Covid 19 e arruolamenti: verso un nuovo modello di reclutamento
Da oltre un anno, ormai, la pandemia generata dal virus Covid 19 condiziona pesantemente le nostre vite, le attività sociali, formative, economiche ed amministrative.
Non sorprende pertanto che le sue ricadute negative abbiano interessato anche le Forze Armate, non solo perché i militari costituiscono ovviamente parte integrante della società e sono soggetti agli stessi rischi, ansie e timori degli altri cittadini, ma anche perché le limitazioni e le restrizioni imposte ai fini sanitari rischiano di impattare non poco su funzionalità e capacità operative dello strumento militare.
Reclutamenti, bandi e concorsi hanno subito e stanno tuttora subendo annullamenti, slittamenti e posticipazioni che non potranno che avere pesanti ripercussioni negative sulla vita dei reparti.
Tutte le Forze Armate risultano fortemente colpite dal fenomeno e stentano a riprendere un ritmo regolare negli arruolamenti dei VFP1, tuttora la figura cardine per l’accesso alla vita militare, la fonte unica per la successiva alimentazione delle categorie dei VFP4, dei graduati VSP e dei Sergenti, e blocco di partenza anche per aliquote significative di marescialli ed ufficiali del ruolo speciale.
Marina ed Aeronautica hanno sostanzialmente maturato un anno di arretrato nell’attività concorsuale, con successivi slittamenti e sospensioni. L’Aeronautica ha addirittura revocato del tutto il proprio bando di arruolamenti del 2020. Entrambe puntano comunque ad una graduale ripresa per l’anno 2021, con nuovi e si spera regolari bandi, rispettivamente di 2.200 e 800 VFP1.
La situazione dell’Esercito è sostanzialmente analoga, ma i numeri in gioco e le specificità operative la penalizzano maggiormente. La Forza Armata ha infatti maturato un pesante deficit nelle nuove ammissioni nei propri ranghi, generato sin dall’inizio del 2020 dalle ripetute sospensioni delle attività selettive presso il Centro di Selezione e Reclutamento Nazionale di Foligno e dei Centri dipendenti di Milano, Roma e Palermo, oltre che dalla decisione, assunta per motivi precauzionali e sanitari, di scaglionare al massimo gli accessi ai RAV con successive aliquote ridotte.
Nel momento in cui scriviamo l’Esercito sta terminando solo ora di incorporare i volontari del bando di arruolamento del 2019 (uscito a novembre 2018) di iniziali 8.000 posti, operazione che si sarebbe dovuta concludere esattamente un anno fa. I RAV stanno invece ricevendo i volontari del 4° e ultimo blocco, a sua volta suddiviso in 5 scaglioni.
Stante la persistenza dell’emergenza epidemiologica, anche le attività di selezione inizialmente previste per l’anno 2020 sono state riprogrammate.
A causa del ritardo accumulato il reclutamento del bando 2020, che inizialmente prevedeva 7.000 VFP1 suddivisi negli abituali 4 blocchi, è stato dimezzato e riguarda ora solamente 3.500 volontari dei primi due blocchi. Verranno quindi trattate solo le domande già presentate rispettivamente tra novembre/dicembre 2019 (1° blocco) e febbraio/marzo 2020 (2° blocco) e le cui convocazioni per gli accertamenti psico-fisici ed attitudinali, iniziate lo scorso settembre, non si sono ancora concluse.
Le successive incorporazioni dei vincitori verranno comunicate nel prossimo futuro, verosimilmente verso ad aprile-maggio. Per quanto riguarda invece il 3° e 4° blocco 2020 la procedura concorsuale, come dicevamo, è stata revocata.
Per contrastare la forte riduzione del volume degli arruolamenti che si è venuta così a creare l’Esercito prevede ora di predisporre per l’anno in corso l’assunzione di 8.000 Volontari in ferma prefissata di un anno, ma il relativo bando, che in condizioni normali sarebbe dovuto uscire a novembre-dicembre, non è stato ancora pubblicato, A questo punto non si vede come e quando questi volontari potranno essere selezionati ed incorporati, stante i ritardi già accumulati nelle precedenti attività concorsuali.
