Secondo informazioni del sito internet di “R.I.D.”, la Marina Militare ha rilasciato nuove informazioni sulle sue future unità da sbarco di prossima costruzione. Poiché il progetto è stato oramai completato, nell’ambito del “Future Amphibious Force” organizzato da Defence IQ, sono emerse le specifiche tecniche delle nuove LPD (Landing Platform Dock):
- il dislocamento delle unità anfibie sarà compreso tra le 14.000 e le 15.000 tonn;
- la lunghezza sarà pari a circa 165 m;
- Utilizzeranno un ponte di volo non continuo, differenziandosi quindi dalle attuali LPD (SAN MARCO, SAN GIORGIO e SAN GIUSTO) che sono invece “tuttoponte”.
Le nuove unità avranno un ponte di volo ubicato a poppa con 2 landing spots per elicotteri da trasporto o convertiplani classe MV-22.
Il “problema anfibio” italiano
La struttura attuale e futura della nostra Squadra Navale pone alcuni problemi in merito alla ottimizzazione delle capacità anfibie.
Appare chiaro che un gruppo di unità anfibie “tutto-ponte” appare superfluo in quanto non si avranno mai realisticamente abbastanza elicotteri per equipaggiarle tutte; ad ogni buon conto l’esistenza di una unità da 40.000 ton. come la LHD Trieste inserisce un elemento nuovo quando per motivi logistici e di manutenzione ordinaria l’unità non sarà disponibile o sarà costretta a sostituire il Cavour.
La composizione “ideale” della squadra (pur nei limiti delle ragionevoli possibilità e necessità dell’Italia) dovrebbe essere basata su due “portaerei leggere” (con significative capacità anfibie “secondarie”) e almeno quattro unità anfibie di tonnellaggio più ridotto.
Un teatro come quello mediterraneo – e un orientamento politico-strategico più assertivo e protagonista – richiederebbero ben più di una “forza di proiezione anfibia” di duemila uomini.
Inoltre, dal punto di vista finanziario, un progetto di “LXD” come quello allo studio della Marina è indubbiamente bello ma anche alquanto costoso.
E’ lapalissiano che gli inquietanti scenari odierni e futuri richiedono e richiederanno alte capacità di autodifesa e una auspicabile “letalità”.
Attualmente si presentano costantemente una serie di opzioni alternative o “integrative” che sarebbero meritevoli di approfondimento.
Si potrebbero ipotizzare tre unità con medesimo disegno dello scafo, strutture, impiantistica ed equipaggiamenti elettronici e di combattimento simili ma con diverse sovrastrutture, una terza modificata con ponte di volo continuo, isola laterale e un bacino accorciato per due sole moto-zattere a favore di un garage più lungo ma servito da un ascensore centrale e utilizzabile in modo flessibile anche come hangar per elicotteri.
Una unità simile alla sud coreana DOKDO, se si vuole, o meglio una NUMA semplificata come quella proposta da Fincantieri negli anni 90, sicuramente meno impegnativa e costosa.
Si potrebbe progettare una “classe unica” dal punto di vista progettuale, di esercizio e di manutenzione, con due varianti “sovrastrutturali”; la singola tutto-ponte dovrà essere in grado di “supplire” il Trieste in sua assenza per lavori.
Le prime navi a ponte di volo continuo utilizzate per l’assalto anfibio con gli elicotteri furono le LPH classe Iwo Jima che, tra l’altro, furono le prime a sperimentare gli atterraggi degli Harrier nella US Navy. Le denominazioni LHA e LHD sono comunque abbastanza confuse. Le prime LHA furono quelle della classe Tarawa che, prime nel loro genere, riassumevano in sé tutte le caratteristiche delle innumerevoli navi anfibie delle generazioni precedenti (LPH incluse). Le Tarawa all’epoca della progettazione non erano state neppure pensate per gli aerei STOV/L: fu una opportunità sfruttata in seguito.
