Carlo De Benedetti: “La guerra tra Stati Uniti e Cina è inevitabile. L’umanità sopravvivrà, ma con minori libertà”
In un momento storico segnato da incertezze globali, guerre ibride e nuovi equilibri di potenza, ascoltare la voce di chi ha attraversato, da protagonista, oltre mezzo secolo di storia economica e politica italiana non è un esercizio di memoria ma un atto di lucidità.
Carlo De Benedetti – imprenditore, editore e figura centrale del dibattito civile e industriale del nostro paese – non ha mai rinunciato a dire ciò che pensa, anche quando le sue analisi hanno anticipato scenari poi divenuti realtà. Tra questi, oggi, la prospettiva di un’inevitabile contrapposizione tra Stati Uniti e Cina, da lui più volte evocata come passaggio storico destinato a ridefinire il mondo.
Andando oltre le etichette politiche e i giudizi di comodo, abbiamo incontrato uno dei maggiori protagonisti dell’Italia del Novecento e del nuovo millennio per comprendere come legga oggi il rapporto tra guerra e libertà, tra Europa e sovranità, tra progresso tecnologico e destino dell’uomo.
Lei è nato poco prima della Seconda guerra mondiale. Oggi siamo tecnicamente agli esordi di una terza guerra mondiale o già nel pieno di essa? Qual è la sua opinione e quali ricordi conserva della sua gioventù?
Ho vissuto la coda della Seconda guerra mondiale. Essendo di famiglia ebrea, quando dopo l’8 settembre 1943 sono arrivati i tedeschi in Italia siamo scappati fortunosamente in Svizzera, dove ci siamo internati per due anni. Quando siamo tornati abbiamo trovato solo macerie.
I paragoni con oggi non sono possibili, perché allora era chiaro chi combatteva chi.
Era chiaro che c’erano gli alleati inglesi e americani da una parte e i nazisti e i fascisti dall’altra.
E poi c’erano i comunisti, che però in quel caso erano alleati degli alleati.
Era chiaro, almeno per le forze in campo, chi combatteva contro chi.
Non era chiaro come sarebbe finita, nel senso che si capiva che Hitler avrebbe perso, ma non si sapeva che cosa sarebbe diventata la Germania, che cosa sarebbe diventata l’Italia, se Tito si sarebbe fermato a Trieste o a Torino.
Insomma, non era chiaro il dopoguerra, ma la guerra in sé lo era, mentre oggi viviamo in una situazione completamente diversa, molto più confusa e frammentata.
C’è un multilateralismo della guerra. Trump dice che ha risolto sette guerre. È una stupidaggine. Però sta di fatto che di guerre in giro per il mondo ce ne sono tante.
Questo è uno scenario nuovo, perché ci sono sempre state guerre locali, ma oggi i grandi prendono sempre più parte indirettamente: sponsorizzano con soldi, armi, consiglieri militari… Prenda il Sudan: guerre tribali che diventano guerre di conquista del territorio, e quei popoli illusi di guadagnare qualcosa finiscono schiavizzati da chi li ha aiutati.
C’è molta ignoranza nel campo militare e soprattutto nelle prospettive. Si guarda al presente – come la guerra in Ucraina – che dura ormai da quattro anni, una guerra mondiale di fatto, perché gli armamenti usati sono americani, inglesi e russi. È una guerra locale, ma sostenuta finanziariamente, militarmente e con l’intelligence dai grandi. E lì è difficile capire: ci sono giorni in cui muoiono mille uomini e non si capisce perché. Per l’ambizione di Putin? Per la sua paura? La paura che l’Europa si allarghi e contagi i Paesi dell’Est? Oppure il desiderio di ricostruire la “Grande Madre Russia”, concetto rimasto nella mente russa?
Ha detto “Europa”, non “NATO”. Quindi l’Europa, di per sé, è un pericolo anche per loro?
Assolutamente sì. Non è tanto una questione militare, quanto un timore profondo del Cremlino.
Non si tratta di una guerra in senso stretto, ma di un conflitto culturale e sociale, che riguarda il modo stesso di vivere la libertà. Un regime dittatoriale – e non c’è dubbio che la Russia lo sia – diffida dei modelli aperti, perché vede nella libertà una minaccia alla propria sopravvivenza.
Può sembrare paradossale, ma il rifiuto della libertà può diventare una potente spinta alla guerra. È esattamente ciò che accade oggi con la Russia.
Certo, possono esistere anche fattori economici o energetici – sui quali non mi considero esperto – ma alla base del conflitto c’è la paura del cambiamento e della libertà altrui.