Più probabile che per far fronte al significativo calo di militari di truppa a disposizione della Forza Armata si faccia ricorso in modo massiccio allo strumento delle rafferme annuali, attualmente ne sono previste 2 ovviamente a domanda, per i VFP1 già in servizio. Misura forse inevitabile ma che non può che far aumentare il triste fenomeno del precariato militare.
Rimodulazione ai RAV
Per mantenere una pur ridotta capacità di alimentazione dei reparti fronteggiando l’emergenza sanitaria in atto, l’Esercito ha operato sin dall’anno scorso su più fronti, varando provvedimenti contingenti, ben consapevole della necessità di scelte inevitabili, anche se in taluni casi onerose.
Innanzi tutto per diminuire la pressione abitativa all’interno delle strutture e garantire un miglior distanziamento sociale del personale, si è deciso, come accennavamo, di scaglionare al massimo gli incorporamenti, inviando a più riprese ai reggimenti addestrativi aliquote numericamente molto più ridotte di reclute, pari mediamente al solo 25-30% delle normali potenzialità. Contestualmente, per mitigare almeno in parte le conseguenze del provvedimento, ai RAV abitualmente destinati all’incorporazione e formazione di base dei VFP1, ossia il 17° “Acqui”, l’85° “Verona” ed il 235° “Piceno”, si è aggiunto temporaneamente l’80° “Roma”, un reparto di norma deputato alla formazione professionale dei sottufficiali del ruolo sergenti.
Inoltre per minimizzare la presenza ai Reggimenti Addestramento Volontari dei nuovi arruolati, consentendo lo svolgimento delle attività con il massimo rispetto delle normative sanitarie in tema di prevenzione e distanziamento, si è stabilito che le reclute frequentino ora un corso basico ridotto di sole 6 settimane in luogo delle 11 abituali.
La prima di queste è destinata alle necessarie verifiche e controlli sanitari legati alla pandemia, seguita da 4 settimane di corso basico incentrato su inquadramento, addestramento formale, addestramento individuale al combattimento e tiri con l’arma in dotazione. L’ultima settimana è infine dedicata alle valutazioni finali, compresa una breve marcia zavorrata di 10 km con zaino di 10 kg, ed alla cerimonia del giuramento che, in veste sobria e semplificata, conclude il corso.
Nonostante un miglior rapporto numerico tra istruttori ed allievi ed alcuni accorgimenti didattici quali il prolungamento dell’orario giornaliero di istruzione ed il ricorso, quando possibile, alla didattica a distanza, siamo di fronte ad un “prodotto finito” estremamente carente.
Viene pertanto lasciato ai reparti ed enti di impiego, peraltro anch’essi condizionati da norme e restrizioni cogenti, l’ulteriore onere di completare con moduli specifici di 4-5 settimane la formazione di base di soldati che, al loro arrivo, sono provvisti di una veste militare assai precaria e ben poco operativa.
Le difficolta generate dalla pandemia nella corretta alimentazione dei reparti vanno ad aggiungersi ad altre carenze e disfunzioni ormai consolidate, con particolare riferimento al quadro psico-fisico delle reclute, certamente non esaltante.
Già da alcuni anni, infatti, per avere più idonei al termine dell’iter concorsuale e facilitare il raggiungimento dei volumi organici richiesti, la Forza Armata ha abolito i limiti di sbarramento delle prove fisiche, che ora risultano non escludenti ai fini dell’accertamento dell’efficienza fisica.
Il provvedimento è stato assunto per colmare il crescente gap reclutativo a fronte di candidati il cui stile di vita diviene sempre più sedentario e psicologicamente fragile.
La decisione, per certi versi clamorosa, sottolinea ancor più gli aspetti negativi di una figura, quella del volontario in ferma prefissata di un anno, creata ad imitazione del precedente militare di leva in ferma annuale (VFA) ma che di questo sembra possedere più i difetti che i pregi.