Quando si passò alla classe Wasp l’acronimo fu mutato in LHD: fronte delle Tarawa, queste seconde avevano un bacino di maggiori dimensioni, in grado di ospitare ben due mezzi da sbarco hovercraft LCAC: lo sbarco “classico” per mare era oramai la priorità.
All’epoca le Tarawa avevano già una componente ad ala fissa consistente e svolgevano già le funzioni di mini-portaerei per conto dei Marines statunitensi.
Subito dopo anche le unità anfibie classe Wasp imbarcarono gli Harrier e le differenze piano piano sfumarono.
Le uniche navi che richiamavano la struttura delle vecchie Iwo Jima erano le due prime unità classe America, prive di bacino allagabile.
Quindi, ricapitolando, le tre probabili e future LPD della Marina Militare Italiana dovrebbero portare in combattimento un numero vicino ai 2.000 uomini della “Brigata Anfibia” senza il supporto del Trieste o comunque solo con 3 navi su 4: ciò si potrà fare (escludendo il Trieste) o con 2 LHD light (700-800 uomini) e 1 BDSL (400 uomini) o con 3 LPD da 16.000t (650-700 uomini), considerando che comunque una sarà anche adibita a nave scuola.
Poiché il costo della piattaforma di Fincantieri (853 milioni di euro), anche rimuovendo i costi di R&S già assorbiti, considerando che si dovranno lasciare standard costruttivi e predisposizioni invariate, si potranno ragionevolmente ottenere risparmi minimi. Per ottenere significativi risparmi si dovrà necessariamente rinunciare a parte della suite di guerra elettronica, alleggerire le capacità di comando e controllo, rinunciare al radar Power Shield e sostituire le turbine con dei grossi diesel. Si dovrebbe rilassare gli standard costruttivi, rinunciare alle predisposizioni e magari anche alla possibilità poi di sostituire i grossi diesel con le turbine (scegliendo un riduttore più semplice). A quel punto si otterrà una unità anfibia sicuramente con grandi capacità di carico, anche esageratamente grandi, ma priva delle capacità del Trieste originario. A questo punto forse è necessario e utile dirigersi su qualcosa più semplice e che costi molto meno…
Sembrerebbe essere stata scartata l’ipotesi di realizzare anche solo una gemella della LHD TRIESTE.
L’ipotesi traghetto è improponibile per un motivo abbastanza semplice: i traghetti di oggi sono molto diversi dalla classe Poeti. Ricavare ad esempio un bacino per 2-4 LC-23 non è lo stesso di ricavare un bacino per un LCM da 30t in uno scafo che fra l’altro era particolarmente adatto ritrovandosi già il garage molto basso nello scafo… In un traghetto moderno è difficile vedere come ricavarci un bacino senza dover stravolgere totalmente il progetto.
Le unità classe “Santi” non saranno replicabili: hanno avuto fortuna in Algeria e Qatar (e si spera altrove) perché per quelle Marine possono essere qualcosa ben di più che una semplice anfibia; sono di fatto le loro ammiraglie e anche per la sola capacità anfibia sono comunque per loro decisamente straripanti. E questi successi li hanno ottenuti dopo decenni e con il progetto rivisto e corretto profondamente. Per noi son troppo piccole, e anche solo per operare con LC 23 richiederebbero troppe modifiche senza ridurre la capacità di carico.
In USA, un amphibious ready group è composto da una LHD/LHA, da una Landing Platform Dock LPD e da una o due dock landing ship LSD. In UK, la formazione equivalente era costituita sino all’altro ieri dalla Ocean (LPH) e da Albion e Bulwark (LPD). Ora la Ocean sarà sostituita dalla PoW quando si riterrà necessario. Poi c’è la Francia con le tre Mistral che hanno un ponte di volo più lungo, ma sono fondamentalmente dei grossi traghetti grigi.
