Le tre crisi annodate aI conflitto libico
Se dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi nel 2011 e dagli sviluppi successivi della crisi libica l’influenza dell’Italia e dell’Europa nel paese nordafricano non era mai stata messa in discussione, ora è evidente che lo scenario è completamente mutato con una rapida accelerazione maturata negli ultimi mesi.
Italia ed Europa sono finiti ai margini della crisi, in parte subendo l’efficace iniziativa politica e militare di altre potenze e in parte perché “distratti” dai problemi di politica interna e dalla grave situazione provocata dalla diffusione del Covid-19. Oltre allo scontro tra le fazioni libiche, nell’ultimo anno intorno al conflitto si sono annodate e intrecciate almeno tre crisi che coinvolgono protagonisti estermi alla ex colonia italiana.
La prima è tutta intra-araba che vede schierati da una parte Qatar e Turchia e dall’altra Egitto, Emirati Arabi ed Arabia Saudita, con un’escalation molto preoccupante negli ultimi giorni, in particolare tra la Turchia — che grazie al suo appoggio militare al governo legittimo di Tripoli ha permesso la cacciata delle milizie di Haftar dalla Tripolitania dopo un anno di assedio — e l’Egitto, che dopo anni di sostegno e investimenti a favore del generale Khalifa Haftar si trova ora in grande difficoltà in quanto l’uomo su cui aveva puntato tutto è di fatto fuori dai giochi e non più “spendibile” né all’interno della Libia né sul piano internazionale come “uomo forte della Cirenaica”.
La Turchia e le forze del Governo di accordo nazionale (GNA) di Tripoli minacciano di proseguire l’avanzata su Sirte e al-Jufra mentre l’Egitto risponde ammassando truppe e mezzi nella base di Sidi-Barrani, al confine con la Libia, e con le dichiarazioni “bellicose” del Presidente al-Sisi che traccia la sua “red line” a Sirte e Al Jufra.
Né Ankara né Il Cairo si vogliano imbarcare in una lunga guerra in Libia e del resto i turchi hanno ben presente che non possono entrare in Cirenaica perché costringerebbero gli egiziani a reagire militarmente. Al tempo stesso gli egiziani sono consapevoli che un intervento militare in Libia significherebbe un enorme costo finanziario che ora non possono permettersi, alla luce della crisi economica aggravata anche dalla diffusione del coronavirus.
Difficile azzardare previsioni ma è possibile che, grazie anche alla mediazione russa, il GNA riprenderà la città simbolo, Sirte — molto cara alle milizie di Misurata che nel 2016 pagarono con la vita di almeno 700 combattenti la liberazione della città dalle milizie dell’ISIS grazie anche al fondamentale appoggio aereo degli americani.
Al-Jufra, diventata oramai una base aerea russa con ben 14 jet Mig-29 e Sukhou Su-24 presenti (secondo il comando statunitense per l’Africa), rimarrà nelle mani russe e quindi delle forze dell’Esercito nazionale libico (LNA) guidato finora da Haftar.
Un’altra crisi che passa per la Libia è sicuramente quella tra Russia e Stati Uniti, che vede i russi fortemente impegnati sia a livello diplomatico che a militare a sostenere l’LNA ma senza mai perdere i contatti con il governo di Tripoli.
Mosca difficilmente pretenderà che Haftar conservi il suo ruolo ma difenderà l’obiettivo strategico di essere della partita per portare avanti i propri interessi, rafforzando la propria presenza nel Mediterraneo anche con basi militari in Cirenaica, a poche centinaia di chilometri dalla base aerea americana di Sigonella.
La “latitanza” statunitense dalla crisi libica ha favorito il progetto russo e ha permesso a turchi e russi di “spartirsi” di fatto la Libia e anche ora la reazione statunitense che legittima il ruolo turco in Tripolitania non appare molto incisivo nè molto coordinato tra i vari Dipartimenti.
Inizialmente Trump, spinto dagli emiratini e dagli egiziani, aveva di fatto avallato l’offensiva di Haftar tesa a prendere Tripoli, ma la sconfitta dell’LNA in seguito all’intervento turco pone Washington tra due fuochi: da una parte la Turchia, alleato NATO a cui gli USA devono riavvicinarsi dopo una lunga crisi nei rapporti bilaterali, dall’altra emiratini ed egiziani che sono pur sempre alleati di ferro degli americani.
Un equilibrio difficile per l’Amministrazione Trump, pressata dal Pentagono che esprime preoccupazione per la presenza di contractors e cacciabombardieri russi in Cirenaica.
Il terzo motivo di tensioni all’interno della crisi libica è costituito dalle difficili intese tra Russia e Turchia, già emerse nello scenario siriano, caratterizzate dalla volontà reciproca di salvaguardare un rapporto di amicizia e di crescenti relazioni anche militari che cozza però con gli interessi diversi delle due Nazioni.
Erdogan e Putin per ora sembrano i vincitori incontrastati della guerra libica, gli unici realmente in grado di porre fine al conflitto e trovare un accordo che stabilizzi il paese nordafricano.
Ben determinate a non farsi la guerra, né in Siria né in Libia, Russia e punteranno probabilmente a un accordo che “congeli” il conflitto e sancisca le rispettive aree di influenza economica, politica e militare.
Un’intesa basata sulla probabile spartizione di Sirte e al-Jufra permetterebbe di aprire una fase negoziale/politica per stabilizzare la Libia che potrebbe includere l’uscita di scena di un sempre più ingombrante Haftar, sostituendolo forse al tavolo delle trattative con Tripoli con il Presidente del Parlamento di Tobruk, Aghila Saleh, e individuando una road map politica che punti nel medio-lungo periodo all’approvazione della Costituzione e alle elezioni parlamentari e presidenziali.
Foto Anadolu, Libya Observer, CSIS e AP