La Russia oggi è un paese che vive di energia, più simile all’Arabia Saudita che alla Germania, ma con capacità militari vecchie di mentalità. Mi colpì, ovviamente negativamente, vedere colonne di carri armati all’invasione dell’Ucraina: i carri armati appartengono alle guerre del secolo scorso. Oggi la guerra è combattuta coi droni, che moltiplicano gli ordigni e abbassano i costi: un drone può costare diecimila dollari, un missile un milione.
Gli attori sono cambiati: la Turchia, da grande acquirente, è diventata esportatrice; l’Iran esporta; e gli stessi ucraini sono diventati, in appena due anni, maestri nella costruzione di droni.
Se mi chiede se siamo alla Terza guerra mondiale, rispondo che non credo. Ci sono guerre locali con intervento indiretto delle grandi potenze.
Sullo sfondo, però, maturerà una grande guerra tra Stati Uniti e Cina: quello sarà il vero confronto tra potenze. La Russia non è più una grande potenza.
Quindi non è una questione di “se” ma di “quando”, tra Cina e Stati Uniti?
Assolutamente. La storia lo insegna: quando Sparta vide crescere Atene, temette che qualcuno potesse mettere in discussione la sua supremazia e diede inizio alla guerra del Peloponneso. È normale.
Questo fa pensare che, prima o poi, tra una potenza declinante come gli Stati Uniti e una esplosivamente emergente come la Cina, scoppierà la guerra. È solo questione di tempo.
La guerra in Grecia finì per distruggere entrambe le potenze…
Esatto, tutte le guerre di questo tipo hanno quella conclusione. Perché anche supponendo che a vincere fossero gli Stati Uniti, cosa potrebbero fare della Cina? Non si può certo immaginare un nuovo “Piano Marshall”.
Io credo che, tra le due, la Cina sia destinata ad avere il vantaggio. Non conosco nel dettaglio gli armamenti, ma per disciplina, numero e anche per tecnologia, fra qualche anno, Pechino potrà affrontare gli USA e perfino vincere.
Gli investimenti militari sono enormi da entrambe le parti… Intanto la Russia, con la guerra in Ucraina, si è di fatto consegnata alla Cina.
Non c’è dubbio. La Russia è uno Stato petrolifero e la sua prima necessità è vendere energia. L’Europa ha ridotto – non azzerato, ma ridotto – gli acquisti di petrolio e gas russi, mentre la Cina li ha aumentati enormemente. La Cina senza il petrolio russo non va avanti, e la Russia senza gli acquisti della Cina fallisce.
Quando Trump dice che vuole “sganciare” la Cina e incontrare Xi per convincerlo a porre fine alla guerra in Ucraina, dimostra tutta la sua idiozia e la sua mentalità da immobiliarista.
Il paese che ha guadagnato di più da quella guerra è proprio la Cina.
Ma certo! La Cina si è messa la Russia sotto di sé. Era impensabile cinquant’anni fa, eppure oggi è così.
Il miliardo di persone che manca agli Stati Uniti può essere compensato da un’amicizia con un paese come l’India?
No. C’è un gap culturale, non numerico. L’India è un paese profondamente nazionalista, dove esiste solo una finta democrazia, perché Modi – a suo modo – è un dittatore. Un dittatore che, finora, ha fatto anche del bene al paese e che probabilmente è insostituibile. Una nazione con oltre un miliardo di abitanti difficilmente può vivere con una democrazia di tipo occidentale.
E poi l’India è un nemico storico e mortale della Cina. Anche se Modi ha partecipato al vertice dei cosiddetti Paesi “non allineati” convocato da Pechino, non è un amico della Cina. Pur mantenendo le distanze, ha però avuto il coraggio di sfidare gli Stati Uniti apertamente.
Guardando alle guerre future?
Penso che la quantità di uomini conterà sempre meno.
La guerra che verrà – quando verrà – terrà conto soprattutto delle tecnologie disponibili.
Le battaglie combattute con masse di soldati sul campo, sono ormai da libri di storia, non torneranno più.
Oggi la tecnologia che invade la nostra vita civile sarà sempre più determinante anche nelle sfide militari: dai cyber-attacchi alla missilistica, fino alla guerra nello spazio. La prossima guerra, infatti, non si combatterà tanto sulla Terra, quanto nello spazio.
“Divide et impera”, insegnavano un tempo gli abitanti del Continente. Gli avversari stanno riuscendo a rendere l’Europa fragile e divisa...
Non penso a influenze esterne, sono sufficienti le dissintonie interne. La Germania parlerà sempre tedesco prima che europeo, e così la Francia. La costruzione europea è fragile.
Sarebbe deterrente, se non “rivoluzionaria”, un’Unione politica europea.
Lo sarebbe. Ma l’unione non arriverà naturalmente. Ognuno cercherà il proprio accordicchio con l’aggressore di turno.