Allo stato, è indispensabile stabilire quali sono le missioni anfibie tipo previste dalla nostra Marina Militare e delle risorse disponibili. Sulla base di tutto ciò, fatte le dovute tare e i necessari compromessi, potremmo chiederci come dovrà essere la futura nostra nave anfibia.
Una singola “L P D” potrebbe essere impiegata per colpi di mano ad esempio contro organizzazioni terroristiche, oppure in missioni di recupero di cittadini italiani in aree di crisi, sbarcare un contingente a protezione di infrastrutture nevralgiche o piattaforme offshore o anche in operazioni “umanitarie”.
Immaginare un battaglione da sbarco con i dovuti supporti (tra S.Marco, Lagunari e le altre unità preposte da EI come unità base), potrebbe darci i presupposti su come la nuova “LPD” potrebbe essere; l’unità dovrà imbarcare un certo numero di elicotteri oltre il giusto numero di uomini e mezzi.
Per operazioni più impegnative che richiedessero un vasto numero di elicotteri inclusi magari Mangusta o gli AH249, sarà indispensabile la presenza del Trieste (o del Cavour): le nuove navi dovrebbero concentrarsi nel trasporto di materiale e mezzi terrestri, pur contribuendo con elicotteri da trasporto e assalto aeromobile.
Pertanto, il compromesso migliore dovrà essere quello di una LPD con buone capacità elicotteristiche, equipaggiata per il trasporto di truppe e di mezzi terrestri; per il requisito di 700 uomini è necessaria una stazza di circa 16.000 tonn.: una Lpd classica in stile “S. Antonio” della US NAVY!
La Marina Militare sembra orientata a “pensare in grande”!
Dall’esame visivo di alcune “proposte” di LPD sembrerebbe che si continui a volerle super armate: un lanciarazzi specifico tipo mlrs, per appoggio di fuoco non ci starebbe male oltre ad un paio di 76 come ciws e le solite 12,7 per la difesa ravvicinata.
Lo scopo principale delle navi da sbarco é, e deve essere, quello di “sbarcare” uomini, mezzi e rifornimenti con elicotteri dai ponti di volo e con i mezzi da sbarco dai bacini allagabili.
In merito al tema delle operazioni anfibie nel contesto moderno mi pare circolino una serie di pericolosi equivoci e schematizzazioni:
- Esiste una vasta gamma intermedia di situazioni (più o meno impegnative) in cui può essere necessario sbarcare truppe, realizzare colpi di mano o puntate offensive verso terra, in conflitti convenzionali come in situazioni “ibride” di crisi, oggi le più diffuse;
- Dato per scontato che le operazioni anfibie si fanno dove l’avversario è più debole, anche a costo di allungare il percorso e la fatica alle truppe sbarcate;
- Oggi è sempre più difficile stabilire una distinzione netta tra “coste munite” e “coste non protette”;
- Non esistono quasi più gli sbarramenti fortificati irti di torrette e cannoni o le “masse” motocorazzate che attendono a piè fermo nelle pianure costiere di ributtarti a mare, schierate in poche zone “munite”;
- I moderni sistemi missilistici (e UAV) costituiscono la vera minaccia, insieme a truppe mobili (o formazioni guerrigliere) armate di sistemi leggeri ma potenti come missili anticarro e antiaerei, mitragliere pesanti, lanciarazzi multipli, ecc;
- In un contesto mediterraneo, bisogna entrare nell’ordine di idee che qualunque costa potrà essere più o meno ostile senza preavviso: con missili antinave mobili su ruote e con portate che arrivano anche a 300 km. Una batteria antinave che oggi si trova a Tripoli, in serata può essere spostata a Misurata e all’alba a Sirte;
- Una moderna batteria da 300 km di portata può restare a Tripoli e colpire navi che si avvicinano alla costa verso Sirte. E la vicenda della Hanit o certi episodi del conflitto nello Yemen dimostrano che tali minacce sono portate ormai anche da milizie (relativamente) “povere”, non statali in scenari di crisi “out of war”;
- In un contesto mediterraneo (anche “allargato”) nella stessa, “normale” routine di esercizio del potere navale (pattugliamenti, scorte, sorveglianza e interdizione, ecc.) le navi non possono evitare di passare a distanza pericolosa da coste più o meno ostili. Se passa il concetto che in caso di conflitto (o di crisi) non possiamo tenere navi a “meno di 50 o 100 miglia dalla costa” (ovvero da qualunque costa che non siano le nostre o dei nostri alleati) un terzo buono del Mediterraneo diventerebbe off limits indipendentemente dal fatto che vogliamo realizzare o meno uno sbarco da qualche parte. E questo è semplicemente inaccettabile.
