Soldati italiani a Gaza? Calma!
Dopo l’innegabile successo di Trump nel portare a un cessate il fuoco in Medio Oriente, che ci si augura non sia solo temporaneo, si sentono subito offerte di invio di truppe da parte di tanti, forse troppi.
Lasciamo da parte nazioni (come Francia e UK) che hanno assunto posizionamenti sulla crisi mediorientale dettati in gran parte dai propri problemi interni e che in quella regione, nel periodo mandatario, hanno fatto danni (una a nord e una a sud della “linea Sykes-Picot”) di cui ancora si vedono le tragiche conseguenze.
Nazioni i cui contingenti in quell’area non sarebbero certo percepiti come super partes e che forse è meglio si tengano lontane da quella regione (la Francia sta già sperimentando come i suoi soldati non siano più tollerati in gran parte del Nord Africa).
Venendo al caso italiano, purtroppo, spesso la generosità nell’invio di contingenti militari nell’ambito di operazioni multinazionali è servita a bilanciare e tentare di compensare la mancanza di progetti chiari in politica estera.
Le operazioni multinazionali (condotte sotto comando e controllo ONU, NATO o UE) sono, intendiamoci, quelle espressamente previste dal secondo comma dell’articolo 11 della Costituzione, ovvero quel comma che stranamente i pacifisti nostrani di norma dimenticano sempre di citare.
Al momento la situazione è ancora estremamente fluida, Israele si sta ancora ritirando, gli ostaggi stanno ancora marcire nei tunnel, ma il MAECI già ipotizza invio di militari italiani in quella zona.
Non è una novità (si ricordano al riguardo le prese di posizione del ministro della Difesa Martino, seccato per alcune promesse fatte forse a cuor leggero dal ministro degli esteri Ruggiero, durante il secondo governo Berlusconi).
Intendiamoci, chi scrive è un convinto assertore dell’importanza dello strumento militare nel contesto della politica estera e di sicurezza di una nazione.
Ovviamente, in primis deve esserci un contesto politico chiaro in cui siano ben definiti e condivisi (tra tutte le parti politiche) gli interessi nazionali in gioco e i rischi che si accetta di correre.
Speriamo che questo quadro si realizzi, ma i segnali non sembrano incoraggianti, con una opposizione parlamentare che pare tentare di utilizzare la politica estera come campo di guerriglia.

Prima di impegnarsi a inviare truppe sul terreno, dovrebbe essere ben chiaro il mandato internazionale che tali forze avranno e quale nazione/organizzazione internazionale eserciterà il comando sulle forze che rendiamo disponibili. Da ciò dipendono sia credibilità politica sia efficacia militare della missione e la sicurezza stessa dei nostri soldati.
In quest’ottica, ipotizzare una missione ONU potrebbe apparire azzardato. Infatti, politicamente l’ONU è risultato del tutto inefficace nel tentare di gestire sia la crisi mediorientale sia quella ucraina.
Anche senza riportare alla memoria gli insuccessi strepitosi dell’ONU quando ha tentato, soprattutto durante il segretariato generale di Boutous Boutrous Ghali, di confrontarsi con operazioni militari complesse (Somalia e Bosnia), occorre prendere dolorosamente atto che la principale missione ONU nella regione (UNIFIL) non pare godere della fiducia né degli USA di Trump (che ne ha imposto la chiusura il prossimo anno) né di Israele.
Inoltre, non si può non ricordare che difficilmente il Consiglio di Sicurezza (ove sulla questione Israele/Palestina le posizioni tra i membri permanenti sono particolarmente variegate e distanti) potrà partorire Risoluzioni prive di ambiguità per una eventuale forza di monitorizzazione. Ambiguità che, se consentono di conseguire sul momento l’accordo politico, si riflettono, nel tempo, sulla credibilità della missione militare e sulla stessa sicurezza dei suoi partecipanti.
Lasciando da parte le abituali ambizioni presenzialiste di NATO e UE, che già non riescono ad essere credibili nei confronti della ben più vicina crisi russo-ucraina, ove si voglia che la forza di monitorizzazione degli accordi sia politicamente e militarmente credibile, dovrà inevitabilmente essere basata su una coalizione di volenterosi a guida USA, con una larga presenza di paesi forti della regione che supportano l’accordo (Egitto, e monarchie sunnite) e che non siano percepiti come eccessivamente ostili da parte di Israele. Forza che per essere efficace, magari, dovrà operare anche senza l’esplicito mandato di una Risoluzione ONU.

Offrire contingenti militari senza che ne siano stati prima definiti chiaramente missione, compiti, dipendenze, limiti all’uso della forza, potrebbe consentire di far bella figura nelle interviste ai TG, ma non essere pagante alla lunga.
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