimension Implementation Meeting, è il principale appuntamento annuale dell’OSCE dedicato ai diritti umani, alla democrazia e allo Stato di diritto. Dal 2022 l’HDIM non si svolge più perché la Russia ha bloccato il consenso necessario per approvarne la convocazione (nell’OSCE ogni decisione richiede unanimità). Per questo motivo, nel 2025, la Finlandia – presidente di turno – ha promosso la “Warsaw Human Dimension Conference” come evento straordinario sostitutivo, per evitare un quarto anno consecutivo di silenzio istituzionale sulla materia.
Foto: OSCE / Bundesarchiv/ Difesa Online
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