L’idea di realizzare solo “colpi di mano” aeromobili da distanze elevate si scontra con gli alti costi e l’elevata vulnerabilità degli elicotteri. Oggi esiste una minaccia missilistica antiaerea altrettanto pericolosa, diffusa, crescente e di ampio raggio quanto quella antinave. Se si vuol sbarcare contingenti significativi (in uomini e mezzi), seppur non grandi e per compiti limitati, non si può evitare di avvicinarsi alle coste. Mezzi da sbarco che viaggiano carichi a 13 nodi da grandi distanze impongono ritmi troppo lenti alle operazioni e fatiche troppo elevate alle truppe imbarcate. Il ché non significa che bisogna arrivare a “pochi chilometri” dalle coste per sbarcare gli AAV7;
Ha poco senso dire che “il bombardamento costiero lo facciamo fare alle fregate mentre teniamo lontane le anfibie”. Le unità anfibie sono proprio quelle unità che saranno sempre relativamente vicine alle truppe sbarcate.
Il nocciolo della nostra realtà strategica è che la minaccia aero-missilistica e subacquea è da considerare oramai crescente e permanente. Dunque il problema se realizzare o meno operazioni anfibie con sicurezza “accettabile” diventa secondario. Di fatto la nascita delle cosiddette “bolle A2AD” rende tutto il Mediterraneo (o il mar Nero, o il Mar Rosso, ecc) uno scenario “littoral”.
Pertanto, si dovranno realizzare una Marina e delle navi in grado di muoversi con relativa sicurezza e libertà d’azione in uno scenario che sarà quasi sempre minaccioso, seppur in gradi diversi, in pace e in guerra, sotto costa o in “alto mare”. Se faremo questo, saremo anche in grado di rischiare operazioni anfibie. Se non lo faremo non saremo in grado di esercitare alcun potere marittimo significativo.
Da qui nasce l’idea di nuovi progetti di navi che, anche nei ruoli una volta considerati di “seconda linea” devono possedere un grado elevato di capacità di autodifesa ma anche di offesa mare / terra (artiglierie, missili “duali” (antinave / contro costa) da crociera e “balistici”, ecc… Nonché elevate capacità di “assorbimento” dei danni.
In estrema sintesi bisogna decisamente entrare nell’ordine di idee che il “vero” scenario strategico nel Mediterraneo allargato è quello della costante “interazione mare/terra” che è ben altra cosa dall’idea di occasionale “operazione anfibia”.
OPERAZIONI ANFIBIE
Esistono due scuole di pensiero sulle operazioni anfibie:
- Quella statunitense: gli Americani, memori delle operazioni nelle isole del Pacifico della 2^ GM, dove non c’era alterantiva, pianificano per poter sbarcare, anche su spiagge organizzate e difese, nell’immediata vicinanza dell’obbiettivo da conquistare. Il simbolo di questa teoria è il mezzo anfibio AAV-7: un mezzo corazzato pensato per portare la fanteria sulla spiaggia sotto un intenso fuoco nemico, diretto e indiretto.
