La “guerra dei poveri” per gli F-35 STOVL italiani
Fa sorridere, ma è anche un tantino penoso, vedere come si azzuffano alcuni ex capi di Stato maggiore dell’Aeronautica e della Marina sulla questione degli F-35B a decollo corto e atterraggio verticale. E come invece gli attuali vertici delle due forze armate si scambino (solo) formali attestazioni di stima e comprensione per le rispettive prerogative.
La rissa, perché siamo a questo, fra l’Arma Azzurra e quella “Blu” per le consegne e l’impiego degli esemplari a decollo corto e atterraggio verticale del Joint Strike Fighter, in realtà sta facendo male a entrambe. Le consegne dei -B avvengono col contagocce rispetto alla meno complessa e costosa versione convenzionale -A, effetto di una pianificazione che i ritardi della pandemia sta rendendo ancor più penalizzante per entrambe le forze armate.
Quanto ai ritorni dalla partecipazione al programma, il rallentamento degli ordini impresso tre anni fa e la recentissima inversione di rotta (adesso bisogna accelerarli; vedi il DPP 2020-2022) non fanno certo bene ai piani industriali delle nostre società impegnate nella fornitura di componenti alla capocommessa Lockheed Martin.
L’Aeronautica continua ad avere (e avrà ancora per almeno un altro anno) un solo STOVL, impiegato questa estate per una sortita dimostrativa a Pantelleria; la Marina dovrà aspettare il 2024 per mettere tre, forse quattro F-35B sulla portaerei Cavour, ottenendo una Initial Operational Capability (bastano così pochi aerei?) che in origine era prevista per l’anno scorso, e con più aerei.
Pronto alla consegna da mesi a Cameri c’è il quarto F-35B, destinato alla Marina (arriverà a gennaio); un quinto seguirà alla fine dell’anno prossimo, ed è già un giro di scommesse sul suo destinatario. Lo stillicidio va avanti, senza precedenti nel nostro Paese nella fornitura di materiale militare così importante.
Incomprensioni incolmabili
Gli aviatori e i marinai con le ali non si sono mai capiti, in Italia come altrove. Se Padre Pio, ricevendo moltissimi anni fa una pia delegazione di piloti da turismo parlò di “cieli celesti e cieli terrestri” come di un tutt’uno, qui il cielo è diviso in due. Su questa testata abbiamo raccontato le legnate che si scambiarono la Royal Air Force e la Royal Navy britanniche quando misero insieme la Joint Harrier Force. Finì che lo scettro se lo presero gli aviatori azzurri, usando quegli aerei, concepiti per un impiego anfibio, da piste terrestri.
E’ quello che pensa di fare da sempre con i suoi 15 STOVL l’Aeronautica Militare Italiana, che nel nostro isolotto a 58 miglia nautiche da Mazara del Vallo ha messo in piedi una prima prova generale delle loro capacità expeditionary, parsa ai soliti malpensanti niente più che una mossa propagandistica.
Lo storico hangar di Pierluigi Nervi e le due piste (la più lunga di 1.650 metri) hanno visto arrivare dalla Penisola anche tutto il variegato armamentario che occorre per le “spedizioni” oltremare dell’aereo da attacco americano. Attrezzature e personale di supporto che, osservano mordaci gli ammiragli, sulla loro portaerei impegnata infinitamente più lontano invece ci sono stabilmente.
Paladina di un concetto expeditionary tutto terrestre, l’Aeronautica sostiene con forza che con i pochi soldi che i nostri Governi assegnano alla Difesa le linee aerotattiche devono essere prioritariamente, se non esclusivamente, suo appannaggio: che ce ne facciamo di una portaerei e dei suoi aerei se possiamo surrogarla noi? La Marina ca va sans dire, non vuole essere surrogata da nessuno, e fa presente che per i caccia di quinta generazione di tipo STOVL le priorità nelle consegne le è stata assegnata proprio in sede governativa.
Trenta STOVL non risolvono la partita, nemmeno se “joint”
La stessa ripartizione salomonica dei 30 F-35B (15 all’AM e altrettanti alla MM) alla fine non accontenta nessuno: sono pochi per le due navi attrezzate a imbarcarli portaerei (oltre al Cavour c’è anche la LHA Trieste) e sono insufficienti per l’Arma Azzurra, che nel (suo) futuro gruppo Joint vorrebbe poter impiegare anche gli F-35 degli ammiragli. Pare poi impraticabile alternare al comando di questo Gruppo di volo un aviatore e un marinaio come qualcuno ha proposto.
L’incompatibilità di carattere fra le due forze armate riguardo l’impiego di aerei da combattimento è antica, ed è solo la punta di un iceberg appesantito da concezioni antitetiche e persino atteggiamenti “pseudo-razzistici”, come quando si dà dell’“analfabeta aeronautico” a un ammiraglio di squadra che gli AV-8B Harrier II li ha gestiti in guerra. Quando si dice “spirito interforze”….
La Marina, di recente per bocca del suo Capo di Stato Maggiore, Giuseppe “Pino” Cavo Dragone, parla – agendo già da tempo in questi termini – di “Mediterraneo allargato”, di operazioni in scenari ad ampio raggio come il triangolo Golfo Persico-Mar Rosso-Oceano Indiano fino al Golfo di Guinea e al Pacifico occidentale, nel quadro di missioni alleate di contenimento della pressione militare di Pechino nell’Indo-Pacifico. Operazioni di proiezione, spiega il CSM della Marina, che richiedono assetti navali, aerei, anfibi e missilistici (anche per deep strike) all’avanguardia.
L’Aeronautica fa il suo mestiere, la Marina altrettanto. Nelle due fattispecie, si tratta di difendere i cieli nazionali (e anche di altri Paesi NATO) e proiettare la forza necessaria a preservare gli interessi del Paese e di continuare a fare quello che le flotte militari fanno da secoli, cioè oltre alla difesa delle proprie nazioni, portare anche lontano la loro “faccia”. La nostra, è quella di una potenza medio-piccola immersa nel mare, che per restare tale non può rinunciare a essere anche una potenza marittima. Possibilmente media.
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