Criticabili sono innanzi tutto, a nostro avviso, i criteri stessi di selezione iniziale delle domande, sostanzialmente basati esclusivamente sulla valutazione dei titoli di merito, ossia in pratica dei precedenti scolastici dei candidati, e questo a monte della successiva convocazione agli accertamenti psico-fisici ed attitudinali ed alle blande prove di efficienza fisica.
Tale procedura, che privilegia anche per i volontari di truppa il solo titolo di studio quale fattore discriminante ai fini del successo concorsuale, non consente un’adeguata valutazione delle effettive motivazioni degli aspiranti, né ovviamente delle doti di resistenza fisica e psicologica che il mestiere delle armi dovrebbe richiedere.
Candidati capaci e motivati, ma privi di un diploma quinquennale, non hanno molte possibilità di accedere alle successive fasi di valutazione. Si pensi, ad esempio, che con i criteri attuali di selezione l’alpino paracadutista Medaglio d’Oro al Valor Militare Andrea Adorno oggi non verrebbe nemmeno arruolato!
Con questi presupposti non dovrebbe sorprendere che oltre il 60% dei candidati così prescelti non si presenti nemmeno alle prove presso i centri di selezione e che tra quanti si presentano cresca in modo esponenziale l’aliquota dei non idonei alle visite mediche o ai test di attitudine.
E’ evidente che l’ordine di priorità tra accertamenti psico-fisici e attitudinali e prove di efficienza fisica da un lato, e valutazione dei titoli di merito scolastici dall’altro andrebbe esattamente invertito, dando il giusto rilievo alle motivazioni personali.
Va inoltre evidenziato che le maggiori problematiche negli arruolamenti dell’esercito sono iniziate nel 2016 con l’abolizione della riserva assoluta dei posti nelle carriere iniziali nelle Forze di Polizia a favore dei militari che abbiamo terminato senza demerito una ferma iniziale. Tale norma, che garantiva un afflusso costante di personale di qualità, è stata soppiantata nei bandi di reclutamento più recenti da una generica disposizione che rimanda ad una non precisata riserva di posti messi a concorso dalle Forze di Polizia ad ordinamento civile e militare. Viene così lascata a ciascuna amministrazione interessata l’autorità di stabilire criteri e modalità di ammissione dei candidati.
In altre parole nessuna certezza su tempi, termini e soprattutto volumi organici delle possibili assunzioni.
Un nuovo modello di reclutamento
Diviene pertanto sempre più urgente giungere ad una completa revisione del sistema di reclutamento dei militari di truppa, adottando nuove soluzioni che risultino realmente in grado di fornire una risposta esauriente a tre problematiche stringenti:
- selezionare i candidati più idonei e motivati
- abbassare in prospettiva l’età media dei graduati
- ridurre il precariato militare, fonte esso stesso di scarsa affezione verso la divisa.
Si pensi solo che l’attuale sistema di reclutamento, basato su ferme annuali e quadriennali e sui relativi rinnovi può portare a tempi di stabilizzazione per il servizio permanente che possono giungere a 11 anni.
L’adozione di una ferma iniziale più lunga, diminuendo il numero di arruolamenti annuali, consentirebbe tra l’altro anche un utilizzo più razionale delle strutture formative ed addestrative, e risulterebbe automaticamente più idonea anche a fronteggiare l’eventuale prolungarsi della pandemia o l’insorgere futuro di situazioni sanitare altrettanto critiche.
Il nuovo modello di reclutamento, attualmente allo studio, denominato Volontario in Ferma Iniziale Triennale – VFI-T, prevede una ferma iniziale di 3 anni, il prolungamento della stessa per ulteriori tre anni tramite un concorso di ammissione per titoli ed esami ed il successivo passaggio “automatico” nel servizio permanente.
Se accompagnato dal ripristino della riserva assoluta di posti nelle carriere iniziali dei corpi di polizia, tale riforma, che l’Esercito spera di poter introdurre nel più breve tempo possibile, potrebbe rappresentare una soluzione razionale e funzionale ai problemi ed alle difficoltà emerse nei reclutamenti del personale di truppa.
Foto Esercito Italiano e Alberto Scarpitta