Sud-est asiatico in fiamme: il conflitto tra Thailandia e Cambogia esplode nel silenzio globale?
Le guerre che occupano pagine e spazi social non toccano le regioni globalmente meno interessanti; è il caso dell’area confinaria tra Thailandia e Cambogia, in altri e lontani tempi al centro degli interessi, dove ora solo il rimpallo delle responsabilità degli attriti, che comunque hanno visto soccombere almeno 10 civili, ha risvegliato interessi per un’area interessata in genere sì al turismo, ma comunque al centro di contese decennali.
Cambogia e la Thailandia condividono un confine di non meno di 800 chilometri, in taluni punti oggetto di controversie imperversanti da oltre un secolo ed evidenziate da mappature risalenti al secolo scorso ed opera di cartografi francesi, espressione di una potenza coloniale presente fino al 1953. Le dispute non si limitano a questo, ma interessano anche aspetti culturali differenti, ricollegabili a momenti storici in cui i due paesi erano governati da imperi antagonisti.
Al momento, gli scambi di artiglieria lungo il confine costituiscono un’escalation per ostilità mai sopite, incentrate sia su dispute confinarie sia su motivazioni politico-sociali di ordine interno; la controversia trova le sue motivazioni nelle delimitazioni coloniali, risalenti ai tempi dell’Indocina cinese. Di fatto il confine è rimasto mal delimitato, soprattutto nelle zone montuose che separano le province thailandesi di Surin e Sisaket da quelle cambogiane di Oddar Meanchey e Preah Vihear, una situazione che è andata ad aggiungersi alla collocazione di diversi templi khmer, che si trovano in aree rivendicate sia da ambedue i paesi.
L’esplosione di una mina antiuomo, che ha ferito gravemente un soldato thailandese, sembra aver nuovamente innescato rivalità latenti, visto che secondo Bangkok si tratterebbe di mine collocate recentemente; un incidente che ha indotto il governo thailandese a chiudere diversi valichi, ad espellere l’ambasciatore cambogiano ed a richiamare l’ambasciatore da Phnom Penh. La Cambogia non ha fatto altro che reagire in modo speculare. Lo scontro armato è arrivato poco dopo quando, secondo i thailandesi, le forze cambogiane hanno aperto il fuoco in un’area sorvegliata da anni da contingenti militari di entrambi i Paesi. La Cambogia ha dunque accusato la Thailandia di aver condotto un attacco armato, inducendola ad invocare il diritto all’autodifesa.
In realtà le tensioni sono aumentate, anche alla luce di contingenti fattori politici interni. Il premier cambogiano Hun Manet ha anticipato l’entrata in vigore, nel 2026, del servizio militare obbligatorio per contrastare l’aggravamento della situazione determinata dalla Thailandia, bloccando anche l’importazione di carburanti.
Inevitabile l’accrescimento dell’instabilità nel Sud-est asiatico, dove si moltiplicano così i punti di crisi. L’ASEAN, pur mantenendo una posizione prudente, pressa perché venga attivata una mediazione diplomatica, mentre retorica e ritorsioni sembrano far dirigere l’epilogo verso altre soluzioni. I contrasti alimentano nazionalismi e difficoltà interne specie in ambito economico, specie in Cambogia, caratterizzata da un governo ancora troppo debole ed influenzabile, e dove il primo ministro Hun Manet ha chiesto l’intervento del Consiglio di Sicurezza delle NU. La Cambogia nel frattempo ha chiesto alla Corte Internazionale di Giustizia di stabilire l’appartenenza territoriale di quattro aree di confine, iniziativa a cui la Thailandia ha risposto non riconoscendo la giurisdizione della Corte.
Gli scontri sono avvenuti nell’area chiamata dai thailandesi triangolo di smeraldo, ovvero il punto di incontro di Thailandia, Cambogia e Laos, ma non è stato possibile accertare chi per primo abbia effettivamente aperto il fuoco; di fatto, questa è la crisi più grave degli ultimi 15 anni, dove F-16 thailandesi hanno effettuato attacchi aerei su obiettivi militari in Cambogia; altre fonti hanno affermato che la Cambogia ha utilizzato “diverse armi”, inclusi lanciarazzi.
Il rimbalzo delle responsabilità ha di fatto cominciato ad indurre all’evacuazione verso luoghi più sicuri. La Cina ha esortato i propri concittadini in Cambogia ad evitare le zone vicine al confine thailandese, mentre in Thailandia è stato vietato di recarsi a Poipet, città cambogiana che si sostenta con il gioco d’azzardo degli otto casinò frequentati in larga parte da cittadini thailandesi.
La Cambogia di contro ha vietato i film thailandesi, ha chiuso parte delle frontiere staccandosi dalle forniture web ed energetiche provenienti dalla Thailandia, dopo le minacce unilaterali di sospensione da parte di Bangkok.
Il quadro è stato ulteriormente aggravato dalla diffusione dell’audio di una conversazione avvenuta fra la premier thailandese Paetongtarn Shinawatra e Hun Sen, l’ex primo ministro della Cambogia e padre dell’attuale capo del governo Hun Manet, rappresentanti di famiglie paradossalmente in rapporti molto stretti. Nella chiamata la 38enne Paetongtarn sembra mostrare un atteggiamento deferente nei confronti del 72enne Hun appellato come “zio”, dopo aver screditato l’operato di un ufficiale thailandese. Dopo l’ammissione di Hun Sen di aver condiviso l’audio, Paetongtarn è stata oggetto di feroci critiche interne che hanno stigmatizzato la sua carenza di potere e credibilità. Il Bhumjaithai, secondo partito che sostiene il governo di Paetongtarn, ha abbandonato la coalizione mentre la suprema corte thailandese ha sospeso Paetongtarn.
Inevitabile a queste condizioni l’impossibilità di stabilire chi, effettivamente, abbia sparato davvero il primo colpo e chi dunque abbia legittimamente reagito.
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