Prendiamo l’esempio dell’Italia, che non conta nulla sul piano internazionale: il nostro presidente del consiglio, dovendo scegliere tra Trump e l’Europa, ha scelto Trump. C’è chi lo fa apertamente, come Orbán, e chi in modo più subdolo e vigliacchetto, come Meloni. E non sono gli Stati Uniti che cercano l’Italia… è l’Italia che cerca loro, perché non vuole davvero l’Europa e pensa di fare da “pontiere”.
Si immagini se la Germania e la Francia fanno fare da pontiere all’Italia! Una roba da Garbatella, pura ignoranza.
Abbiamo appenaparlato di Cina, Stati Uniti, Russia e India. Ma ha senso, oggi, un singolo paese europeo da solo? L’unica possibilità per contare davvero è un’Europa unita?
Ci sono molte cose, nella vita degli uomini, che non hanno senso eppure accadono.
Mi dica lei che senso ha avuto, per la Russia, sacrificare almeno un milione di uomini per conquistare – e non ci è ancora riuscita – il Donetsk.
Nessun senso. Se non in funzione, come abbiamo detto prima, di altri pensieri, di motivazioni più profonde e non dichiarate. Se l’obiettivo fosse davvero solo il Donetsk, sarebbe un’idiozia di proporzioni galattiche.
È ottimista o pessimista sul futuro?
L’umanità ha un futuro. Non siamo alla fine dell’uomo e supereremo anche le prossime guerre, comprese quelle spaziali. Ma bisognerà vedere con quanti gradi di libertà sopravviveremo.
Ho vissuto il momento in cui a mio padre fu tolta la libertà. Penso che la libertà sia il sogno insanabile di ogni uomo saggio. Il futuro va misurato questi in termini… e su questo sono pessimista. I gradi di libertà saranno minori, perché governare Paesi immensi come Russia, Cina o India porta naturalmente al controllo. Non nascono nuove democrazie, ma nuove “democrature”, distorsioni in cui la vittima è la libertà.
Per me il futuro non è un problema – vista l’età che ho – ma per i miei figli, i miei nipoti e bisnipoti sì: dovranno chiedersi quanta libertà sono disposti a perdere.
La libertà di cui godiamo oggi, la libertà che ho io nel darle questa intervista e la libertà che lei ha nel chiedermela, è un bene che io ho visto scomparire. Ricordo il capo fabbricato, la polizia segreta, mio padre con una coperta sulla testa per ascoltare Radio Londra. Questa è la cosa che mi fa più paura.
Non credo si creeranno più democrazie. Stiamo creando, in tutte le parti del mondo, nuovi regimi e nuove “democrature”: dall’Argentina – per non parlare del Venezuela – fino agli stessi Stati Uniti. E, nella sua irrilevanza mondiale, anche l’Italia si sta avviando versouna democratura, debolissima.
L’Italia degli ultimi ottant’anni?
Ho avuto la fortuna immensa di vivere ottant’anni di pace, di libertà, di crescita economica e sociale. Ho visto l’Italia trasformarsi da paese agricolo a paese industriale. Se nel 1945 mi avessero detto che l’Italia sarebbe diventata la settima potenza economica mondiale, avrei ridicolizzato chi me lo diceva.
La forza dell’uomo (di cui è inconsapevole) è l’unione e la risoluzione amichevole dei conflitti naturali. Il conflitto tra capitale e lavoro, per esempio, in Italia è stato gestito tutto sommato bene.
Nel complesso, il paese è progredito molto in termini di conquiste di libertà. Oggi si può salire su un carro con persone di qualunque orientamento sessuale e girare per il paese suonando una campana. Personalmente non mi disturba, è solo il segno che tutto è possibile, che si può vivere liberamente.
C’è però gente che sta malissimo e il vero problema sono le disuguaglianze: crescono anno dopo anno. A livello macro il livello dei salari italiani è il più basso d’Europa. E a livello micro un operaio oggi guadagna troppo poco, persino per comprare un’automobile.
Ci sono molti lavoratori poveri: una volta, se lavoravi, non eri povero; oggi puoi lavorare ed esserlo. Questo non può durare.
E l’impatto dell’intelligenza artificiale e della robotica sul lavoro?
Non è qualcosa di futuro: è già qui. Quando Amazon licenzia quindicimila persone, significa che la rivoluzione è iniziata.
La prospettiva? Nuovi fenomeni luddistici?
Dipenderà dai Paesi: la Francia è il paese che ha inventato la rivoluzione, l’Inghilterra è disciplinata, l’Italia… è passata attraverso una dittatura senza fare una rivoluzione, né prima né dopo.
L’articolo Carlo De Benedetti: “La guerra tra Stati Uniti e Cina è inevitabile. L’umanità sopravvivrà, ma con minori libertà” proviene da Difesa Online.
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