Sudan la guerra dell’oro: Chi ci guadagna dal caos?
Dietro le colonne di fumo che avvolgono El Fasher e il Darfur si muove una rete di interessi globali, in cui spicca un nome che nessuno osa pronunciare troppo forte: Emirati Arabi Uniti. Abu Dhabi, potenza del Golfo con ambizioni da impero commerciale e militare, è oggi al centro delle accuse di complicità nel conflitto più sanguinoso dell’Africa contemporanea.
Le ultime settimane hanno visto massacri di civili, ospedali bombardati, villaggi rasi al suolo. Le Nazioni Unite parlano apertamente di crimini di guerra, ma la guerra in Sudan non è solo una questione locale. È una battaglia per l’oro, il potere e il controllo del Mar Rosso — e per questo è diventata una partita geopolitica di dimensioni globali.
Secondo inchieste e rapporti internazionali, gli Emirati avrebbero fornito sostegno economico e logistico alle Forze di Supporto Rapido (RSF), le milizie accusate delle peggiori atrocità. L’obiettivo? Garantirsi accesso privilegiato alle miniere d’oro sudanesi e consolidare una presenza strategica lungo il Mar Rosso, la nuova frontiera commerciale che collega Africa, Asia e Europa. In cambio, Abu Dhabi otterrebbe influenza e controllo su rotte marittime vitali e su future infrastrutture portuali.
Dietro la facciata di alleato dell’Occidente e partner di pace, gli Emirati portano avanti una politica estera “sub-imperiale”: interventi indiretti, reti d’investimento, appoggio a milizie e leader locali che possano garantire vantaggi economici e geopolitici. Una strategia silenziosa ma efficace, che trasforma il caos africano in un’opportunità di potere.
La Corte Internazionale di Giustizia: il ricorso del Sudan e l’ordinanza del 5 maggio 2025
Il Sudan aveva portato ufficialmente la questione davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, accusando gli Emirati di violazioni connesse al Genocide Convention e chiedendo misure provvisorie contro la possibile complicità degli UAE nelle violenze contro il popolo Masalit in Darfur. Tuttavia, con un’ordinanza del 5 maggio 2025 la Corte ha respinto la richiesta di misure provvisorie e ha deciso di rimuovere il caso dall’elenco generale, ritenendo che la riserva formulata dagli Emirati all’art. IX della Convenzione (sulla giurisdizione della Corte) escluda, a livello prima facie, la giurisdizione della Corte nel merito del ricorso presentato dal Sudan. L’ordine sottolinea comunque la profonda preoccupazione della Corte per la tragedia umana in corso e ricorda che, anche se la Corte non è intervenuta sul merito, gli obblighi sostanziali degli Stati ai sensi della Convenzione restano in vigore. Per i dettagli tecnici ed estratti ufficiali dell’ordinanza, si rimanda al documento della Corte.
I fatti recenti
- Ondata di massacri a El Fasher (ottobre 2025): le Nazioni Unite e organizzazioni umanitarie documentano uccisioni di massa, esecuzioni sommarie e attacchi a strutture civili (ospedali, ripari per sfollati). L’emergenza ha spinto riunioni d’urgenza al Consiglio di Sicurezza e condanne internazionali. Testimonianze e rapporti sul campo indicano un coinvolgimento diretto di forze paramilitari (RSF) nelle operazioni che hanno causato centinaia di morti e migliaia di sfollati.
- Giustizia internazionale e ricorsi: nel maggio 2025 il Sudan aveva portato il caso alla Corte Internazionale di Giustizia accusando gli UAE di complicità nel sostenere le forze paramilitari; tuttavia l’ICJ ha dichiarato di non avere giurisdizione provvisoria sul ricorso, lasciando aperti dubbi legali e politici ma togliendo per ora la strada giudiziaria diretta contro Abu Dhabi.
