Vincent P. O’Hara: Lotta per il mare di mezzo – La guerra delle grandi Marine nel teatro del Mediterraneo 1940-1945
Vincent P. O’Hara
Ed. Ufficio Storico della Marina Militare, Roma 2021
pagg. 398
L’autore, ricercatore indipendente e autore di diversi testi di storia navale, in questo suo saggio “presenta una storia completa dei cinque anni di guerra navale nel Mediterraneo e nel Mar Rosso, ponendo in evidenza le cinquantacinque azioni di superficie nelle quali furono impegnate unità di un certo livello,” e descrivendo “nei particolari come cinque grandi Marine applicarono il potere marittimo nel Mediterraneo dal 1940 al 1945, con un’attenzione particolare alle azioni navali combattute dalle unità di superficie.” Infatti, nonostante il potere marittimo non si sia mai identificato nelle sole navi da guerra, queste “continuarono ad essere i principali strumenti del potere marittimo durante tutta la Seconda guerra mondiale.” D’altronde, il controllo del Mediterraneo era così importante sia per Gran Bretagna e Francia, perché era la via diretta che portava ai loro possedimenti in Asia e in Africa mentre, sia per i paesi affacciati sul Mediterraneo, tra cui l’Italia, perché essi “dipendevano assolutamente dal traffico marittimo attraverso il Mare di Mezzo per sostenere le proprie economie.” Pertanto, “una grande preoccupazione delle democrazie occidentali era l’impatto che una guerra avrebbe avuto sui loro interessi nel Mediterraneo.”
Mussolini, il 10 giugno 1940, dichiarò guerra alla Gran Bretagna e alla Francia, con la convinzione, visto che Roma era comunque impreparata ad una guerra prolungata, che la pace sarebbe stata imminente. “Tra tutte le forze armate, la Regia Marina era quella meglio equipaggiata e maggiormente preparata a sostenere almeno un conflitto limitato,” anche se c’era il problema della poca cooperazione tra Aeronautica e Marina. La Marina, infatti, “andò in guerra senza alcun controllo sulla sua aviazione, ad eccezione degli aerei da ricognizione in dotazione alle navi.”
E così si arrivò alla battaglia di Matapan, “la più grande sconfitta dell’Italia sul mare,” che, come scrisse l’ammiraglio Iachino, “rivelò lo stato di inferiorità in cui ci trovavamo, sia per la mancanza di un’efficace cooperazione aeronavale, sia per l’arretratezza nella tecnica del combattimento notturno.” Fu allora che la Marina avviò “un serio sforzo per dotare le sua navi di radar.”
Imbarazzante risultava anche la situazione dei carburanti, sia per la Marina che per l’Aeronautica. Gli impegni, comunque, per la Marina, con il secondo anno di guerra, si intensificarono. Tra questi ci fu la “guerra dei convogli”, tra le forze all’Asse – principalmente unità aeronavali italiane – e quelle britanniche, finalizzata, per le prime, a garantire l’approvvigionamento per l’Africa settentrionale, per le seconde a garantire i rifornimenti a Malta.
Con l’armistizio “l’essenza della Marina rimaneva intatta, nonostante la mancanza di una direzione nazionale” ma “gli Alleati continuavano a diffidare dell’ex nemico.” Hitler decise di “mantenere il controllo sull’Italia Meridionale e sull’Egeo”, decisione che implicò il fatto che il Reich diventasse una potenza mediterranea. E così, nella campagna che si sviluppò nel ‘44, “i tedeschi possedevano la superiorità aerea e gli Alleati quella navale, ma nessuna delle parti predominava completamente.” Comunque, nonostante le sue mancanze, la Regia Marina – che, a differenza delle altre Marine dell’Asse, sopravvisse come una forza effettiva, tant’è che dopo 39 mesi di guerra possedeva ancora una flotta importante – “nel complesso, assolse i compiti che le erano stati assegnati, e fu una missione riuscita, se si considerano la carenza di carburante, o la mancanza di una componente aerea organica, e il calibro degli avversari con cui ebbe a confrontarsi.”
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