- La scuola britannica, invece, prevede di sbarcare su spiagge fuori mano e non organizzate per la difesa, anche distanti dall’obbiettivo, da raggiungere in seguito per via di terra. Non e’ un caso che gli Inglesi non usino il mezzo AAV; i loro mezzi di elezione sono l’elicottero e il barchino veloce.
Dopo la 2^ GM, la scuola statunitense è stata provata in due circostanze:
- lo sbarco a Inchon, durante la Guerra di Corea
- e il tentato sbarco a Kuwait City, durante la prima Guerra del Golfo.
- In entrambi casi l’operazione sostanzialmente fallì o abortì a causa delle acque minate davanti alle spiagge pianificate per lo sbarco.
- La scuola britannica è stata verificata in occasione dello sbarco alle Falkland e si rivelò un completo successo. Ad oggi quella modalità operativa è da considerare il riferimento per operazioni del genere.
- Lo scenario della prima, seconda e terza fase di una operazione anfibia.
Iniziamo dall’accoppiata AAV-7/LCM.
Per tutta una serie di fattori (stress dei soldati imbarcati, tempo del ciclo andata-ritorno) è consigliabile una navigazione massima di 1 ora; considerando la velocità in acqua di circa 13 km/ora, questi mezzi vanno messi in acqua, secondo la dottrina dei Marines, a circa 8 miglia dal punto di sbarco, che a volte significa anche parecchio meno da certi punti della costa. Questo significa che l’unità che li mette in acqua davanti a una spiaggia organizzata a difesa, oltre a navigare per una decina di miglia in acque probabilmente minate, deve passare molto più di un brutto quarto d’ora a tiro di artiglieria e missili pesanti. Qualcuno se la sentirebbe di infilare il Trieste in una situazione del genere? Le vecchie unità classe Santi sono già troppo grandi per vivere una simile esperienza.
Seconda metrica, orizzonte visivo e radar, a venti/quaranta miglia dalla costa, dipende da dove è ubicata l’antenna radar. Aerei e missili antinave, piazzati in due o tre basi hanno una portata teorica in grado di tenere sotto tiro l’intera linea costiera di un teatro di medie dimensioni. Una modesta vedetta con un binocolo è in grado di localizzare una nave a venti miglia dalla costa e un mediocre radar fa lo stesso a 40 miglia. Ciò significa che qualsiasi nave che si fa avvistare a quella distanza, se non sparisce entro pochi minuti si sta prenotando un massiccio attacco aereo e/o missilistico.
Dopo un’accurata lettura dell’esperienza britannica alle Falkland, si possono dedurre alcune certezze: si sbarca su spiagge indifese dove eventuali reparti nemici possono essere neutralizzati da piccoli reparti sbarcati in modo occulto. La successiva fase di assalto consiste in tre ondate di elicotteri (LHD a 100 miglia) e di barchini veloci (fregate a 30 miglia). Quando questo contingente ha messo in sicurezza il tratto di costa e ha piazzato a terra una minima capacità antiaerea, una seconda fase porta a terra i mezzi pesanti con l’uso di LCM rilasciati a 10 miglia da unità anfibie che si ritirano il più velocemente possibile per evitare un attacco aereo o missilistico garantito (vedi Falkland). La terza fase, logistica, si immagina realizzata con difesa missilistica a terra ben solida e una situazione generale più tranquilla.
Per quanto riguarda le unita’ maggiori, pur dovendo rimanere in zona per supportare da un punto di vista logistico i reparti sbarcati, si immaginano a pendolare a 100 miglia dalla costa, impegnate nel tentativo di non farsi localizzare e in una situazione ottimale per rilevare con sufficiente anticipo e contrastare con successo gli attacchi aerei e missilistici. Anche queste distanze, peraltro, non impediranno di subire ripetuti attacchi e pesanti perdite (vedi Falkland) al punto che le distanze si dovrebbero allungare a 200 miglia, con avvicinamento alle 100 miglia solo per il tempo strettamente indispensabile.
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