- Condanna e allarme umanitario: le agenzie ONU e le ONG internazionali hanno ripetutamente denunciato che il conflitto e il sostegno esterno aggravano l’escalation di crimini di guerra e possibili crimini contro l’umanità; rapporti recenti chiedono misure immediate per fermare i flussi di armi e i canali di finanziamento.
Perché gli Emirati puntano sul Sudan?
- Accesso a risorse e filiere economiche.
Il Darfur e altre regioni contengono miniere d’oro e giacimenti che, anche su scala informale e illecita, generano profitti significativi. Per Abu Dhabi, collegare attori locali (anche non statali) a circuiti commerciali garantisce accesso a materie prime e opportunità di investimento, in particolare tramite hub commerciali come Dubai. Questa integrazione economica — legale e grigia — è una leva di influenza che sostituisce, spesso, i grandi contratti statali tradizionali. - Posizionamento strategico sul Mar Rosso.
Controllare o avere alleati forti in Sudan dà agli UAE un punto di appoggio sul Mar Rosso — corridoio cruciale per commercio e sicurezza marittima tra Mediterraneo e Oceano Indiano. Basi, porti e infrastrutture nella regione sono parte della strategia emiratina per proiettare potenza in Africa orientale. - Approccio “sub-imperiale” e flessibilità politica.
Abu Dhabi adotta tattiche che privilegiano risultati pragmatici: investimenti infrastrutturali, partenariati con attori locali (a volte paramilitari), e una politica estera che combina cooperazione con potenze occidentali e aperture verso Russia/Cina per massimizzare autonomia strategica. Questo approccio può tradursi in supporti indiretti — economici o logistici — a gruppi con capacità militare sul terreno.
Perché le milizie massacrano i civili?
Il fenomeno dei massacri contro popolazioni civili in Sudan ha cause sovrapposte: politiche, economiche, etniche e militari. Le principali spiegazioni emerse dalle indagini e dai rapporti internazionali sono:
- Controllo del territorio e delle risorse: eliminare o terrorizzare le popolazioni civili permette alle milizie di consolidare il controllo di miniere, rotte commerciali e città chiave senza opposizione locale. L’instaurazione di «zone di esclusione» facilita lo sfruttamento di risorse come l’oro.
- Pulizia etnica e vendette identitarie: in molte aree (Darfur, alcune zone del Nord e del Kordofan) il conflitto ha componenti etniche e locali non risolte. I raid mirati contro gruppi etnici sono stati ripetutamente segnalati dalle missioni ONU come possibili atti di pulizia etnica.
- Tattica di guerra: terrorizzare e sfollare la popolazione civile per rendere inertii insediamenti urbani nemici o per costringere popolazioni a spostarsi e abbandonare risorse e terreni strategici. Eseguire attacchi contro ospedali o maternità è una strategia deliberata per distruggere il tessuto sociale e di sostegno.
- Mancanza di responsabilità e impunità: dove gli autori di violenze sanno che avranno poche conseguenze (perché protetti da patroni esterni o da reti locali), aumentano gli abusi. L’assenza di un meccanismo internazionale efficace, la difficoltà di accesso per le indagini e le risorse che incentivano la conquista di territori aggravano la spirale.
- Economia della violenza: traffici illeciti (oro, armi, esseri umani) forniscono incentivi economici diretti a mantenere lo stato di guerra: chi controlla il territorio ricava profitti che finanziano ulteriori operazioni militari e clientelismi.
L’articolo Sudan la guerra dell’oro: Chi ci guadagna dal caos? proviene da Difesa Online.
Dietro le colonne di fumo che avvolgono El Fasher e il Darfur si muove una rete di interessi globali, in cui spicca un nome che nessuno osa pronunciare troppo forte: Emirati Arabi Uniti. Abu Dhabi, potenza del Golfo con ambizioni…
L’articolo Sudan la guerra dell’oro: Chi ci guadagna dal caos? proviene da Difesa Online.
Per approfondimenti consulta la fonte
Go to Source
